PREMESSA

Esperienze sempre più diffuse hanno evidenziato le molteplici opportunità che le comunità possono cogliere attraverso la riutilizzazione di grandi aree dismesse. Ad esse può attribuirsi infatti un ruolo sempre più determinante nelle politiche di riqualificazione urbana, soprattutto se fondate su coerenti strategie complessive. In tale ottica diviene altresì rilevante il ruolo della regia pubblica in tutte le fasi che scandiscono il processo di riqualificazione e/o di recupero, dal progetto all'attuazione.

Il nostro tradizionale modo di agire ci porta a collegare le grandi aree dismesse e "le loro dimensioni metriche a quelle dei valori immobiliari in esse depositati, degli interessi ad esse associati, degli investimenti necessari per una loro riconversione, delle molteplici attività che in esse è possibile insediare" (Secchi, 1984).

Le politiche urbanistiche si muovono solitamente lungo tre principali direzioni:

i) rifunzionalizzazione attraverso interventi di polarizzazione, anche di tipo sovraurbano in relazione alla possibilità di garantire un sistema efficiente di accessibilità, mediante realizzazione di particolari strutture di servizio (ad esempio parchi tecnologico-scientifici e più in generale, servizi di scala territoriale);

ii) rifunzionalizzazione mediante realizzazione di servizi a scala macro e/o microurbana;

 

iii) rifunzionalizzazione mediante realizzazione di progetti innovativi, dal carattere fortemente sperimentale, il cui obiettivo principale è quello di slegare e cucire le parti diverse del territorio urbano (Secchi, 1993).

Di volta in volta le aree dismesse quindi sono state e sono interpretate come l'occasione a) per integrare gli spazi da esse occupati al tessuto circostante e renderli omogenei ad esso, oppure b) per riassegnare a questi spazi un ruolo emergente almeno pari a quello storicamente assunto nella realtà urbana, attraverso una rifondazione dei luoghi e dei suoi valori, oppure ancora c) per sperimentare nuove possibilità di riconnessione tra dimensione urbana e più ampie valenze metropolitane.

E' certo comunque che la presenza di grandi "vuoti" urbani non può ricondursi a soluzioni costruite unicamente sull'assegnazione di funzioni, essendo invece necessarie, in tal caso, riflessioni più ampie in cui l’intero territorio urbano (e a volte anche oltre) entra in gioco.

Occorre dunque allargare il campo di osservazione, oltre gli aspetti contingenti, siano essi socioeconomici, che spaziali e/o temporali.

Se le ipotesi di riuso dell'area dismessa fossero caratterizzate da interventi di riconversione ad attività ancora produttive, che prevedessero l'introduzione di servizi alle imprese e/o produzioni ad alta tecnologia, è necessario considerare il contesto produttivo territoriale in cui l'area di dismissione/riuso è insediata, il contesto sub-regionale e regionale in cui il territorio è inserito, le interrelazioni in termini di flussi merci-informazioni tra l'area e il mondo esterno.

Particolare rilievo hanno, in tale contesto, attività di tipo innovativo, intendendo per attività di tipo innovativo quelle ad alta tecnologia, più specificamente riconducibili ai cosiddetti Parchi tecnologici.

Si dovrà in tal caso considerare:

  1. La posizione rispetto alla "frontiera tecnologica" dei settori produttivi e dei servizi che contraddistinguono la struttura produttiva territoriale;
  2. Le interdipendenze di tipo tecnologico che la struttura produttiva e le imprese innovative intratterranno tra loro e il mondo esterno;
  3. L'ambiente innovativo che dovrà necessariamente sopportare un intervento innovativo di "successo", ossia l'insieme di tecnici-ricercatori, nuove piccole imprese ad alta tecnologia, centri di ricerca pubblici/privati, istituti di formazione anche di livello superiore, etc.

 

Nella proposta che seguirà nelle sezioni successivi, oltre alle considerazioni sin qui enunciate, si terrà in conto di ulteriori riflessioni.

Nel 1992, dopo che la Commissione Brundtland aveva posto nel 1987 al centro della questione ambientale il problema dell’impatto che le società producono sull’ambiente e aveva avviato la questione dello sviluppo sostenibile, inteso come sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri, si tiene a Rio de Janeiro il Summit delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo.

In questa circostanza viene condivisa la necessità di elaborare piani di azione per specifiche iniziative economiche, sociali e ambientali in vista del XXI secolo.

Tra i numerosi documenti prodotti, equivalenti sostanzialmente a dichiarazioni di intenti, è importante "L’Agenda 21", agenda di impegni ed interventi per lo sviluppo sostenibile da attuare nel nuovo secolo.

Vengono fissati criteri cui dovranno attenersi le politiche dello sviluppo, a livello globale, nazionale e locale.

All’interno di questo documento, vi è poi "L’Agenda 21 locale", che tratta aspetti dello sviluppo sostenibile che riguardano il livello locale, in particolare quello urbano.

Proprio in questa sezione dell’Agenda 21 si stabilisce che la maggior parte delle autorità locali dovrà aver intrapreso consultazioni con la popolazione.

Il processo si svolge a partire da una prima attivazione degli attori locali attraverso una discussione aperta che ha come oggetto le modalità per rendere compatibile lo sviluppo locale nei vari settori chiave (pianificazione degli insediamenti, dei servizi, dei trasporti, delle aree a verde, …) con gli obiettivi della sostenibilità.

Sarà su queste basi che prenderò le mosse per tracciare i lineamenti di una proposta che ricalchi il più possibile esigenze, condizioni e opinioni della popolazione di Giovinazzo.