Nel cortile del chiostro, in posizione decentrata e accanto al puteale della cisterna, s'innalza per tre metri una struttura architettonica costruita il 1750 per proteggere il cedrangolo, che il Beato avrebbe piantato il 1485. La composizione ha la forma ottagonale che conserva in tutto il suo articolato sviluppo. Si compone di tre ordini che salgono rastremandosi. La circonferenza massima della base misura cm. 930, la minima della calotta, cm 430. Il primo ordine ha tre gradini di diversa altezza; il secondo è costituito da una sorta di tempietto o di balaustrata con otto pilastrini, poggiati su plinti scolpiti con motivi floreali e geometrici tutti diversi e coronati da una trabeazione sul cui epistilio corre l'iscrizione: "Plantata fuit hic prope 1485 a Beato Jacobo in benefica populorum h. p. a.d. 1750". (Per le varie interpretazioni8 dell'iscrizione cfr. il nostro trimestrale "Il Beato Giacomo", Antonio Castellano, anno IV. Il terzo ordine è costituito dalla cupoletta sferica aperta al centro per il passaggio del tronco del cedrangolo seccatosi tra il 1910 e il 1930.

L'intero ciclo pittorico è stato restaurato in due tempi successivi: le tempere in tre portici, dipendenti dall'Opera Pia del Purgatorio, furono restaurate il 1959, mentre quelle del lato sud, restituito ai Frati il 1945, furono restaurate il 1960. Il restauratore Francesco Turchiano non strafece, anzi rispettò sostanzialmente gli afrreschi, come si può constatare facendo il raffronto con gli stessi pannelli riprodotti il 1914 dalla biografia scritta dal Ghilardi. Tuttavia, il restauratore si prese qualche libertà che non ancora riusciamo a spiegarci; abbassò la collocazione delle didascalie, che non sempre ricopiò con esattezza; nei casi in cui le didascalie poetiche erano in parte o in tutto poco decifrabili, le sostituì con iscrizioni libere non sempre rispondenti al soggetto raffigurato; talvolta, integrò le parti lacunose con figure marginali, magari intuendole da qualche traccia sbiadita. A parte queste licenze, spiegabili soltanto con la presunzione che non gli sia stato chiesto un lavoro rigorosamente critico, è doveroso riconoscere l'onestà del Turchiano, che rispettò il tessuto pittorico e figurativo precedente; e se la resa del restauro è quella che è, la colpa va attribuita ai precedenti restauratori.
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