Il culto iconico, prevalentemente mariano, affonda le sue radici nel mondo orientale, bizantino e russo. Si affermò fortemente fino ad arrivare ad una vera e propria forma di idolatria: le icone (dal greco immagini) venivano considerate miracolose e divennero oggetto di venerazione, soprattutto nei monasteri che avevano interesse per ragioni economiche a difendere il culto popolare. Ma questo tipo di devozione trovò un forte oppositore in Leone III l'Isaurico che con un editto emanato nel 726 ne proibì il culto e ne ordinò la distruzione (iconoclastia = eikon, immagine e klazein, spezzare) al fine di limitare lo strapotere degli ordini monastici. Tutto ciò perdurò fino al IX secolo, ma dopo questa repressione riprese la produzione da parte di molti anonimi iconografi orientali. Nei racconti e nelle leggende circa le icone conservate in Puglia si narra infatti che alcune di esse siano scappate alla iconoclastia, introdotte di nascosto in Puglia da monaci o approdate miracolosamente sulle coste, altre portate dai mercanti o dai crociati. Ma gli esperti sostengono che si tratti nella maggior parte dei casi di opere realizzate in loco da abili monaci che si rifacevano ai modelli bizantini. Diverse testimonianze storiche citano infatti le presenze di monaci basiliani nella nostra regione. Anche se non sono però vere e propri e icone orientali, sono in realtà una chiara e forte testimonianza dei rapporti intercorsi tra la Puglia e l'0riente Cristiano tra il X e il XIII secolo. Delle icone custodite nelle chiese rurali di Terlizzi, solo di una non si ha più alcuna traccia, forse perché scomparsa insieme alla sua chiesa e al suo casale, quella di Balena (o Valena).