IL FURTO DEL SACRO DITO

Se inizialmente si parlò di furto per devozione esagerata, ora bisogna che si parli di furto doloso. I briganti ci sono sempre stati nel mondo e sempre ci saranno. Coraggio e non meraviglia; fiducia in Dio e sempre avanti nella pratica del bene, senza imitare chi è disonesto. Chi è disonesto, male sta e male avrà, o qui o, infallibilmente, nellĠaldilà. Il giusto Dio non paga al sabato, ma paga e paga da par suo, molto bene. LĠanno 1730, nel tempo che era guardiano il p.Giandomenico da Bari, lettore emerito, e vicario, il p. Carl'Antonio, accadde un furto nella cappella del Beato. Ecco come andò la cosa... Nel giorno solenne dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine Madre di Dio che in quell'anno cadde di venerdì, sul far della notte, prima delle ore sette, dopo che in chiesa si era cantato solennemente il mattutino, si accorsero i religiosi di un certo fuoco in una delle stanze del giardino. Subito corsero a gambe, e per smorzarlo, andarono alla cisterna più vicina e, guardando, si accorsero che era stata tolta la vetrata dalla cappella. Andati subito in chiesa, trovarono spenta la lampada del Beato e quella del SS. Sacramento. Aperta la cappella, fu visto l'altare mezzo spogliato dei candelieri e posti lì a caso di contro all'altare, come fanno i sagrestano quando aggiustano gli altari. Il velo tirato avanti e scoperto, vista aperta la sacra urna e portati via i dodici angioletti d'argento, insieme col cassettino col sacro dito e quattro anelli finissimi, di rubini, posti nelle dita del Beato, con una collana d'oro ed una crocetta messa al collo del medesimo. Visto questo sfacelo, si può immaginare il cordoglio e la pena dei figli del Serafino d'Assisi, nonchè dei devoti che seppero il caso. E subito i frati, che per essere frati non erano cretini, non persero tempo a guardarsi l'un l'altro; ma, senza perdere tempo, ne diedero notizia al tribunale ecclesiastico e secolare, a tutti i baroni della provincia, al tribunale di Trani, al nunzio di Napoli e al tribunale di Lecce.

I referti non potevano essere più accurati, e allestiti e numerosi i levrieri, sguinzagliati alla traccia della malcapitata lepre. E difatti il sabato seguente furono, verso la sera, catturate due persone, sospettati di furto, nella terra di Corato: uno fu posto in carcere e l'altro si nascose in chiesa. Non gli valse però, perchè il vicario foraneo gli mise i ferri addosso; e fatta la perquisizione, gli furono trovati cinque angioletti d'argento, una borsella con certe devozioni e parte del sacro dito. L'altro ladro, già posto al fresco nel carcere del governatore, sottomesso alla medesima sorte e fatta la perquisizione dei vestiti, fu trovato pure lui in fragrante, aveva altri angioletti, con parte del sacro dito nel borsello e il cassettino del sacro dito, minuzzato in una carta. Interrogati i ladri, non si riuscì a sapere da dove provenissero i detti angioletti e gli altri oggetti ritrovati. Scritto ai religiosi dell'arresto dei ladri, fatto a Corato, vi portò subito il p. Clemente da Bari col sostituto del convento, Francesco Taviello; e subito furono conosciuti gli angioletti per quelli medesimi del Beato Giacomo. E così parimenti il sacro dito e il cassettino fracassato. Gli anelli che erano già stati venduti a Corato, furono subito restituiti "come cosa del Beato", con ammirazione comune di tutta Corato, compatendo quel caso.

Il ladro, ammanettato nella chiesa dei Domenicani, o per fortuna o per arte, scappò. Ma la giustizia di Dio non sbaglia e, prima o tardi, arriva senza dubbio; e arrivò anche per lui nel giro di un anno e mezzo. E, per farla breve, ambedue furono condannati alla galera a vita, e prima frustati a Trani e poi a Bitetto, ad esempio di tutto. E, quello che reca maggior meraviglia, è che questi ladri sacrileghi confessarono al p. Oronzo, come, appena fuggirono dal convento, "si videro proseguire sempre da un religioso vecchio sino a Corato". I due ladri, uno era abruzzese e l'altro di Barletta.

Furono quindi restituiti tutti quanti i sacri oggetti, congiuntamente ai tre pezzi del dito, con un'amplissima dichiaratione sia del sacro tribunale, come dell'arcivescovo di Trani, mons. Avanzato, dell'identità della summentovata reliquia. Oltre a ciò dal "piisimo prelato", mons. Lazaro Sangiovanni, vescovo di Bitetto (1729-1736), fu fatta un'acconcia urnetta di cristallo, incastrata d'argento ed oro con il rispettivo sigillo ed autentica, della valuta di sedici ducati. E venne portata al convento nel giorno prima della festa del Beato, nel quale giorno vi fu "un grandissimo pianto" , non solo di tutta la città, ma di tutto il popolo qui convenuto da tante altre parti, come capita. Pianto di dolore "per il caso sortito": pianto d'allegrezza per la restituzione delle cose sante e più del sacro dito. Tutto ciò fu nell'anno 1732.

E così anche qui la provvidenza di Dio, la dolce mamma nostra, seppe ricavare il bene dal male. Oh sempre affidiamoci a questa madre che ci ama tanto ed ha cura di noi!

(dal libro "La vita del Beato Giacomo" di p. Faustino Ghilardi)