BREVE STORIA DI GIOVINAZZO (pag.4)
Dal periodo normanno all'Unità d'Italia Nel secolo XI, Giovinazzo, come tutta la Puglia, penetrata dalla sorprendente vitalità dei prodi figli di Tancredi d'Altavilla, si fece normanna e visse una pagina entusiasmante di storia non più ripetuta. Verso il 1068 divenne città ed ebbe il primo feudatario nel Conte Amico, figlio di Galtiero e parente degli Altavilla. Questi fu un buon Signore per Giovinazzo, che volle cingere di mura anche sul versante di mezzogiorno con un validissimo forte detto il "forte d’amico", abbattuto poi nel secolo XV e sostituito nel 1488 dal Torrione Aragonese tuttora in piedi nell'insenatura portuale. Ma commise l'errore di tentare lo sgambetto politico al suo parente più forte, Roberto il Guiscardo, cosicché nel 1073 il Conte Amico perdette la signoria di Giovinazzo a profitto di un altro signore, Ivone, di provata fede guiscardiana. Tutte queste cose ce le racconta un figlio di Giovinazzo di quel tempo, il monaco Guglielmo Appulo, cronista e poeta noto alla letteratura mondiale. In un poema di 283l esametri latini, divisi in cinque libri, attraverso sanguinose lotte di popoli normanni e bizantini, longobardi e latini, africani ed asiatici, con un ritmo vertiginoso di eventi che travolsero intere città e con un frenetico succedersi di papi ed imperatori, di re e principi, di conti e cavalieri, che fremettero di una stessa ansia di gloria, Guglielmo Appulo cantò le gesta del Guiscardo ed esaltò agli occhi di tutto il mondo la piccola ed eroica Giovinazzo, fedele alla causa di Roberto. Ai Normanni dunque seguirono gli Svevi, e per Giovinazzo fu il momento magico in vetta alla sua esaltazione morale, civile ed economica. Non è possibile dire in poche parole chi furono l'Imperatore Federico II e suo figlio Manfredi per Giovinazzo, e cosa furono la Puglia e Giovinazzo per i due sovrani. I cronisti del tempo ed i critici posteriori li definirono variamente secondo la passione politica che li agitò. Federico e Manfredi restano comunque i sommi artefici della più fulgida ascesa politica della regione pugliese, e presso la nostra gente trovarono un’affettuosa venerazione quasi idolatrica. Severo ed allo stesso tempo tenero, giusto e comprensivo, forte nell'ira e più forte nell'amore, Federico amò la gente pugliese. Rimproverò la "gens infida Barii", i "Tranenses a sanguine judeo descendentes", i "Barulitani rustici et villani", la "gens Bituntina tota bestia et asinina", la "Altamura sordida et avara", la "Melphicta stercore plena et maledicta", la "merdosa Quarata magna" e di Ruvo ebbe a dire: "Rubi Rubisti, gens inimica Christi; Rubi Roborum, gens inimica christianorum". Federico, chiamato "il fanciullo di Puglia" e "il nuovo sole del mondo", governava su Palermo e sulla Sicilia, terra di incanti tropicali, regnava sull'incantevole Napoli, ma considerava la Puglia ben altra cosa, e chiamò Giovinazzo: "Jovis divina natio, sed Plutonis est habitatio", ossia: Giovinazzo è bella e quasi divina; peccato che per Pluto vada in rovina. Si diceva poi che Manfredi fosse un sentimentale, un romantico, un organizzatore di balli popolari, un poeta, un cantore quanto si voglia, ma seppe mantenersi ottimo sovrano, soldato coraggioso, uomo tra gli uomini, tanto che alla sua morte meritò di essere pianto dal popolo: "O Re Manfredi, non ti conoscemmo vivo, ma ti rimpiangiamo ora morto. Ti ritenevamo un lupo rapace tra le pecore di questo regno, or ci rendiamo conto che tu eri un agnello mansueto...". (Saba Malaspina, lib. III, cap. 16) In quei tempi le nostre città, quali Bari, Brindisi, Taranto, Barletta, Trani, Giovinazzo, Molfetta, Monopoli e tante altre, conobbero giorni di laboriosità, di commercio e di benessere tanto che i loro porti divennero veri empori di traffico nazionale ed internazionale; città come Andria, Canosa, Bitonto, Terlizzi, Ruvo, Corato, Gravina, Altamura, Foggia, Lucera, Melfi, Matera e tante altre, videro i loro prodotti (grano, vino, olio, formaggio, lana, pelli) giungere fin sui mercati di Dalmazia, di Austria, di Germania e di Ungheria. Continua |