ASPETTI AMBIENTALI

Per qualsiasi intervento in area ex AFP si mostra necessario, per le riflessioni contenute nel capitolo dedicato all’analisi di questo lavoro, un’azione di bonifica indirizzata quantomeno al recupero igienico ed ambientale della zona.

A maggior ragione, è necessario un intervento di tale fattura per i contenuti della proposta esposti nella sezione precedente; addirittura, oltre al ripristino delle condizioni igieniche dovute ed al recupero ambientale, è d’obbligo un certo intervento di recupero anche estetico, visto che la destinazione degli spazi ha in se obiettivi anche attrattivi di un certo turismo "didattico".

Per quanto riguarda il recupero igienico - ambientale dell’area, le azioni devono essere almeno le seguenti, tratte dai documenti, già citati, redatti dal Prof. Ing. Franco Selicato, Docente presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari, in merito alla redazione di un programma di prefattibilità, riferito alle possibilità di intervento nell’area ex AFP:

 

"1 - Per quanto riguarda il disinquinamento e la bonifica dell'area, si individuano i seguenti aspetti specifici:

2 - Bonifica residui processi di produzione

L'intera area occupata dai manufatti costituenti l'ex opificio si presenta ricoperta da residui dei processi di produzione accumulati negli anni di esercizio.

L'esame visivo dello stato dell'attuale soprasuolo induce a ritenere che si tratti di residui classificabili tra i NON PERICOLOSI ma di tipo "Usi speciali" ai sensi del D.L. 15/02/97 n. 22 e, pertanto, da avviare ad una discarica di 2° cat. di tipo "B".

Tuttavia, si ritiene opportuna una più attenta analisi qualitativa dell'intero strato superficiale al fine di accertare la esatta natura di tali residui e stabilirne la corretta classificazione.

Infatti, se tali residui potessero essere ritenuti inerti, ancorchè speciali, il loro recapito potrebbe essere una discarica di 2° cat., ma di tipo "A", decisamente più economica.

Restando, invece, nella prima ipotesi più cautelativa - rifiuti NON PERICOLOSI ma di tipo speciali - la bonifica va eseguita con la scarificazione dell'intera area occupata dai manufatti per una superficie totale di 40.000 mq. ed interessante uno spessore di "battuto" tra i 10 ed i 30 cm. di profondità.

In tal caso si avrebbe in totale una movimentazione di circa 10.000 mc., potendosi assumere come recapito finale le discariche di Canosa di Puglia.

Per quanto attiene il sottosuolo della zona occupata dell'opificio si dovrà procedere ad una accurata ispezione mediante carotaggi opportunamente dislocati in più punti dell'intero complesso industriale, per accertare l'eventuale presenza di rifiuti anche in profondità.

3 - Bonifica rifiuti di dubbia provenienza

L'intera area, soprattutto in alcune grandi vasche poste al di sotto del livello di campagna ubicate all'interno dei capannoni, è caratterizzata dalla presenza di quantità di rifiuti di provenienza sconosciuta e, comunque, non riconducibile ai processi di produzione.

Trattasi anche di fusti disseminati un po' ovunque, nonché di residui solidi sversati o accumulati.

La relativa bonifica va così articolata per fasi:

  1. Localizzazione esatta dei singoli elementi e loro catalogazione precisa;
  2. Esame ed analisi in situ delle sostanze, senza manomissione dei contenitori, ovvero senza alterare la situazione esistente;
  3. Decisione sul tipo di bonifica in relazione alle caratteristiche del rifiuto.

Tali operazioni di per se complesse e delicate dovranno essere eseguite con particolare cautela e da ditte specializzate.

4 - Bonifica rete di smaltimento ex reflui industriali

Attenzione andrà posta nel verificare la situazione attuale della rete di smaltimento dei reflui industriali soprattutto con una accurata ispezione dei possibili punti di accumulo di residui solidi o "precipitati" eventualmente ancora presenti.

Anche per questo tipo di intervento le procedure saranno simili a quanto indicato nel punto 3)".

 

Dopo aver ristabilito delle condizioni igieniche che rispettino le norme inerenti la destinazione dell’area secondo la presente proposta, sarà necessario porre mano ad interventi che rendano godibile gli spazi dell’impianto.

In primo luogo, nel settore occidentale, destinato ad ospitare un museo archeologico industriale (che racconti le ex AFP) e un museo del treno d’epoca, oltre che gli edifici dell’amministrazione e la mensa del personale, sarà importante già un processo di alberazione, chiaramente non con esili ramoscelli, come spesso si fa per creare nuovi giardini, che per vederli lussureggianti non basta un quarto di secolo: è opportuno e ragionevole trapiantare alberi facenti parte della ormai cercasi macchia mediterranea, come Pini Marittimi, Carrubi, etc.

La superficie destinata a vasche per l’allevamento del pesce non sia poi alla stregua di una grande vasca di decantazione, come un parallelepipedo incassato ricolmo d’acqua; abbia piuttosto delle caratteristiche tali da potersi confondere con un certo ambiente quasi naturale.

Questo impone anche che, nel recupero dei capannoni individuati nella proposta, si faccia attenzione anche ad un discorso di pregio, senza pensare di trattarli come immense serre zincate.

Lo stesso discorso di attenzione agli aspetti estetico – ambientali va posta per la fascia di terra confinante con il settore nord – orientale della ex AFP: nella proposta, la superficie viene destinata a parco urbano: questo significa porre grande cura nella scelta degli elementi di arredo, della vegetazione e della pavimentazione (che sia il più possibile assimilabile ad un contesto di naturalità – magari in pietra locale o almeno artificiale ma simile).

A questo punto si deve spendere qualche parola sulla lama: sarebbe auspicabile una vera e propria bonifica, oltre al ripristino delle condizioni naturali, per renderla il più possibile un corridoio ecologico. Direi che sia impensabile rimuovere l’attività presenti alla foce (Sala ricevimenti con annessa area di parcheggio), ma almeno sarà possibile bonificarla dal materiale di risulta delle ex AFP.

Si potrebbe ristabilire un giusto rapporto con la ferrovia, che per attraversarla ha dovuto generare una sorta di effetto diga, con disagi dal punto di vista idrogeologico: questo si potrebbe ottemperare attraverso un ponte ad archi con luce di circa 20 mt per coprire una distanza di circa 200 mt.

Tuttavia è un intervento dal grosso impatto economico, che non credo trovi al momento grosse possibilità.

Resta il fatto che la lama va recuperata, anche per evitare i danni arrecati nell’ultima alluvione di due-tre anni fa. È vero che un processo di piena di una lama avviene circa ogni trent’anni, ma quest’elemento strutturale del territorio gioca un ruolo importante nell’assetto ecologico – ambientale locale.

Il suo recupero costituirebbe innanzitutto un segno di maturità e consapevolezza della cittadinanza, oltre ad una serie di opportunità legate e ad un turismo agreste – se questo recupero fosse accompagnato da azioni sincronizzate in questo senso, soprattutto nell’agro di Giovinazzo, ricco di storia e di piccoli gioielli architettonici in stato di abbandono, come i tanti Casali – e al carattere di attrattività esplicabile dall’area delle ex AFP, se destinata come in questa proposta.