CAPPELLONE DEL BEATO GIACOMO


UBICAZIONE: Chiesa, presbiterio, cappella "in comu Evangelii"
DESCRIZIONE: L'arco centrale, che insiste su due pilastri a muro, divide il vano su due campate, e la volta in due crociere. Vi introduce l'arco trionfale che evidenzia la sfasatura della cappella rispetto alla chiesa. Spicca sullo sfondo l'altare marmoreo, sormontato dalla tribune che accoglie l'urna del Beato, dietro l'urna salgono due rampe di scale chiuse all'inizio da cancelli di ferro battuto. Sotto il pavimento in marmo vi è una tomba che ebbe nel passato diverse epigrafi. Quellaattuale del 1915 porta i nomi della famiglia Noia e De Ruggiero.
MISURE: 1300 x 610 x 790.
NOTA STORICO-CRITICA: La cappella si è sviluppata in varie epoche. La primitiva cappellina, che forse preesisteva alla costruzione della chiesa, doveva essere rupestre, secondo la testimonianza di Iacovielli che la descrive "a guisa di grotta". Nel 1850 faceva già corpo unico con la chiesa, perchè vi fu deposto per la prima volta il corpo del Beato, traslato dalla cappella delle Stimmate o di S. Francesco, dove era stato collocato il 1505, quando era stato esumato incorrotto dal cimitero comune dei frati. Nel 1587, Francesco Carafa, assieme alla nuova urna da lui firmata, fece il primo ampliamento. Nel 1615, Flaminio de Angelis, mecenate e finanziatore di tutti i lavori di ristrutturazione in chiesa e in convento, operò un ulteriore ampliamento. Nel 1723, "con li docati 140 sopravanzati dall'elemosine" raccolte per la causa di canonizzazione del Beato, P. Bonaventura da Gioia del Colle, diede alla cappella il volume attuale, ampliandola del doppio e consolidandola dalle fondamenta. Nel 1943, il bitettese Francesco Turchiano eseguì, per incarico del superiore del tempo, P. Nicola De Monte, una serie di dipinti a tempera. Sulle volte dipinse otto angeli, che reggono cartigli sui quali sono scritti otto versi latini dell'inno "O Jacob vir mirabilis". Poco sopra le due lesene dell'arco centrale, riprodusse i due alberi piantati dal Beato, quello di ginepro, già secco, e il cedrangolo del chiostro, ancora vegeto e fruttuoso, come egli lo aveva conosciuto prima che seccasse intorno agli anni trenta. Sulla campata interna dell'arco trionfale raffigurò i due miracoli più noti e popolari del Beato, quello della lepre da lui salvata dal cacciatore mentre lui pregava davanti l'edicola della Benedetta; e quello delle fave cotte dall'adella lepre da lui salvata dal cacciatore mentre lui pregava davanti l'edicola della Benedetta; e quello delle fave cotte dall'angelo con la seguente didascalia: "Vos beati fratres qui cibus sumitis angelicis manibus preparatum". (Queste parole le avrebbe dette il duca d'Atri, Andrea Matteo Acquaviva, che fu spettatore della visione). Tra le figure umane ed angeliche della volta, il Turchiano ha intessuto un lussureggiante arazzo con motivi floreali e geometrici.