Monopoli:
la storia
La
città di Monos-Polis ebbe origine lungo un porto canale naturale, posto sulla
costa adriatica della Apulia. La costa si presenta molto frastagliata e ad
intervalli quasi regolari vi era un susseguirsi continuo di cale o insenature più
o meno grandi e frapposte fra queste, lingue di terra, che si protendevano nel
mare a guisa di vere e proprie penisolette. Fu proprio su una di queste
penisolette, che nello scorrere dei lunghi anni, venne a formarsi il primo
insediamento della città di Monopoli.
Le
prime tracce di vita sulla terra pugliese risalgono alla lontanissima età della
pietra. Secondo gli antichi storici, il primo popolo che si stanziò nella
nostra regione, fu quello dei Iapigi, in seguito arrivarono altri popoli come i
Messapi, i Greci, i Cretesi, i Pedicli..
A seguito di tanto, non è improbabile il primitivo villaggio sorto nei
pressi del porto canale, si sia ingrandito e fortificato ad opera dei coloni
Greci, Cretesi e Pedicli che fossero.
Con
l’era cristiana, il piccolo insediamento andava ingrandendosi perché si
tendeva ad innalzare tempi sontuosi, si muravano lapidi, si scolpivano statue e
si costruivano luoghi dove venerare gli dei. Nel VI secolo dopo la discesa
in Italia meridionale da parte dei barbari, ci furono i Bizantini che
scacciarono sia i Goti che gli Ostrogoti dalle nostre terre.
Nel
VIII secolo si presume che Monopoli fosse sotto il dominio saraceno insieme a
Bari ed altri 24 luoghi fortificati, ma di questo periodo di Monopoli si sa ben
poco.
Negli
anni dell’ XI secolo i Bizantini sbaragliarono definitivamente i Normanni che
lì vi si erano insediati. In quegli anni si verificò un accrescimento di tutte
le città costiere sia per la migrazione interna sia per quella oltremare.
Cominciò a mutare l’aspetto delle città che dovevano adattarsi alle esigenze
della nuova attività commerciale e marinara in continua espansione. Durante il
periodo normanno devono essere avvenute modificazioni della cinta muraria della
città dove le mura del lato nord costeggiavano la scogliera del porto canale
(attuale via Barbacana). Verso occidente, invece, una parte confinava con la
terra ferma ed era protetta da un fossato o da un torrente che ne faceva la
funzione. Le mura di sud-est, infine, in parte si affacciavano su una lama, in
parte riprendevano a seguire il profilo della scogliera per tornare ad
affacciarsi sul mare (attuale zona porta vecchia). L’accesso della città era
assicurato da almeno tre porte, delle quali la più grande e la più frequentata
doveva essere senz’altro quella conosciuta con il nome di Porta Castri, che
portava direttamente verso la campagna ad ovest. Verso sud-est, in prossimità
dell’attuale Porta Vecchia, si apriva la Porta Phoca utilizzata da chi doveva
recarsi ad Egnatia o a Brindisi. La terza porta infine, era ubicata a
nord-ovest, che prima dell’insediamento del porto fu Porta della Marina perché
si affacciava sul Porto Canale. Fino al 1495, Monopoli rimase fedele al Regno
Angioino, quindi in quell’anno fu attaccata dai Veneziani che alternarono il
loro dominio con gli Spagnoli per circa un trentennio.
Entrambi
i Regni continuarono a sollecitare la realizzazione di una fortezza, visto che
la città ne era sprovvista dal 1414, quando gli abitanti per rivolta
distrussero il primo. Nel 1544 si dà inizio alla costruzione del nuovo
castello.
Il
ruolo dell’esercizio storico nella pratica del recupero di un complesso
organismo architettonico
E’ noto che,
nell’affrontare il recupero di un antico
edificio, costituiscono premessa fondamentale alla fase progettuale, sia la
ricerca di tutti i dati specifici disponibili negli archivi storici, che la
lettura del manufatto nelle sue componenti funzionali, strutturali, formali. Ci
si può limitare a questo procedimento solo nel caso di intervento su di una
struttura concepita unitariamente, realizzata in tempi brevi e senza modifiche,
venuta a decadere per ragioni legate al degrado dei materiali, o a modifiche
avvenute nel terreno di fondazione, o a interventi di trasformazione ben
individuabili e completamente estranei alla funzione originale dell’edificio.
Nel
caso che l’organismo architettonico o urbanistico sia rimasto invece vitale
per lungo tempo ed abbia subito col passare dei secoli continui aggiornamenti
tecnologici, modifiche e ampliamenti in conseguenza del variare del panorama
culturale circostante, diviene estremamente complesso riconoscere nelle sue
strutture i momenti di questa tormentata esistenza.
E’
quindi indispensabile, per operare corrette scelte progettuali, una conoscenza
completa dello scenario storico locale, analizzato con cura anche sotto il
profilo tecnologico e socio-economico.
E’
questo il nostro caso: lo studio di un sistema di fortificazione urbana, tipico
esempio di struttura continuamente modificata ed aggiornata; è dunque
indispensabile, per dare un senso alla ricerca, ripercorrere l’intera storia
dell’insediamento. Un sistema di fortificazioni evolve condizionato da
innumerevoli e complessi fattori, le mura costituiscono infatti la
materializzazione lapidea di problemi politici, strategici ed urbanistici.
Leggendo
gli strati di accrescimento si ripercorre la storia della città e inversamente
studiando la storia urbana si può arrivare a individuare le parti mancanti di
questo involucro. Per arrivare ad una corretta ricostruzione della complessa
evoluzione di queste strutture è necessario possedere il maggior numero
possibile di dati storici, sarà utile analizzare le vicende belliche locali, le
più gravi crisi interne o esterne, le maggiori variazioni demografiche ed
economiche subite dalla città, e sarà anche utile per risolvere alcuni
particolari problemi attingere ai manoscritti teorici dell’arte militare
utilizzata in quel periodo ed in questa zona, nonché ai principi
dell’architettura militare.
Per
arrivare al riconoscimento delle varie parti funzionali del baluardo del XVI
secolo, fortemente degradato o modificato, posto a difesa di una cortina, è
stato necessario procedere a una sorta di progettazione inversa, ripercorrendo a
ritroso il processo creativo dell’antico architetto militare.
Anche una dato apparentemente insignificante può aver il suo rilievo, ad esempio ha facilitato il riconoscimento di resti di polveriere, cannoniere e camminamenti, sapere che il cannone usato è “da batteria lungo 18 bocche”, che “tira da 45 in 60 libbre di palla”…. la conoscenza dei metodi di brandeggio e puntamento ha consentito di comprendere le segrete geometrie della terza cannoniera che volgarmente si chiama la traditora. Quindi solo mettendo in relazione un’attenta lettura dei resti architettonici con la massa dei dati storici disponibili si può tentare una attendibile ricostruzione di questo complesso sistema di fortificazione urbana, ormai così degradato e incompleto.
Il
mare, una pericolosa frontiera per una ricca città: le ragioni di una poderosa
fortificazione
Fino
ai primi del 1800 un abitato posto in riva al mediterraneo privo di un
efficiente sistema di avvistamento e di difesa era da considerarsi soggiorno
sicuramente malsicuro e sottoposto facilmente agli attacchi nemici (da notare
che pirateria e guerra corsara non erano monopolio delle navi islamiche ma anche
i mercanti pisani e genovesi partecipavano con impegno a questa particolare
attività). Il pericolo era comunque sempre incombente e più consistente per
una comunità prospera: Monopoli, per la sua importanza strategica ed economica
e per la ricchezza del suo territorio, è stata per lunghi periodi un possibile
obiettivo di incursioni piratesche. Che fosse considerata una terra fiorente è
cosa certa, a conferma di ciò, in tutti i portolani del
1300 in poi l’approdo di Monopoli viene riportato con un certo rilievo,
spesso in rosso, in qualche caso evidenziato mediante un’approssimativa
rappresentazione della rada, come accade fra le città pugliesi solo per i porti
di Brindisi, Otranto, Gallipoli e Taranto (Monopoli viene segnalata anche dal
bellissimo portolano di Pietro Visconti del 1311.
La
consapevolezza di costituire una preda appetibile, l’ingombrante presenza
dell’impero ottomano a poche ore di vela dalle mura, il ricordo di tante
passate scorrerie e le devastanti aggressioni portate dai popoli cristiani hanno
indotto l’università di Monopoli, per quanto era in suo potere, a promuovere
il potenziamento del sistema difensivo al quale sapeva essere affidata la
sicurezza dei beni e delle vite dei cittadini; anche le esigenze di spazio
vitale, evidentissime nei periodi di espansione demografica, venivano
sacrificate alle prioritarie necessità d’ordine difensivo, determinando,
specialmente nei secoli XVII e XVIII, condizioni igieniche drammatiche.
La
sensazione di continuo, oggettivo pericolo, comune a tutte le città di mare, ha
quindi determinato in Monopoli la realizzazione di imponenti e poderose difese
urbane, più simili alle strutture di una vera fortezza, che alle consuete cinte
murarie.
Le normali fortificazioni cittadine, erano infatti sovente espressione di un’equilibrata ambivalenza tra la semplice funzione di delimitazione abitato-campagna, capitale-agricoltura e la funzione strettamente tecnica della difesa.
Nella città di Monopoli, come in quelle già citate in precedenza, risulta evidentissima la prevalenza della componente militare su quella burocratica. Bastioni, cortine, fossati, appaiono ben progettati, le parti murarie sono estremamente robuste, caratterizzate da grandi spessori, fino a 3.70 metri di durissimo nucleo; persino la protezione delle volte collocata a copertura dei bastioni supera l’altezza di 2.50 metri. Grandi masse di terra sciolta, contenute da murature, completano, nelle zone più esposte verso il porto il rinforzo dei bastioni (fig. 9): le cannoniere sono evidentemente ben realizzate e ottimamente disposte. Molto diverse sono le cinte delle città interne come Castellana, Conversano, Martina Franca …, belle ma fragili cortine murarie, ritmate da piccole torri, poco più di barriere daziarie inadatte a resistere ad un attacco deciso, portato con l’ausilio dell’artiglieria.
Ipotesi
sulle prime fortificazioni
La
preistoria
Numerosi ritrovamenti
dimostrano che il luogo ove sorge l’attuale Monopoli era abitato sin dalla
preistoria (Grotta delle Mura, Grotta di Cala Camicia, Grotta di cala Corvino).
Probabilmente l’intera penisoletta rocciosa, ottimamente difendibile,
prospiciente il prezioso porto naturale (oggi quasi completamente interrato,
unito alla presenza di acque sorgive, fu certamente all’origine del primo
insediamento protourbano di Monopoli), fu interessata dalla presenza di un
attivo insediamento anche nell’età del bronzo. Ed è probabile che
l’antichissimo insediamento integrasse le difese naturali della penisoletta
con qualche riparo artificiale; lo scavo a roccia, effettuato su via Pappacenere
nel corso del restauro delle mura cinquecentesche, ha evidenziato, a quasi
quattro metri di profondità, uno strato di terreno archeologico intatto con
tracce di presenza umana riferibile all’età protostorica (spessore circa di
1.0 metri), poggiante direttamente sul banco tufaceo, distante tre-quattro dal
mare.
Poiché
anche sulla nuda roccia vi sono tracce di attività umana, si può dedurre che
in epoca preistorica dovette essere innalzata sulla riva una prima rudimentale
fortificazione, un aggere, che deve aver consentito l’accumulo di terreno su
questi scogli erosi dalle piogge e dalle onde. Questa struttura, probabilmente
un semplice riparo di scheggioni di tufo, è stata certamente distrutta durante
gli innumerevoli rifacimenti delle mura; la presenza dell’importante deposito
sembra però la prova della sua esistenza.
Le mura messapiche
e portus Pevie
Tucidite scrive:
“le città la cui fondazione era molto recente… furono costruite proprio
sulla riva del mare e circondate da mura. Di preferenza occupavano gli istmi,
sia per l’opportunità dei commerci, sia per la sicurezza che ognuno poteva
avere di fronte ai suoi vicini”. E’ quindi evidente la grande importanza che
doveva rivestire nella nostra zona, tra il VI e V secolo a.C., una penisoletta
rocciosa isolata, su un lungo tratto di costa privo di altri rilievi. E’
probabilmente in questo periodo che il rozzo insediamento protourbano, evolve
fino a divenire una piccola città,
fiorita tra il V e il III secolo a.C. e progressivamente coinvolta nella
gravissima crisi demografica ed economica che colpì la Puglia a partire dal 190
a.C..
Probabilmente
questa sconosciuta città messapica può essere identificata con il romano
Portus Pevie della Tabula Peutingeriana; d’altra parte, in
questo difficile tratto di costa, nessun porto poteva competere come
sicurezza ed estensione, con l’antico approdo di Monopoli, nemmeno le due
ottime cale di S. Stefano.
Quasi
niente si sa sull’antico insediamento urbano, abbondanti però sono le notizie
di ritrovamenti di manufatti e iscrizioni risalenti al periodo classico,
riportate da storici locali del XVIII e XIX sec.. Attualmente restano visibili
solo alcuni resti di una torre di epoca romana, pochi ma poderosi blocchi della
cinta muraria di età classica, una vasta ma poco delimitabile necropoli
messapica, qualche reperto databile al V e IV-III secolo a.C., recentemente
scoperto in occasione di scavi archeologici sotto la cattedrale.
A
chiara dimostrazione che non doveva trattarsi di un piccolo centro vi è una
enigmatica testimonianza: un’antica strada, addirittura a sei corsie,
individuata lungo il torrente Belvedere, perpendicolare alla via Traiana, che
dall’altopiano si dirige verso la zona della Porta Vecchia. Il primitivo asse
urbano, elemento di aggregazione residenziale, è leggibile nelle tracce
lasciate nel tessuto di accrescimento e nel suo collegarsi con la grandi
viabilità romana e preromana; questa direttrice può essere identificata nella
via che unisce la chiesa di S. Salvatore, piazza Calmieri, S. Leonardo e la
Cattedrale, questo percorso attraversa, lungo il suo asse maggiore, tutta la
penisoletta rocciosa.
Probabilmente
una cerchia di mura racchiudeva l’antico abitato classico nei limiti
I
ritrovamenti effettuati in occasione del restauro delle mura cinquecentesche,
nella zona della Porta Vecchia, fanno pensare all’esistenza di una poderosa
fortificazione. I resti della
muratura scoperta sono costituiti da blocchi tufacei, perfettamente
parallelepipedi, di circa due metri di lunghezza per 68 centimetri di altezza e
spessore di circa 30 centimetri, con retrostante terrapieno o nucleo informe. La
posa in opera dei conci è piuttosto inconsueta; sono collocati di taglio, sul
lato più stretto, probabilmente a contenere il retrostante terrapieno. Questa
tecnica, generalmente utilizzata per muratura isodoma con conci ortostati, trova
rari riscontri in zona, mentre nel Peloponneso sembra più diffusa, come ad
esempio nelle torri delle mura di Messene, nell’acropoli di Epidauro e nella
zona della porta dei leoni a Micene.
La
superficie dei blocchi è lavorata in maniera piuttosto rozza, mentre la
giunzione tra concio e concio è particolarmente curata e precisa, sia come
finitura che posa in opera. Questo particolare porta ad escludere che si tratti
di blocchi di reimpiego, la giacitura è sicuramente quella originale. Il piano
di fondazione, sul banco tufaceo, è realizzato con schegge calcaree e terra,
senza spianamenti della superficie. Per tipo di tecnica impiegata e per le
dimensioni dei blocchi, questa struttura può essere riferita all’età
classica.
Durante
i lavori di restauro delle mura cinquecentesche, è stato riportato in luce,
all’interno del bastione Pappacenere, insieme a resti di fondazioni
difficilmente databili, un enigmatico grande silos a forma di anfora, in parte
scavato nella roccia, in parte ricavato nel riempimento del torrione; anche
questa struttura potrebbe essere di età classica e dimostrerebbe l’esistenza,
in quel periodo, di un terrapieno difensivo. Altri resti che possono essere
messi in relazione con questa cinta muraria sono forse quelli venuti alla luce
una quindicina di anni fa, a causa dell’apertura di una voragine su via
Barbacana a circa cinque metri sotto l’attuale livello stradale; è quindi
probabile che il circuito di queste mura, formate da enormi blocchi tufacei
sovrapposti a secco, con retrostante terrapieno, corresse lungo via Argento, via
S. Vito, via Castello, fino a ricongiungersi con la zona di largo vescovado.
All’interno di questa cerchia, i rilievi di piazza Calmieri e largo Vescovado
dovevano avere un particolare significato urbanistici.
Anche
in epoca romana il porto, data la sua importanza strategica e commerciale,
doveva possedere qualche difesa; forse utilizzava le vecchie mura messapiche,
certamente era protetto e controllato da almeno una torre di nuova costruzione
formata da grandi blocchi ci pietra viva, i cui resti sono inglobati
nell’attuale castello.
L’evoluzione
delle difese cittadine prima della diffusione dell’artiglieria
Caratteristiche
delle difese medievali
Nel periodo
precedente l’uso dell’artiglieria, che si conclude con l’inizio del 1300,
le strutture difensive in questa zona della Puglia, sono generalmente
caratterizzate da paramenti murari relativamente sottili, realizzati con varie
tecniche. Nelle opere più antiche, tra il VII e il X secolo, non è infrequente
l’uso di blocchi tufacei o scheggioni di pietra vive murati quasi a secco, o
con bolo privo di calce e nucleo interno di
terra sciolta e pietre.
Successivamente,
tra la fine dell’XI e l’inizio del XIV secolo, si cominciano ad usare quasi
esclusivamente conci di pietra viva di media pezzatura, lavorati accuratamente,
allettati in malta di calce e sabbia o bolo. Spesso viene utilizzato, per
aumentare lo spessore, un nucleo interno di materiale tufaceo, alcune volte
informe, altre squadrato. In qualche caso il nucleo è costituito da scheggioni
di calcare duro con malta di calce e pozzolana. Tra XI e XIII secolo il concio
viene lavorato piatto con la bocciarda, successivamente, in qualche caso a
partire dalla metà del XIII secolo, la lavorazione comincia a mettere in
risalto una accentuata marcatura delle bozze.
Queste
strutture difensive, caratterizzate da torri e cortine merlate, sono
generalmente dimensionate per resistere a catapulte e arieti, macchine da guerra
normalmente di efficienza inferiore a quelle in dotazione all’antico esercito
romano. La tecnica medievale infatti non riuscì mai a riprodurre le terribili
macchine di lancio romane, basate sull’effetto torsionale di fasci di corde.
L’avvento
della polvere da sparo costringerà quindi le città ad una radicale revisione
dei concetti progettuali delle difese passive.
In
Monopoli, fino all’inizio del XV secolo, sono evidenti due fasi distinte:
nella prima, fino alla metà del XII secolo, le spinte alle modifiche del
sistema di fortificazioni sembrano causate più da variazioni di politica
militare che da esigenze urbanistiche, mentre nella seconda fase, dal XIII
secolo in poi, evidentemente in corrispondenza di un periodo di forte espansione
demografica, sembrano prevalere le esigenze civili. Certamente però, anche in
questi secoli, sono le vicende politico-militari a determinare le più pressanti
cause di modifica del sistema difensivo della città.
Le difese
altomedievali di Monopoli
Vi è una totale
mancanza di notizie storiche certe, in relazione alla Monopoli altomedievale, ma
la città esisteva ed era certamente fortificata. Infatti nello scavo effettuato
in corrispondenza della breccia di Porta Vecchia e all’interno del torrione di
via Pappacenere, per il restauro delle mura cinquecentesche, sono emersi resti
di strutture che sembrano avvalorare questa ipotesi.
Le murature
localizzate verso la Porta Vecchia, risultano in parte impostate sul banco
tufaceo ed in parte sovrapposte ai conci delle fortificazioni classiche; nel
limitato spazio dello scavo sono evidenti ben cinque diverse tecniche murarie,
oltre le strutture classiche e quelle cinquecentesche, le altre tre, per
posizione e caratteristiche costruttive, sono certamente posteriori al periodo
classico, in quanto elevate sui resti della prima cerchia. In particolare
possiamo distinguere un breve tratto di terrapieno rivestito da una muratura a
piccoli conci di pietra viva e tufo (a) l’angolo interno formato dal fianco di
una torre e dalle mura (b) sulle quali si innesta infine un nucleo di scheggioni
di tufo e terra (c), inglobato nelle fondazioni cinquecentesche. Anche
all’interno e nei pressi del bastione Pappacenere sono venuti in luce parti di
fortificazioni con caratteristiche simili, anche se realizzate con molta maggior
cura.
Pur nella diversità
di pezzatura, natura, lavorazione e tessitura dei conci, in queste strutture
ricorre costantemente l’uso di malta costituita da semplice terra, la tecnica
è rozza, i materiali raccogliticci, il nucleo è formato solo da terra e tufo,
la calce non è mai presente; evidentemente la costruzione di queste difese è
avvenuta in un lungo arco di tempo, caratterizzato da un accentuata e
persistente crisi economica, probabilmente tra il VII e il X secolo.
Il periodo che va
dai primi anni del VII secolo a tutto il IX, fu particolarmente drammatico per
la città, certamente provata anche dalla gravissima crisi economica e
demografica, comune in quegli anni alla totalità dei centri urbani
dell’Europa occidentale; ed è quindi probabile che a partire dal VII scolo si
sia cercato di riutilizzare i resti delle mura classiche, ricostruendole sia
pure in modo sommario e parziale, con le poche risorse umane e materiali a
disposizione. Il perimetro di questa cinta muraria che possiamo definire
longobardo-bizantina, doveva quindi essere quasi coincidente con quello delle
difese di età classica, utilizzate in qualche caso, come a Porta Foca, a base
delle nuova mura.
Come legante è
usata semplice terra; anche le fondazioni sono approssimative, realizzate senza
eliminare grosse lenti di terreno; la struttura, che corre parallela alla
cortina cinquecentesca, potrebbe essere quanto resta della fragile cinta
altomedievale, poco più di un semplice terrapieno. L’ultimo filare di conci
sembra di epoca diversa e pare sia in relazione con i vicini resti del fianco di
una torre che si protende verso la spiaggia. Anche in questo caso ola struttura
si presenta come un semplice paramento posto a rivestimento del retrostante
terrapieno; a giudicare dalla tecnica muraria, dall’uso dei conci di tufo più
alti che lunghi, murati con terra, si può ipotizzare per questi resti una
datazione tra il VIII e il X secolo.
Solo verso la metà
del X secolo, in occasione di un graduale rifiorire dell’economia urbana, le
fortificazioni cittadine vengono migliorate e integrate con torri, per
fronteggiare la sempre maggiore aggressività mussulmana.
La
Monopoli di questo periodo era certamente ben fortificata ed il porto doveva
essere presidiato da galere di Bisanzio. Parti di muratura, forse appartenenti
ad una torre databile intorno al X-XI secolo, sono state individuate sempre nel
restauro delle mura cinquecentesche all’interno del torrione Pappacenere. Si
tratta di strutture realizzate in ottimo carparo, con conci ben lavorati e
perfettamente connessi, a doppio paramento con nucleo interno, murati con malta
di calce e terra. Questa torre risulta fondata direttamente sulla scogliera e
sporge dall’antico terrapieno al quale si addossa. La parte inferiore, per
un’altezza di circa due metri, è riempita di terra sciolta, come il
retrostante terrapieno.
Poiché
la posizione di questa struttura è praticamente coincidente con quella del
torrione di Pappacenere, è verosimile riconoscervi i resti di una delle sei
torri citate dagli storici, come facenti parte delle fortificazioni di
questo periodo.
Secondo il Finamore
Pepe, Monopoli oltre alle mura, possedeva sei torri: la prima, all’ingresso
del porto, era la Turris Caesaris (i cui resti dovrebbero essere quelli
inglobati nel castello); la seconda sorgeva in corrispondenza del campanile
dell’Amalfitana sul porto interno, la terza presso Porta Turris, la quarta al
centro della città in corrispondenza del campanile di S. Pietro, la quinta
presso il torrione di Pappacenere, la sesta, nel luogo di Porto Golfo davanti
all’ex forno di S. caterina, è tuttora visibile; quest’ultima torre
sembrerebbe però risalire al XII secolo e apparterrebbe quindi alla successiva
cinta normanna. Risulta così evidente l’accurata disposizione delle torri,
tutte, eccetto quella di S. Pietro (nel mezzo della città), poste a difesa dei
due approdi principale della città.
Questa cinta
muraria (X-XI sec.) che possiamo definire bizantina, dovrebbe essere per gran
parte coincidente con quella longobarda-bizantina (VII-X sec.), eccetto forse
per un modesto ampliamento nella zona dell’attuale cattedrale e palazzo
vescovile. Queste fortificazioni si distinguono però nettamente da quelle
longobardo-bizantine per una diversa concezione difensiva e per l’ottima
tecnica esecutiva.
I resti, venuti
alla luce nel bastione Pappacenere, dimostrano che le torri non erano più un
semplice risalto della cortina-terrapieno; perfetti parallelepipedi, con
murature verticali prive di inclinazione a scarpa, si presentavano
strutturalmente ben distinte e ottimamente realizzate, sia in fondazione che in
elevato.
Svettavano ben al
di sopra delle contigue cortine, i conci erano ben connessi, privi di appigli,
la superficie del carparo lavorata con cura ma non bocciardata. Sarà proprio
questa cinta che si opporrà in vano ai nuovi invasori: i Normanni.
Le
ristrutturazioni normanne e federiciane
Sicuramente intorno
al 1057 Monopoli è espugnata dai Normanni; i primi anni del XII secolo sono un
periodo di grande ripresa economica e demografica; le città risorgono
definitivamente dalla lunghissima crisi che le aveva colpite dalla fine
dell’impero. E’ quindi opinabile che la prima vera ristrutturazione della
cinta muraria di Monopoli sia del 1110; devono essere state effettuate
consistenti modifiche alle fortificazioni bizantine, la più importante delle
quali è forse l’ampliamento delle mura, dalla zona della Cattedrale-palazzo
vescovile lungo il bordo nord-ovest del porto canale, che verrà così ridotto a
semplice fossato. Due torri superstiti, prospicienti via Barbacana, avvalorano
questa ipotesi; niente resta della cortina che collegava queste torri, ma
certamente doveva correre sull’estremo limite della lama.
Nella zona a sud
della cattedrale, le mura normanne probabilmente correvano arretrate di circa 15
metri rispetto a quelle cinquecentesche, come fanno pensare alcuni resti di
grosse strutture in pietra viva (XII-XIII
sec.), visibili tra le fondazioni delle sagrestie su via dei Mulini, subito alle
spalle di altre fortificazioni più recenti (XIV-XV sec.).
L’ampliamento
normanno del perimetro difensivo bizantino, non risulta particolarmente
imponente; cambiamenti sostanziali si possono notare invece nella concezione
difensiva di queste nuove fortificazioni; viene esaltata la funzione delle
torri, la parte più interna del porto canale e trasformata in fossato, inizia
la realizzazione del grande castello, forse integrando strutture residue in
prossimità di Porta Castri. Anche il materiale utilizzato e la tecnica muraria
cambiano completamente, si preferisce il calcare duro al carparo locale usato
sin dagli albori della città, i conci vengono lavorati con estrema cura sia
nelle giunzioni che sulla superficie esterna, l’uso di malta di calce è ormai
generalizzato, con l’aggiunta di inerti: sabbia, tufina , terra rossa o più
raramente pozzolana. Il nucleo interno delle murature è costituito da schegge
di calcare e calce o da blocchi di carparo ben squadrati. In questi anni la città
cambia gradualmente volto: tutti gli edifici pubblici, i palazzi, il castello,
le chiese, il castello e la parte ristrutturata delle fortificazioni cittadine,
sono realizzate in pietra viva finemente lavorata; l’uso del tufo resta
limitato alle abitazioni comuni; verso la fine del XII secolo le torri di difesa
svettavano su un tessuto urbano racchiuso dalla nuova cinta; nel 1274 erano già
state completamente ampliate racchiudendo e comprendendo l’intera città.
Gualtieri di
Brienne nel 1202 attacca in forze Monopoli, rimasta fedele alla Corona, ma non
riesce a prenderla; nel 1220 Federico II premia Monopoli per la fedeltà
dimostrata, ricostruendone le mura gravemente danneggiate durante l’assedio di
Gualtieri; l’imperatore pare anche voler potenziare l’importanza
amministrativa della città, infatti istituisce in Monopoli uno dei due uffici
burocratici di maggior prestigio di Puglia: la Schola Ratiocinii, una sorta di
corte dei conti imperiale; è quindi estremamente probabile che, poco dopo il
1222, Federico non abbia semplicemente ricostruito le mura cittadine, ma abbia
provveduto ad ampliarle includendo anche Port’Aspro.
Si può concludere
che la cinta muraria del 1222, arrivata con poche modifiche fino alla fine del
XV secolo, non doveva essere, come perimetro, molto dissimile da quella del
periodo finale. Era certamente priva di accorgimenti difensivi che non fossero
le merlature e le semplici torri; la differenza più evidente era costituita dal
grande castello posto ad ovest lungo le mura, che dominava con la sua imponente
mole l’intera città.
La cerchia
federiciana era strutturalmente molto simile a quella normanna, della quale
costituiva il naturale completamento; ancora per tutto il XIII secolo si
continuerà infatti ad usare tecniche e materiali impiegati dal XI-XII secolo.
In occasione del restauro delle mura cinquecentesche, è stato possibile evidenziare un poderoso e durissimo nucleo in schegge di pietra viva e calce, sabbia e forse pozzolana, inglobato nella parte inferiore della cortina; questi resti potrebbero appartenere sia alla cerchia normanna che a quella federiciana, presentano infatti numerose analogie con le murature absidali della cripta della cattedrale di Romualdo (1117) ma anche con il nucleo della carteratura esterna (XIII sec.).
L’evoluzione
delle fortificazioni cittadine dopo l’avvento dell’artiglieria
E’ importante
stabilire con sicurezza quando l’evoluzione tecnologica dell’artiglieria ha
cominciato, a Monopoli, a determinare la necessità di modificare le
fortificazioni urbane; da questo momento si innescherà un radicale processo di
trasformazione di queste strutture. Il più antico disegno di una grossa arma da
fuoco, del 1327, è riportato nel manoscritto di Walter de Millimete; i primi
documenti veramente scientifici relativi ad armi da fuoco pesanti appaiono nel
“Codex germanicus”, manoscritto databile tra il 1345 e il 1390.
E’
quindi certo che a partire dagli anni intorno al 1320, in tutta Europa ed in
particolare in Italia, le armi da fuoco divengono di uso comune, superando la
fase sperimentale, comunque ciò è valido soprattutto per quanto riguarda le
armi leggere, perché
l’artiglieria cominci a far sentire il suo peso, contribuendo a modificare
sostanzialmente i concetti di progettazione delle fortificazioni, occorrerà
attendere almeno il XV secolo. E’
in questo scenario di rivoluzione della tecnologia militare che a Monopoli si
arriverà all’episodio che più di altri cambierà l’aspetto esteriore delle
mura e dell’intera città: l’abbattimento del grande castello di cui non si
sa molto di questa imponente fortezza.
Il pericolo turco ed i bastioni alla
“moderna”
Nel 1453
l’Occidente perde Costantinopoli, da questo momento comincia a divenire
pressante, in tutta Europa, la minaccia del Turco. Nel frattempo il cannone è
divenuto un arma completamente affidabile e quindi alla fine di questo secolo si
iniziano a formulare elaborazioni teoriche innovative nel campo
dell’architettura militare; diversi autori, il Filerete, Francesco di Giorgio
Martini, Leonardo…, redigono trattati sulle nuove fortificazioni ed in parte
realizzano interessanti esempi.
Nell’agosto del 1480 l’armata turca di Achmet Pascià conquista Otranto e conseguentemente potenziano le difese cittadine realizzando i primi bastioni alla moderna; la Puglia è ora tutto un fervore di lavori di fortificazioni moderne. Nell’ultimo decennio del XV secolo vengono utilizzati di preferenza bastioni cilindrici, di diametri variabili in funzione della posizione; molto curati i tiri di fiancheggiamento, l’orientamento delle cannoniere, il fossato, la robustezza delle cortine. Solo verso l’inizio del XVI secolo e particolarmente in epoca spagnola verranno realizzati i classici bastioni pentagonali.
Il
restauro del 1990
Nell’aprile
del 1986, su incarico del comune di Monopoli, l' arch. Domenico Capitanio,
insieme all’ing. E. Pistoia, redigeva un progetto di restauro e valorizzazione
della cinta muraria.
Il progetto generale prendeva in
considerazione l’intero sviluppo delle mura di Monopoli, dalla parte
posteriore della cattedrale fino all’interno del porto, con un costo
preventivo di lire 4.229.145.297. Solo nel 1990, grazie all’interessamento
dell’assessore Paolo Rotondo, il ministero dei Beni Culturali ed Ambientali,
erogava un contributo di lire 500.000.000 e confermava l’incarico ai
progettisti e conferendo la direzione dei lavori.
L’esiguità del
finanziamento consentiva di intervenire solo su una parte della cerchia muraria.
Il tratto prescelto, dalla Porta Vecchia al bastione Pappacenere, era quello
maggiormente degradato, dove ogni minimo ritardo avrebbe potuto compromettere
irrimediabilmente la stabilità. Si stavano infatti verificando in più punti
distacche sempre più frequenti di interi conci e di porzioni del nucleo, con
grave pericolo anche per la pubblica incolumità.
In
questa zona delle mura, gran parte dei fenomeni di dissesto erano dovuti
all’azione demolitrice delle onde marine nonché all’azione combinata
vento-salsedine; appariva inoltre indispensabile rimuovere i resti delle parti
di mura e del bastione ricostruite dal genio civile. Queste integrazioni infatti
erano già in parte crollate a causa di errori costruttivi e per di più erano
realizzate in pietra calcarea bianca, totalmente estranea alla natura del
materiale impiegato, il tufo carparo.
La
parte inferiore, risalente al XVI secolo (lato mare), per altezza di circa m.
1.65 risultava costruita con un paramento esterno di carparo di ottima qualità,
collegato al nucleo a regola d’arte con l’alternanza di conci di varia
profondità. La parte superiore (sopraelevazione del XVII sec.) del medesimo
tratto di mura e del bastione, a partire da tre filari al di sopra del toro, era
caratterizzata da un paramento murario costituito da materiale lapideo meno
resistente agli agenti atmosferici di quello adoperato nel tratto sottostante;
in più parti infatti, questa zona si presentava fortemente erosa ed in molti
punti il nucleo appariva disgregato e posto a nudo.
Il
bastione era stato oggetto, da parte del genio civile, di massicci interventi
relativi la solo paramento esterno; tali integrazioni erano state
successivamente vanificate dall’azione delle mareggiate anche a causa
dell’insufficiente ancoraggio del paramento al nucleo. La testata verso la
Porta Vecchia appariva sbrecciata e semidiroccata in seguito ad un infelice
intervento effettuato negli anni cinquanta per esigenze di viabilità; a poca
distanza una profonda lesione verticale, probabilmente dovuta ad assestamenti
differenziati in fondazione, tagliava tutto lo spessore delle mura da parte a
parte.
Gli
interventi di restauro effettuati possono essere così schematizzati:
1)
integrazione delle gravi lacune del paramento murario superiore, lato
mare, con scuci-cuci e simultaneo consolidamento in corrispondenza delle
medesime zone del nucleo interno, mediante iniezioni a gravità di miscela
cementizia;
2)
demolizione dei resti degli interventi murari effettuati dal genio civile
previa puntellatura delle parti pericolanti;
3)
ricostruzione delle zone di cui al punto due e di quelle demolite dalle
mareggiate mediante: perforazioni orizzontali nel nucleo, inserimento di tondini
in acciaio inox da mm. 12, iniezioni a bassa pressione di miscela cementizia,
collegamento dei ganci di testa dei medesimi tondini con una rete in acciaio
inox mm. 12 a maglie quadrate di 20x20 cm., formazione, tra il nucleo così
consolidato ed il nuovo paramento, di intercapedine di cm. 10 mediante posa in
opera di conci di carparo opportunamente sagomati a coda di rondine sul retro,
per realizzare un buon ancoraggio, successivo riempimento di questo vuoto con
getto di conglomerato cementizio a resistenza R250. Questa tecnica è stata
sperimentata allo scopo di realizzare un efficace collegamento del nuovo
paramento esterno al nucleo interno consolidato, in modo che la struttura, nel
suo complesso, sia in grado di resistere all’impatto diretto dell’onda
frangente. E’ opportuno ricordare che in corrispondenza del torrione, la
massima onda teorica proveniente da 118 gradi nord può raggiungere i sei metri
di altezza. Infatti in questa zona i paramenti in pietra calcarea realizzati dal
genio civile, senza alcun ancoraggio al nucleo, sono crollati alle prime
mareggiate. A causa dell’ambiente marino, estremamente aggressivo nei
confronti del cemento armato, è stato necessario, usare sempre acciaio inox ,
in sostituzione del consueto ferro da costruzione o del ferro zincato;
4)
consolidamento della testata delle mura mediante: perforazioni
orizzontali fino ad oltrepassare la lesione verticale, inserimento di tiranti in
acciaio inox, iniezione di miscela cementizia a bassa pressione, scuci e cuci
dei bordi della testata, stilatura dei grossi giunti del nucleo in vista,
risarcimento delle lesioni verticali con schegge di pietra e cocciopesto. Non si
è reputato opportuno procedere alla regolarizzazione o ricostruzione della
testata per evitare mistificazioni e per lasciare spazio ad interventi
successivi;
5)
trattamento delle superfici esterne, verticali e orizzontali, di mura e
bastione, comprendente: la patinatura delle zone sostituite a scuci e cuci, la
pulizia, consolidamento e protezione delle parti restaurate o consolidate,
applicando a spruzzo airless, prodotti a base di silicato di etile e silossani;
6)
restauro ed evidenziazione delle tre cannoniere sulla cortina, ultime
vestigia delle mura cinquecentesche originali, dotate di retrostante terrapieno;
recupero e restauro delle due cannoniere traditore; restauro e posizionamento di
tre obici napoletani dell’inizio del XIX secolo. Altre quindici bocche da
fuoco dello stesso tipo sono infisse nel porto come bitte, recentemente
recuperate e restaurate; il loro posizionamento nel bastione, sul castello e sul
torrione S. Maria, completano in modo efficace il ripristino degli ultimi resti
di un poderoso sistema di fortificazione.