MODERNISMO



Dominata dagli orientamenti accademici e dalla crisi del gusto derivata dalla rivoluzione industriale, la scuola catalana produce scarse opere di un qualche interesse.
Dopo l'influenza archeologica che si estende per il secondo terzo del secolo, sorge la reazione modernista, carica di sentimento barocco e anche di tendenze verso un nuovo stile denominato "Art Nouveau".
In Catalogna si fa notare la figura di Antoni Gaudì, creatore del tempio della Sagrada Familia e del park Guell, a Barcellona, del Palazzo Episcopale di Astorga e di molte altre opere.
Nel termine generico di modernismo si compendiano le correnti che, nell'ultimo decennio del XIX e nel primo del XX secolo, si propongono di interpretare, affiancare ed assecondare lo sforzo progressivo, economico - tecnologico, della civiltà industriale. Sono comuni alle tendenze moderniste:
  1. la rinuncia a riferirsi a modelli antichi, sia nella tematica sia nello stile;
  2. il desiderio di diminuire la distanza tra le arti <<maggiori>> (architettura, pittura, scultura) e le <<applicazioni>> ai vari campi della produzione economica (edilizia corrente, arredamento, abbigliamento ecc.);
  3. la ricerca di una funzionalità decorativa;
  4. l'aspirazione ad uno stile o linguaggio internazionale o europeo;
  5. l'impegno di interpretare la spiritualità da cui si diceva ispirato e riscattato l'industrialismo.
Nelle correnti moderniste si mescolano perciò, spesso confusamente, motivi materialistici e spiritualistici, tecnico - scientifici e allegorico - poetici, umanitari e sociali.
Quando, verso il 1910, all'entusiasmo per il progresso industriale succede la consapevolezza della trasformazione che operava nelle strutture stesse della vita e dell'attività sociale, all'interno del Modernismo si formeranno le avanguardie artistiche miranti a mutare le modalità e le finalità dell'arte.
Il Modernismo architettonico combatte l'eclettismo degli <<stili storici>> non soltanto per il loro falso storicismo ma per la loro ufficialità, che implica l'idea di una città rappresentativa dell'autorità dello Stato: vuole invece una città viva, aderente allo spirito di una società attiva e moderna.
L'architettura non può rimanere legata a un repertorio di forme ormai prive di significato, deve adeguarsi alle nuove forme in cui la società esprime il suo sentimento del presente, alle nuove tecniche che riflettono il suo dinamismo interno.
Il fenomeno del cosiddetto <<Modernismo catalano>> mostra la tensione verso un'architettura nazionale, all'interno di una regione e di una città, la Catalogna e Barcellona, investite da processi di industrializzazione che ne sconvolgono l'assetto complessivo.
Sconvolgimento, che pone nuovi problemi di <<identità>>: la borghesia catalana tende a scindersi da una Spagna statica e arretrata, aspirando a unire i propri destini a quelli dei ceti popolari.
La Renaixença investe così tutti gli aspetti della vita catalana, dalla lingua alle arti, mentre l'esaltazione dell'unità popolare presuppone l'evocazione delle radici storiche della ragione.
Medioevo e artigianato divengono garanti ideologici delle aspirazioni politiche del nuovo ceto imprenditoriale: nella Barcellona pianificata da Cerdà (1859) e sullo sfondo di profonde trasformazioni produttive e sociali, architetti come Lluìs Domènech i Montaner (1850 - 1923), Antoni Gaudì (1852 - 1926), Francèse Berenguer (1866 - 1914), Puig Josep i Cadafalch (1867 - 1956), Josep Jujol (1879- 1949) bruciano, in una sorta di orgia linguistica, tutte le ipotesi della cultura eclettica.
Il paradosso è per costoro l'unico principio formale: il loro sapiente artigianato è lotta contro la materia; il loro storicismo è distruzione di linguaggi.
Per quanto ricco è articolato, il movimento Modernista ruota intorno alla dialettica che si instaura fra i due massimi protagonisti: Gaudì e Domènech i Montaner.
Con il caffè - ristorante all'Esposizione di Barcellona (1887 - 88) e, ancor di più, con il Palau de la musica catalana (1905 - 08) e l'Ospedale di San Pablo a Barcellona (1902 - 10), Domènech tenta di fare della contaminazione linguistica una <<grammatica>> a suo modo rigorosa.
Gli etimi mudejàr, neomedievali, neobarocchi esplodono in una festa visiva, in cui - specie negli elaborati interni del "palau" barcellonese - la collettività è chiamata a riconoscersi.
In Gaudì, la medesima volontà di sintesi sembra denunciare il proprio inevitabile scacco.
Nella Casa Vicens, nel Palazzo Guell, nella Casa Calvet, l'insegnamento del Gotico catalano e di Viollet le Duc si traduce in un parossistico sforzo, teso a dar vita ad una contraddizione esposta come tale.
L'invenzione strutturale approda al paradosso; tutto si mescola in <<furor metrico>>, che annulla ciò che un incontrollato vitalismo aggancia ad iperboliche gabbie statiche.
Solo il <<miracolo>> può mantenere unite forme deflagrate. Il che viene esasperato nelle sue opere della maturità: nella Casa Batllò al Paseo de Gracia, nelle masse fluide e avvolgenti della Casa Milà, nella chiesa della colonia Guell a Santa Coloma de Cervellò, nell'informale e delirante sistemazione del Park Guell.
Assai più che nell'incompiuto tempio della Sagrada Familia, nelle architetture sopra citate Gaudì violenta, scompone e deforma ogni sintesi linguistica. Non a caso alcune sue opere saranno presenti agli architetti espressionisti tedeschi. Dal suo plasmare le superfici come membrane fluttuanti, per interromperle con inquietanti allusioni totemiche, dal suo dare allo spazio aspetti labirintici, dal suo corrodere le stesse forme naturali - pensiamo ai percorsi onirici e all'ossessivo <<ventre>> dorico del Park Guell -, dal suo profondere ceramiche, smalti e mosaici in collages grotteschi, scaturisce un angoscioso interrogativo lasciato senza risposta.
Gaudì spezza ogni rapporto fra le sue architetture - atti di fede in un <<fare>> da cui si attende salvezza - e la realtà. Con un merito storico che travalica il suo geniale soggettivismo: dopo Gaudì, l'utopia del <<ritorno alle origini>> è ridotta a cenere.