BREVE STORIA DI GIOVINAZZO (pag.7)
Dal periodo normanno all'Unità d'Italia (4^ parte) Iniziò dunque il '600,
un secolo considerato antipatico da tutti, perché
fra pesti, carestie, siccità e terremoti, durante ben
65 anni strinse la regione pugliese in una morsa di dolore e di
morte; come se ciò non bastasse si aggiungevano tre
grandi problemi: la miseria, il regime baronale ed il governo spagnolo.
La miseria, per esempio, appesantita dalle difficoltà di traffico,
dall'abbandono dell'agricoltura, dalle insidie piratesche sul mare,
dalla dogana, dalle tasse e dalle vessazioni, aveva paralizzato
ogni forma di vita. Alcuni dati ricavati dagli Atti notarili del tempo
bastano a dare un quadro vivo. Nel 1606, per esempio, a Giovinazzo
popolata di circa 5000 abitanti, morì tanta gente per fame,
chiusa in casa o relegata nella solitudine della campagna; nel 1607
una invasione di cavallette distrusse l'intero raccolto e nel 1610
una grande nevicata bruciò i nostri alberi, che seccarono
e furono tagliati. La gente usciva per le strade gridando pane,
mentre le donne piangevano disperate, perché non
avevano nulla da dare ai figli.
Nel 1647 poi, colpita con particolare durezza dalle forze della
natura, la popolazione perdette ogni residuo di controllo morale.
E mentre a Napoli sorgeva l'indefinibile Masaniello, come voce di
ribellione generale, a Giovinazzo ci furono alcune rivolte, seguirono
i processi, si riempirono le carceri, si ersero anche le Forche in
contrada Carminiello. Ed il nuovo Signore di Giovinazzo, per nulla
preoccupato di tante bocche affamate, era intento a costruirsi una
dimora lussuosa. In questa situazione disastrosa, su quella massa
dolorante dominava spietato il governo spagnolo.
Ricordiamo, infine, la peste del 1656, non ultima ma la più
micidiale: a nulla servirono le processioni pubbliche, per cui
l'autorità religiosa decise di chiudere le porte, di evitare
assembramenti, di uccidere i cani ed i gatti.
Quella peste durò 6 mesi ed a Giovinazzo fece 1800
vittime, ossia quasi un terzo dell'intera popolazione.
Come Dio volle, passò anche il '600 e la Puglia ne
usciva fortemente provata. Più nulla interessava a
quella gente: amor patrio, vita pubblica e militare, religione,
costume sociale, pensiero, dottrina e persino la lingua, tutto
decadde. La stessa Arcadia sorse come fenomeno di evasione
degli spiriti dal duro ricordo delle sventure passate. Altrove, invece,
la situazione era profondamente diversa.
Del resto nel '700, in una storia fattasi gigante con la cessazione
delle storie municipali, con la disintegrazione
della stessa intera penisola italica e con la creazione
dei grandi Stati, non c'era più spazio all'operato
singolare e solitario ed agli eroismi comunali. L'uomo correva
come un esaltato sulle ali della libertà senza limiti e senza
treni, perché si sentiva universale nelle nuove dimensioni
e spezzò ogni legame col passato, incenerendo
ogni concetto di autorità nei rossi bagliori di una lotta
sanguinosa e fra gli urli di una folla "sanculotta". Il dolore
comune avvicinò i popoli e nel dolore nacque l'ansia
di liberazione dalle disuguaglianze e dalle ingiustizie sociali,
attraverso una lotta dapprima di pensiero e di spinta verso il
progresso e poi di azione, resa più tardi cruenta dalla
rivoluzione. Anche gli studi, come ricerca del vero nel pensiero e
nell'arte contribuirono alla ricostruzione degli spiriti, convergendoli alla
fine in un alveo comune, che in Francia fu chiamato Illuminismo.
In sì vasta azione di rinnovamento dei popoli, in cui la Francia
settecentesca rovesciò sull'Italia tutto il suo mondo spirituale,
allo stesso modo in cui la Spagna aveva fatto in precedenza, l'Italia
proseguì sul suo cammino, su di un cammino lento, tradizionale,
ritardato, ma di rinnovamento, iniziato sin dal '600 sotto il vigile patrocinio
della Controriforma.
Per la Puglia, invece, il '700 coincise con un
ennesimo sballottamento fra diversi padroni in contesa.
Si era coricata spagnola nell'ultima sera del '600 e si svegliò
austriaca alle preme luci del nuovo secolo; passarono poi 34 anni e
tornò spagnola; trascorsero ancora 33 anni e visse sino
alla fine del secolo in un'ibrida situazione, istituzionalmente spagnola
e politicamente filoaustriaca.
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