RIUSO E SUCCESSIVO CROLLO DELLA TORRE

IL MUNICIPIO DI RUVO....
una volta prelevata la torre, la ristrutturò, colmando il rivellino, sgombrandola del bastione ottagonale, già molto deteriorato e fatiscente, tappando gli ampi fori delle volte a scodella, illuminando meglio i due vani intermedi e impiantandovi l'ufficio telegrafico. Era la prima volta che la torre svolgeva funzioni civili, fiera di ergere sugli spalti, tra i brandelli dei merli, l'antenna rice-trasmittente. Non più, quindi bollettini di guerra in partenza e in arrivo da questo maniero, ma pacifici messaggi di vita. Questo disegno tratto dal vero nel 1799 da Vincenzo Del Bene, ci presenta la torre sgombra del basamento e ristrutturata dal Comune, cosa che naturalmente indebolì l'intera struttura millenaria della stessa.

 

I nobili proprietari dei palazzi circostanti non pensavano di utilizzarla allo stesso modo perche mal tolleravano il suo ingombro. Al fine di liberare la visuale dei propri palazzi, inviavano di tanto in tanto gente prezzolata ad insidiare la stabilità delle spessissime mura. E fu così che, sfila un concio oggi e un altro domani, l'insidiosa breccia toccò il punto cardine della struttura che rovinò la notte del 18 febbraio. Le fondamenta della torre, i resti perimetrali del bastione ottagonale, i profondi pozzi a damigiana, ancora esistenti, con le intricate murature e i cunicoli che s'intrecciano in profondità spaventose, affiorarono allorchè nel 1963 sistemarono la cabina elettrica sotterranea, e praticarono i fori per i pali della illuminazione pubblica. Quelle profondità erano costituite da murature diverse e sovrastanti che si incrociavano tra loro come strutture successive e sovrapposte nel tempo. Il sotterraneo corrispondente alla struttura sovrastante, dal dominio spagnolo era servito per rinchiudere i cittadini arrestati dal feudatario, mentre in precedenza era servito come carcere per le milizie. Al Conte infatti, per diritto feudale, spettava l'esercizio della giurisdizione criminale. L'interrato della torre era profondo (fino a raggiungere un massimo di 37,00 m.), oscuro e senza lustriere di sorta alcuna. La maggior parte dei prigionieri, ivi rinchiusa, o moriva o si ammalava irrimediabilmente di artrite, essendo oltre che buia, molto umida e anche perche posta sulla terra nuda. Durante i lavori di costruzione del Cinema Politeama, l'edile Giovanni Visicchio, mi riferiva che nelle fondamenta venne scoperto un cunicolo collegato con la torre, che proseguiva su via Gravinelle. Al gomito di detto cunicolo (sito esattamente al punto delle fondamenta del Politeama), furono rinvenute ossa umane di vari individui, qualcuno con catene al malleolo.

....CUNICOLO SOTTERANEO....

Molte furono le proteste dei cittadini tendenti ad eliminare quel carcere, cosa che venne ottenuta solo il 6 agosto del 1751, allorchè l'Università di Ruvo avocò a sè la giurisdizione criminale, firmando una convenzione con il feudatario, Ettore III dei Carafa.

DOPO LE MACERIE
I Lojodice, patiti amatori della città e della sua storia, conservavano questi schizzi del loro prozìo Vincenzo Del Bene che riprodusse le rovine della torre da punti diversi, attraverso una camera oscura consistente in una cassetta con un foro di osservazione; la cosa richiama alla memoria quelle antiche macchine fotografiche, ove il fotografo infilava il capo sotto un panno nero. Quei rari documenti li riproduciamo per dare l'idea esatta dell'immane ammasso prodotto da quel crollo. La tradizione ci ricorda che le macerie restarono a lungo sul posto, ingombrando la piazza. Muratori e privati, nel mentre lamentavano la triste sorte dell'antica torre, recuperavano i bei conci, già sagomati per le loro costruzioni. Dopo lo smaltimento di quell'ammasso informe che andò a colmare in parte la zona del Muraglione, (la parte sottomessa del Corso Cavour) emerse dal fondo il troncone di base della torre che era rimasto intatto. Questo venne livellato a qualche metro d'altezza ed utilizzato come pedana o cassa armonica per comizi ed esecuzioni musicali.


 


E' tanto vivo il ricordo di quella torre, che ancora oggi, a distanza di oltre un secolo, viene rammentata dai cittadini come una grandiosa e favolosa realtà cittadina. Quel cimelio storico rappresenta un punto di riferimento del ruvese, che quasi si identifica con ciò che essa rappresentava.