Parte 3 - Bona Sforza e Modugno.
Dalla lontana Polonia Bona governò le terre del ducato di Bari mediante suoi luogotenenti. Educata fin da piccola dalla forte e saggia madre Isabella alla scuola del dolore per le tante sventure di famiglia, fu dotata anch’essa di senso pratico, fortezza d’animo e magnanimità . La personalità di Bona Sforza, appare dunque come la sintesi del gusto umanistico della nonna Ippolita Sforza e la tenacia politica della madre. Vissuta all’ombra della madre fino al suo matrimonio col re di Polonia Sigismondo il Vecchio, appena divenne regina di quella grande nazione ebbe modo di esprimere, sia a livello culturale che politico, tutta la ricchezza delle sue doti. Per poter agire più liberamente dovette combattere il potere che la piccola nobiltà (szalachta) aveva acquisito in quella nazione, attirando su di sé, non poche critiche per i suoi metodi. Anche il suo rapporto col mondo ecclesiastico, visto come parte del mondo politico, suscitò molti giudizi negativi, soprattutto per i suoi abissi nel diritto di nomina dei vescovi. Nonostante che essa fosse profondamente impegnata nella politica polacca, fu anche straordinariamente attenta ai fatti del suo ducato di Bari, come dimostrano le sue mosse sempre tempestive ed efficaci per raggiungere i suoi scopi. Essa si prodigò per il bene delle popolazioni e Modugno in modo particolare fu cara a questa regina. La voce popolare modugnese ritiene Bona come la più grande benefattrice del paese, una persona che le appartiene di diritto, quasi un nume tutelare. Il centro storico della città, le sue istituzioni, le chiese, i palazzi cinquecenteschi, le opere sociali e pubbliche, tutto si deve a lei. L’amore che Bona potò per Modugno contraccambiava la fedeltà dei modugnesi verso gli Sforza, della quale essi dettero prova sin dal 1502, quando Isabella, madre di Bona, schieratasi per la Spagna contro i Francesi, fu difesa dai modugnesi che issarono le bandiere e le armi degli Sforza. Anche quando vi fu il matrimonio di Bona con Sigismondo Iagellone, re di Polonia, la regina coinvolse la città di Modugno. Isabella comunicò di persona la lieta notizia scrivendo alle autorità e al clero. In quel tempo era arciprete di Modugno Gian Antonio De Ruggiero, fratello di Giosuè e feudatario di Binetto, di origine salernitana. A questi arrivò la seguente lettera : "Al recepere di questa vi preghiamo vogliate ordinare ad tueti li sacerdoti di questa nostra terra che ogni lunedì che incomenzando dal prossimo, che vene vogliamo celebrar la Missa de Spititu Sancto et ad orar ad nostro Signore Iddio ne faza contento de quello che desideremo. Bari 9 Ianvari 1517 . Isabella duchessa. La partecipazione del lieto evento fu trasmessa al capitolo, ed essa fu letta " per scribani dicti Capitoli de verbo ad verbum. Qua completa et bene intellecta omnes super capitolum dictam licteram receperunt et eam acceptaverunt magno gaudio. Et pari voto nemine discrepante concluserunt et dixerunt materna lingua : sia fatto voluntieremente quanto sua Signoria di ordine et comanda dal maiore al minore pregano Dio tutti contrito corde che pozami vedere sua Signoria madre et imperatrice. Amen, Amen, Amen." Ma non bastavano le preghiere per il buon esito del matrimonio, occorrevano denari, né Isabella voleva essere avara o frugale per Bona. Pertanto Isabella assegnò a Bona una dote che assommava a cinquecentomila ducati al momento del matrimonio, oltre il feudo di Bari alla morte. Bisognava raggranellare subito tale somma e a ciò valse l’opera dell’esoso Giosuè De Ruggiero, che impose al capitolo di Modugno, l’ingente somma di trecento ducati. Insieme a Giosuè De Ruggiero si adoperava a raccogliere i ducati necessari il fratello Gian Antonio, che cinque mesi dopo, veniva esaltato all’onore dell’episcopato nella Cattedrale Di Ostuni, feudo di Isabella. Dobbiamo notare che l’aver imposto come arciprete di Modugno il De Ruggiero è stato il più grande torto fatto dagli Sforza. Egli infatti, appare avido di guadagni e ambizioso come il fratello. Poco o nulla si curò delle anime, intento solo a farsi nominare titolare della maggior parte dei benefici, conservando l’arcipretura insieme alla cattedra ostunense. Quando Bona divenne duchessa di Bari in seguito alla morte della madre, avvenuta in Napoli l’11 febbraio 1524, il capitolo di Modugno, volle anzitutto assicurarsi di non essere più governato da arcipreti forestieri e subito indirizzò ai sovrani di Polonia la supplica che venne approvata nelle Grazie e immunità del 1527 all’articolo n° 4. Altro destinatario di un privilegio concesso da Sigismondo per aver accompagnato in Polonia la sua sposa in occasione delle nozze è Guarino Capitaneo. Alcuni membri della famiglia Capitaneo, infatti, originaria di Novara, aveva seguito Isabella nel suo esilio a Bari e lo stesso Guarino era divenuto console della colonia milanese e successivamente castellano della città. Bona, già regina di Polonia, quando investe la carica del ducato barese provvede alla nomina dei procuratori e procede da un lato alla liquidazione dei legati alla madre Isabella e dall’altro alla definizione delle reciproche sfere giurisdizionali con le università locali. Intorno al 1530 si collocano numerosi atti di quietanza rilasciati alla sovrana dai procuratori delle fanciulle che avevano beneficiato di dati loro assegnate da Isabella. Non mancano, tuttavia, anche casi di cessione di diritti donati a titolo di dote, anzi il ripetersi di episodi di questo genere fa pensare ad un intervento di forza da parte della regina Bona. Al 1527 risale la concessione all’Università di Bari, da parte dei sovrani di Polonia di capitali e grazie in materia amministrativa. Particolare attenzione è riservata ai provvedimenti relativi all’organizzazione e al funzionamento delle cariche pubbliche, per ciascuna delle quali sono previsti rigorosamente i requisiti e le condizioni cui devono essere sottoposti i candidati, le loro competenze giurisdizionali, la durata del mandato, gli emolumenti ad essi spettanti, il sindacato e le possibilità di rielezione. In materia fiscale, se da un lato vengono confermati tutti i dazi e le gabelle spettanti all’università, fatti salvi i diritti sovrani e della dogana di Bari, dall’altro l’erario ducale incamera : proventi delle cause civili e criminali, annullando il preteso privilegio dell’università a riscuotere tutte le entrate provenienti dall’amministrazione della giustizia. I cittadini inoltre, pur ottenendo l’esonero da ogni esazione straordinaria tranne in caso di guerra aperte, sono obbligati a contribuire alla riparazione delle mura ed alla sistemazione del molo della città. Sul piano economico i capitali danno disposizioni in materia di annona, regolamentando l’importazione in città di vino di produzione forestiera, il trasporto dell’olio, e il rifornimento del sale, ma soprattutto in materia commerciale, assicurando ai mercanti forestieri agevolazioni e trattamenti di favore sino a quel tempo riservati ai mercanti milanesi. Nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche i sovrano conservano l’abituale atteggiamento di devoto rispetto, riconoscendo i privilegi e le prerogative delle chiese, dei capitali, dei monasteri e dei religiosi della città. Anche all’università di Palo, Bona concede molti privilegi in cambio di annui canoni, che si possono considerare esigui in confronto ai benefici concessi, essendo "certamente un grande bene per i cittadini di Palo crescere il loro territorio e rimanere liberi di poter costruire frantoi e molini a lor senno, e sottrarsi a vessazioni e soprusi, di riscuotitori". Negli anni successivi Bona, definisce i confini del suo ducato con l’acquisto di Capurso, Noja e Triggiano, consolidando al tempo stesso il suo potere con l’acquisizione delle funzioni fiscali sulla terra di Rutignano. Tuttavia si può supporre che tale politica di riaffermazione dell’autorità ducale abbia suscitato opposizione da parte delle università locali che intendevano fare salvi almeno formalmente, i diritti delle proprie istituzioni, tutelandone l’autonomia e la giurisdizione soprattutto nei confronti dell’invadenza minacciosa dei funzionari della regina. E’ quanto si deduce dalle grazie e dai privilegi concessi nel 1542 ai sudditi di Modugno. L’università modugnese si oppose all’assegnazione al capitano e ad altri ufficiali sovrani di entrare spettanti alla città, imponendo anche a coloro che godono di immunità l’obbligo di contribuire alla soddisfazione dei debiti contratti dalla università, e tuttavia si vede negare dalla sovrana la possibilità di deliberare in consiglio senza l’intervento del capitano. Negli stessi anni Bona non esita ad intervenire in affari di stretta competenza ecclesiastica. Dirime infatti la controversia per i diritti di precedenza sorta tra il capitolo metropolitano e quello di S. Nicola. L’indiscussa autorità acquisita in tal campo dalla regina, le consente nel 1540 di richiamare vigorosamente i canonici della basilica barese, responsabili di avere raggirato una giovane orfana. D’altro canto la regina dimostra sollecitudine nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche sia attraverso donazioni di arredi sacri al capitolo metropolitano di Bari, sia attraverso generosi contributi per la sistemazione del pavimento nella cripta di S. Nicola e per l’ampliamento delle chiese matrici di Modugno e Palo. Si vuole anche che Bona avesse in Modugno un suo palazzo ove soggiornava quando veniva in questo suo feudo. La famiglia Perrone lo identifica in un caseggiato di sua proprietà sito in un vicolo presso la chiesa del Carmine. Trattasi di un antichissimo fabbricato di cui si è salvata, fra le sovrastrutture che lo hanno soffocato, una piccola graziosa bifora. Nell’arco ogivale di questa sono scolpiti su pietra alcuni emblemi ora molto deteriorati ed appena decifrabili, al centro la sigla di S. Bernardino da Siena "JHS" ; sotto questa la data "A .D. MCCCCLXVI" con ai lati due stemmi, l’uno raffigurante un uccello e l’altro uno strano animale, forse un dragone. In un volumetto in cui sono raccolte le memorie della famiglia Perrone è scritto che la casa "altra volta era appartenuta alla regina Bona Sforza di Polonia, e che con provvedimento del Ministero dell’educazione Nazionale è stata dichiarata d’importante interesse, e quindi sottoposta alle vigenti disposizioni sulla inalienabilità delle cose di arte ed antichità". La data 1466 esclude però che il palazzo sia stato costruito dalla regina Bona e neanche dalla madre Isabella d’Aragona, poiché in quell’anno non erano ancora nate né l’una né l’altra. Se poi il palazzo sia appartenuto in seguito a Bona non lo si può stabilire dagli stemmi apposti sul fabbricato, che non risultano tra gli emblemi conosciuti della Casa D’Aragona-Sforza. La difficoltà aumenta per il fatto che una casa regnante, durante gli anni del suo governo, a seconda dei rami e delle parentele, modificava, cambiava e usava spesso stemmi diversi. Bona. Per esempio, usava a volte il solo stemma di Bari (partito nel primo d’argento e nel secondo di rosso), oppure il solo stemma di Polonia (rosso con aquila linguata e rostrata d’argento). Uno stemma di Bona regina e duchessa, riportato in una tavola del volume di Ludovico Pepe "Storia della successione degli Sforzeschi negli Stati di Puglia e di Calabria", rappresenta uno scudo sormontato da corona diviso in quattro campi, ognuno dei quali reca rispettivamente i seguenti emblemi : aquila coronata, biscia e leone rampante, liste giallo-rosse con croci, cavaliere con scudo e spada. Gli emblemi dunque apposti su detto fabbricato non hanno alcuna rispondenza con gli stemmi conosciuti della casa d’Aragona o Sforza. A parte l’incertezza storica del palazzo, la costruzione ha un certo interesse per la bella bifora, che è l’unico elemento degno di rilievo rimasto nell’antico fabbricato. Se dell’esistenza di un palazzo della regina Bona in Modugno non si è certi, si sa invece con sicurezza che essa aveva una cavallerizza, sita alle spalle della chiesa maggiore, per i cavalli suoi e del seguito, quando veniva a visitare la città. Di questa cavallerizza si fa espressa menzione in una Deliberazione Decurionale del 1776, da cui si apprende che lo stabile e le stanze situate sopra, appartenevano al Comune. Nella Deliberazione è asserito che il "lamione (ovvero la stalla), detta la cavallerizza (sito) sotto le case di questa Università dietro la maggior chiesa" non era stato dato in quell’anno in fitto per adibirlo ad alloggio per i soldati di passaggio dalla città e degli ufficiali della Regina Udienza di Trani, per cui il Sindaco propose all’assemblea che era opportuno darlo in fitto e che col ricavato fossero riparate le stanze superiori "per essere scoverte e senza ripari di porte e finestre" onde adibire queste e non il lamione per l’alloggio dei soldati. Da un’altra Deliberazione del 22 giugno 1786 si apprende che "la stalla detta cavallerizza" era in quel tempo fittata dal Comune per osteria e che la relativa vendita non era "compresa nei corpi redditizi dell’Università che dalla Regia Camera si affittano a Partitari". In occasione delle frequenti visite che Bona fece a Modugno, essa condusse con se e fece qui stabilire, come già detto, alcune famiglie nobili lombarde, che erano venute con la madre a Bari. Ricordiamo la famiglia Cesena oriunda di Varese, la famiglia Capitaneo di Novara e la famiglia Scarli. Queste famiglie si distinsero nei secoli successivi nelle varie vicende di Modugno ed illustri loro membri onorarono la città per la loro cultura o per le altre cariche raggiunte fuori del regno. Tranne la famiglia Capitaneo, le altre non sono più in Modugno o perché estinte o perché emigrate come i Cesena a Bari e gli Scarli a Fasano. In ogni modo, Bona pensa nella cittadina di Modugno, a soddisfare le esigenze dell’acqua, si preoccupa dei poveri, fonda ospedali, aiuta a riparare chiese, si preoccupa della salute dei sudditi eliminando le cause delle epidemie : sembra piuttosto un sindaco che si preoccupa dei problemi locali che una regina residente in un’altra nazione. Questi interventi rivelano la grande sollecitudine con cui Bona si interessava delle necessità del suo ducato e manifestano il suo animo aperto e liberale verso le popolazioni. Molto importante nei benefici di Bona nei confronti di Modugno, si considera essere il rifacimento della chiesa Matrice. Al suo arrivo a Modugno il Pascale fu molto onorato dalla cittadinanza : già undici ani prima, quando egli era ancora in Polonia, l’Università con deliberazione del 5 dicembre 1550, aveva donato ad egli per le sue benemerenze, un suolo nella piazza centrale perché potesse fabbricarsi un palazzo. Alla luce della vita e delle opere di questa regina appaiono false ed ignobili le accuse rivoltele, sia sotto il profilo morale che di governo, da alcuni scrittori, quali il Filonico ed altri polacchi. Ella fu dipinta da costoro quale donna invidiosa, intrigante, fastosa, voluttuosa, avido di potere e denaro, causa di vessazioni e di ingiustizie. Certamente essa fu dura nel governo del ducato specialmente dalla Polonia, ma forse fu la lontananza che la rendeva esigente, poiché quando venne a Bari fu più liberale verso le popolazioni. E se talora fu esosa nell’imporre dei tributi, fu però anche larga in beneficenze e in opere di pubblica utilità. Il buon governo di Bona, la sua indole, il gran bene fatto e l’affetto delle popolazioni polacche e del ducato di Bari (specie i modugnesi) ben testimoniano a favore della regina. La vicenda storica, politica e di notevole esempio culturale della regina di Polonia termina il 19 novembre 1557 alle ore tre di notte, nel castello di Bari in pochi giorni, per un inspiegabile male. Alla morte di Bona fu trovato un testamento fatto due giorni prima (il 17 novembre), con cui la duchessa faceva cessione dei ducati di Bari e di Rossano al re di Spagna Filippo II e concedeva Triggiano, Capurso e Noia al Pappacoda. Nel testamento il notaio dichiarava che la regina era a letto come "sanam habentem memoriam et rectam locutionem" ; il figlio Sigismondo però sostenne che la madre era "fuor dei sensi et frenetica". Perciò alcuni hanno pensato che il Pappacoda, per timore che Bona, ritornando in Polonia, modificasse la volontà della donazione promessagli, abbia avvelenato la regina dopo averle fatto fare il testamento che egli desiderava. Nel testamento venivano lasciate molte elargizioni per i poveri, per dei maritaggi e per donazioni di chiese. Il corpo di Bona fu seppellito nella sacrestia della cattedrale di Bari. Il figlio maggiore Sigismondo II, pur avendo intenzione di erigere un monumento sepolcrale alla madre, non giunse ad attuarlo perché l’esecuzione fu sempre rimandata in attesa che gli fosse riconosciuto il possesso del ducato di mausoleo, ornato da quattro colonne e di figure allegoriche, vi è il sarcofago e su di esso la statua di Bona in marmo bianco, rappresentata in ginocchio, con le mani giunte in atto di preghiera, con il capo coperto da un velo ed il corpo coperto da un ampio drappeggio. Ai piedi del sarcofago vi sono due figure femminili : quella che ha la corona sul capo, rappresenta la Polonia, l’altra il ducato di Bari. Sulla cornice sostenuta dalle colonne vi è un altorilievo in marmo raffigurante la Risurrezione del Cristo. Intorno al mausoleo vi sono i ritratti dei reali di Polonia : Sigismondo I e Bona ; Sigismondo II e Caterina d’Austria ; Stefano Batori e la moglie Anna Iagellone. Più in alto i dipinti di alcuni santi. |