Un'altra prova indiretta ci viene dal chiostro di S. Caterina a Galatina, dove nel 1696 fra Giuseppe da Gravina ha affrescato il miracolo di S. Lodovico dÕAngiò, che è nel nostro chiostro con la stessa didascalia e con l'identico impianto scenico. Il confronto estetico, però, è tutto a sfavore del nostro pannello per via dei restauri. Il ciclo del nostro chiostro dev'essere stato realizzato qualche ventennio prima di quello di Galatina, probabilmente durante gli anni di guardianato (1667-1668) di P. Serafino D'alessandro da Grottaglie, del quale sono ricordate le didascalie poetiche composte nel chiostro di S. Maria del Tempio a Lecce, affrescato il 1685 da fra Giuseppe da Gravina. Il suddetto padre guardiano, in un antico manoscritto del nostro archivio, intitolato "Selvetta", viene ricordato come "huomo singolarissimo in prediche et in poesie". Non è improbabile che sia stato lui il compositore delle risonanti quartine didascaliche del nostro chiostro.

Il racconto iconografico del chiostro ha uno sviluppo narrativo con una sua particolare logica, di cui non sempre sono chiari i processi. Ad esempio, non si comprende per quale ragione tutte le donne sante o beate sono state raccolte nei medaglioni del portico e del corridoio che fiancheggiano la chiesa; mentre tutti i santi, i beati e i frati illustri sono stati distribuiti per gli altri tre portici. Risulta evidente e convincente la scelta di collocare i martiri sui punti chiave del chiostro, che sono i dodici pilastri, quasi che il pittore abbia voluto affermare che il martirio è la forma più esaustiva della "sequela Christi" e che, perciò, merita di essere additata a parte, come la più perfetta fra tutte le altri varianti della santità. Senz'altro bisogna bisogna riconoscere ragioni affettive e devozionali alla radice della preferenza che mosse il frescante a citare più alcuni santi che altri; 5 volte S. Francesco, 3 volte S. Antonio, 4 volte il Beato, escludendo i pannelli erroneamente dedicati a lui.
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