III STANZA



Al centro di questa stanza e' collocato il busto marmoreo di Giovanni Jatta junior.
Il primo vaso che si incontra entrando, a sinistra, e' un noto cratere apulo a volute datato al 1V secolo a. C. Su di esso e' dipinta la figura nuda di Ercole con scudo, schinieri, elmo ed ai suoi piedi clava e leontea, alle prese con Cicno; crudele personaggio che assaliva i viandanti sulle strade della Tessaglia. A fianco di Cicno e' la biga del padre Ares ripresa con i due cavalli in una inusuale prospettiva frontale che ha reso famoso il vaso.
Ad un ceramografo indicato col nome di pittore di Ruvo e' attribuito il grande cratere, n. 1091 del catalogo, sul quale e' rappresentato Bellerofonte, sul cavallo alato Pegaso, in lotta con la Chimera; assistono Atena, seduta con elmo e lancia, e Poseidon dio del mare, riconoscibile per l'inseparabile tridente.
Il colossale cratere a volute n. 1097 e' invece opera del pittore di Licurgo e rappresenta, sulla facciata principale, il giardino delle Esperidi, mitiche fanciulle che custodivano i magici frutti dorati di un albero sorvegliato da un drago; sul collo e' invece una scena bacchica. La facciata posteriore del grande vaso riproduce una scena sacrificale in onore di Apollo con toro condotto all'ara saldamente afferrato da due giovani per le zampe e le coma; sul collo e' la rappresentazione del famoso episodio di Ercole contro il toro.
Nelle vetrine di questa sala si trova custodito il maggior numero di rhyta, bicchieri caratteristici che assumono forme umane e di animali; questa caratteristica ceramica ebbe i principali centri di produzione nell'Attica e da qui fu poi importata e imitata nelle officine ceramografiche dell'ltalia Meridionale. Al gruppo di provenienza attica appartiene il bel bicchiere con coccodrillo che divora un negretto. Di notevole fattura sono pure i rhyta apuli presenti nella collezione in maniera considerevole. Le forme bizzarre di questi originalissimi bicchieri comprendono teste di cervo, di cane, di mulo, di ariete, di scimmia, di lupo, di bue, di porco, ecc. per quanto riguarda quelli con protomi animali; di satiri e sfingi quelli con motivi mitologici, di negri e soprattutto di donne quelli con i volti umani. Di singolare bellezza sono pure i bicchieri bifacciali con protome femminile da un lato e testa di satiro dall' altro.
Oltre ai bicchieri plastici ricordati, un' altra serie di piccoli vasellini riporta le sembianze di cervi, cani, delfini, rane ed altri animali.
Altri graziosi vasellini riportano decorazioni di grande finezza; e' il caso del vasetto n. 1125, nella prima vetrina, che reca da una parte una giovane donna ripresa a suonare uno strumento a fiato, e dall'altra un genio alato con uno strumento a corda.
Di grande eleganza sono alcuni lekythoi, usati anticamente per contenere unguenti, che come decorazione riportano assai spesso slanciate figure femminili.
Nella prima vetrina e' una pelike, n. 1128 di catalogo, con scena figurata dipinta con grazia e maestria. In essa e' raffigurato il colloquio tra due giovani di sesso opposto, seminudi e seduti, mediato da una figura femminile centrale con ricchi ornamenti; una quarta figura, un'ancella, regge delicatamente un ombrello mentre in alto svolazza un Eros nudo che incorona la figura centrale. In questa rappresentazione Giovanni Jatta junior ha riconosciuto un momento dell'Iliade ed in particolare l'incontro di Elena con Paride mediato da Venere personificata dalla figura centrale incoronata dal genio.
Nella seconda vetrina, tra i vari vasi si ricorda l'anfora n. 1197 che presenta sulla destra un giovane nudo, con clamide sulle braccia, nell'atto di offrire un'oca ad una giovane donna seduta ed assistita da un'ancella; la scena e' stata interpretata come cerimonia funebre. Sempre in questa vetrina il cratere a campana n. 1120 con scena di baccanale; Bacco e' ripreso sdraiato e seminudo su di una pelle di tigre mentre stringe con la destra un kantharos; alla sua sinistra invece e' la figura di un satiro che ha in una mano il tirso e nell'altra un'otre vuota.
Un'altra bella pelike e' nella terza vetrina; essa riporta sulla facciata principale una sobria scena figurata in cui compare una Nike con la sinistra elegantemente poggiata sull'anca e intenta con la destra a cingere con una corona il capo di un giovane nudo che le sta di fronte; si tratta probabilmente della gloria concessa ad un giovane eroe distintosi, e magari morto, in qualche azione militare visto che reca con se scudo e spada. Sempre nella terza vetrina non si manchi di ammirare il vaso n. 1233 terminante a testa di donna. I capelli, spartiti al centro, sono trattenuti da una tenia bianca mentre i lobi delle orecchie sono forati per trattenere gli orecchini oggi persi;l'incarnato delicato del viso e' reso con sovradipintura bianca. L'eccezionale bellezza di questa testa di giovane donna. come ha colpito noi cosi' suscito' l'ammirazione di Giovanni Jatta il quale non esito' a riconoscere in essa la bellezza delle donne ruvestine.
La vetrina VII insieme ad un bel kantharos con figura di vecchio barbuto conserva un bel vaso, detto askos, con una vivace scena fliacica ricca di buffi attori che interpretano in chiave comica fatti e personaggi della mitologia classica.
Ritornando ai vasi sui mozziconi di colonna si ricorda il notevole cratere a volute e con manici terminanti con graziose testoline di cigno con scene riferite al mito di Fineo. "In questo vaso si rappresenta il mito di Fineo, figliolo di Agenore, il quale regnava nella Tracia. Sposo' Cleopatra figlia di Borea, da cui ebbe Plesippo e Pandione; ma avendo poscia ripudiata Cleopatra per sposarsi con Idea, figliola di Dardano, costei per liberarsi dai figliastri li accuso' al troppo credulo Fineo di aver tentato di disonorarla ond'ei li fece accecare. A vendicare la colpa Borea suo suocero lo fini col taglione e lo acceco'; ma gli Dei gli infissero una pena piu' terribile mandandogli le Arpie le quali, come il cieco re sedeva a mensa, tutta gliela insozzavano e portando via le vivande lo condannavano alla fame. Intanto giunsero nel regno di Fineo gli Argonauti, fra' quali verano Zete e Calaide figliuoli di Borea; ed essi avendo alfine misericordia del cieco loro congiunto Io liberarono dalle sozze Arpie". L'interessante cratere di Fineo e' stato attribuito ad Amykos, ceramografo ateniese immigrato, attivo in Italia Meridionale nel V secolo a. C. La sigla HE che il vaso riporta sulla scena secondaria e' stata interpretata da molti studiosi come il monogramma di Heraklea, deducendone quindi la citt in cui Amykos aveva la sua bottega; recenti scavi hanno comunque consentito di riconoscere la fornace dell' ateniese nel quartiere dei ceramisti di Metaponto.
Prima di lasciare la terza stanza, si ammiri il bel cratere n. 1094 che riproduce sul collo. dopo i soliti serti di foglie di edera e di ulivo, un grifo ed un leone raffrontati ed in atto di aggredire un'oca posta al centro e visibilmente impaurita. Nella scena centrale e' invece dipinta la punizione impartita a Teseo e Pirotoo per aver tentato di rapire Proserpina. Sulla sinistra, seduto sotto un albero e con scettro sormontato da civetta, e' la figura barbuta di Minosse che assiste come giudice alla condanna inflitta ai due personaggi. Segue al centro Ecate, dea degli Inferi, che stringe nelle mani due fiaccole accese ed e' rivolta verso la figura seminuda di un'arpia con ali spiegate e capelli arruffati. L'arpia e' ripresa nell' atto di afferrare brutalmente uno dei giovani mentre l'altro giovane, legato, giace a terra in primo piano. Interessante in questo vaso e' il tentativo di far svolgere la scena su piani diversi evidenziati da rette punteggiate, insiemi di pietre e ciuffi d'erba.


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