BREVE STORIA DI GIOVINAZZO (pag.5)
Dal periodo normanno all'Unità d'Italia (2^ parte) Se i pugliesi tornarono, come ai tempi antichi, a commerciare con la Palestina, con l'Egitto, col Marocco, al punto di gareggiare con i mercati pisani e genovesi, fu merito soprattutto di Federico II e di Manfredi, che avevano trasformato le città, dando alle voci comunali una spinta verso la realizzazione di una fisionomia politica più onorabile, più dignitosa e più consistente. Questo, in fondo, è quanto narrano i Diurnali del duecentesco Matteo Spinelli, testimone oculare dei fatti ed autentico figlio di Giovinazzo. Giovane ancora di appena 38 anni, Matteo Spinelli probabilmente morì nel 1268, ossia 3 anni dopo la nascita di Dante, e nella sua pur breve esistenza di barone e di sindaco della città, trovò il tempo di scrivere in volgare giovinazzese, attraverso appunti personali, detti Diurnali, 20 anni di storia dal 1248 al 1268. Dunque egli ebbe il merito di scrivere prima dell'Alighieri un piccolo periodo storico in prosa volgare. Ma proprio questo particolare non piacque ad un’insana critica, che nel secolo scorso condannò il nostro concittadino ad una triplice morte, a quell’esistenziale, a quella civile ed a quella letteraria, negandogli l'esistenza, la patria e la paternità dei Diurnali. Chiusa nelle mura, al riparo dalle offese nemiche, Giovinazzo duecentesca visse i suoi giorni di attività intensa e sviluppò una sorprendente forza di dominio, che la rese capace di governare il suo vasto territorio ed i numerosi casali. Ricorse alle armi, e varie volte, ma conobbe anche i giorni di pace; ad ogni tempesta seguiva la calma, e sempre il popolo rivelava nuovi fermenti di vita. Giunse, però, il giorno della grande battaglia di Grandella presso Benevento, in cui, nel 1266 cadde eroicamente l'ultimo sovrano Svevo, Manfredi, ucciso dalla volontà papale per mano angioina. Così crollò la Puglia, perché a quella battaglia, per la nostra regione, seguì una vera spedizione punitiva, che impose una svolta radicale alla storia del meridione e determinò in certo qual modo il corso storico dell'intera Italia. La nostra regione fu accusata di aver attentato alla sicurezza sociale, in quanto per fedeltà ad una dinastia, si era rifiutata di entrare nel gioco ambiguo dei grandi politicanti del tempo, aveva percorso con audacia un sentiero pericoloso ed aveva minacciato di travolgere con la sua vitalità l'intera penisola. Tutti allora si sentirono autorizzati a denigrare la Puglia, e i pugliesi furono detti "gente mendace, infida, fallace, incivile, un volgo stolto, pravo, rude, futile, vano, incolto, malaticcio, ozioso, pigro, inutile in pace ed in guerra". Gli Angioini furono veri e propri sicari assoldati dal papa per abbattere la Puglia, ed in verità ben 160 città pugliesi perdettero la libertà e furono letteralmente trasformate in greppie dei nuovi signori; il rientro dei fuoriusciti e dei perseguitati dagli svevi poi, provocò dovunque feroci vendette, e più di 40 vescovi, rei di fedeltà al sovrano svevo, furono puniti dal Legato pontificio con la perdita della sede, mentre molti ecclesiastici fuggirono dalle città Interdette. In quella disgrazia Giovinazzo, notoriamente ardente filosveva, soffrì gli strali più acuti del castigo, precipitando rovinosamente nel fondo dell'abbandono morale, civile ed economico. Persecuzioni, spoliazioni, imprigionamenti, abbandono dei campi e del lavoro, brigantaggio, analfabetismo, asfissiante esosità fiscale, fuga delle famiglie nobili ed abbienti dai casali e dalla città in terre più tranquille: tutto provarono allora i giovinazzesi. La storia politica, che si studia nelle scuole, ricordando l'Italia del '300 e del '400, parla di risveglio, di umanesimo, di rinascita, di coscienza comunale, di Signorie e di Principati; è bene tuttavia precisare che quei due secoli furono per le nostre città secoli neri, come la notte. Miseria ed analfabetismo dilagarono rapidamente sino a diventare piaghe profonde della regione ed a condizionare ogni altra forma di vita. Dagli Atti notarili pugliesi del tempo emerge la constatazione che lentamente scomparvero i "testes licterati", sostituiti dagli analfabeti "testes illecterati", i quali al posto della firma apponevano il segno di croce. Lo sfacelo della Puglia, però, fece comodo ai vari sovrani angioini, durazzeschi ed aragonesi, succedutisi sul trono di Napoli, i quali ben presto capirono di poter governare su popolazioni ignoranti e depresse, coprendole di onori, di privilegi, di agevolazioni, di concessioni, che dopo tutto non servivano a risollevare le città. Ed in una Puglia così provata e prostrata, non poteva costituire eccezione Giovinazzo che, se nella prima metà del '300 riuscì a conservare un volto culturalmente decente, grazie ai suoi figli duecenteschi sopravvissuti alla tragedia, mostrò ben chiari segni di un lento avvio alla depressione nella seconda metà. Difatti visse nei discendenti degli Spinelli, mantenutisi sulla cresta delle onde angioine e durazzesche con i vari Giovanni, Matteo, Niccolò; vantò uomini eminenti e dotti come Costantino Rova, Leone Sasso, Antonio di Nicolò, Pavone Griffi, Giovanni Vallone, Mario de Preclosis, Grimaldo de Turcolis, Sisto Colletta, i De Planca; ma furono tutte figure riflettenti la tradizione colta di alcune famiglie nobili, più che dell'ambiente cittadino. La massa del popolo, essendo costitutivamente la parte più gracile nel campo della cultura e la più colpita dalla politica, rivelò chiari segni di cedimento nella vita. Continua |