L’ECOLOGIA E L’AMBIENTE ANTROPIZZATO: UN APPROCCIO INTERDISCIPLINARE

Prof.re  M.Tridente

        Quando abbiamo intenzione di affrontare i problemi collegati al rispetto ambientale, si possono scegliere due modi, che sono le naturali conseguenze scaturite dai due differenti modi di porsi dell’uomo rispetto alla ricerca scientifica e di come tale teoria scientifica venga tradotta in tecnologia applicata. Anche se tale osservazione sembri essere lontana anni luce da quelli che sono i problemi ecologici, la diversa filosofia scientifica porta a variazioni immediate molto diverse, che coinvolgono i locali ecosistemi e, molto spesso arrivano ad un contesto globale.

Il problema COGNITIVO, ovvero il modo di fare ricerca, che da il via allo sfogo della naturale curiosità che lo porta ad ampliare sempre più le proprie conoscenze, oggi è affrontato in due modi. Il primo  è detto SAPIENZIALE, o meglio “orientale”. Esso si basa sull’osservazione e riflessione lenta dei fenomeni che si verificano nell’ecosistema. Tale osservazione, e la conseguente riflessione, non prendono di mira un singolo aspetto del fenomeno che si sta studiando, cioè il ricercatore sapienziale non si specializza in una singola materia, fisica, chimica, biologica o qualunque essa sia, ma, nel limite del possibile, esso cerca di vedere quanto accade sotto l’occhio eclettico del sapiente, sapendo ben combinare tutti questi aspetti scientifici.

Dunque la formazione di uno scienziato sapienziale, e la ricerca sapienziale, è molto lenta, dato che l’analisi contemporanea di tutti questi fattori comportano uno sforzo temporale che è rapportabile all’intera vita dell’essere umano sul pianeta. Ciò ha come risultato una conoscenza basata su teorie più che sperimentate e ben salde, in modo che tutto ciò che viene scoperto in seguito si basa su esperienze plurisecolari. In tal modo il know-how è una caratteristica, purtroppo non genetica, che in tal modo viene trasmessa di generazione in generazione, e, con il patrimonio cromosomico, completa l’essere umano, un po’ come il software completa l’hardware di un computer.

Si contrappone a tale modo di pensare, e di agire, il secondo quello EMPIRICO, di estrazione più occidentale. Le due discipline filosofiche si differenziano per pochi aspetti, ma tali da porle agli antipodi. In pratica il ricercatore empirico non è portato ad osservare un fenomeno naturale nel suo complesso, ma tende ad estrarlo dal suo naturale ecosistema, e lo replica in un ambiente ideale, quindi inesistente, che più si avvicina alla sua disciplina scientifica, teorizzando così un fenomeno artefatto. Lo scienziato empirico si specializza fortemente divenendo a seconda dei casi fisico, chimico, matematico, biologo, ma mai qualcosa di più generale. Perciò tale settorializzazione porta ad una evoluzione più rapida, più dinamica, dato che lo studio è affrontato da un unico punto di vista ed il livello conoscitivo non è raggiunto con una larga base sperimentale, frutto di secoli, ma si tratta di una veloce evoluzione con fondamenta che in molti casi si rivelano sottostimate, perché la verifica di tali eventi teorizzati non coinvolge tutti gli ambienti ed inoltre la scienza occidentale, oggi, è interamente connessa con la tecnologia, ovvero tutto ciò che viene teorizzato empiricamente, dopo poche verifiche, deve tradursi in qualcosa di tecnologicamente valido e produttivo.Seguendo tale filosofia cognitiva si è arrivati ad intervenire sull’ecosistema in modo confuso e con metodologie di cui si ignoravano completamente gli effetti collaterali sul sistema ambientale. Tale discorso non vuol portarci ad un arresto istantaneo delle attività dell’uomo e delle sue tecnologie per tornare all’età del bronzo, come fanno intendere molti ecologisti empirici che indicano tale ricetta come unica. In pratica ci deve essere una presa di coscienza per affrontare il progresso tecnologico in modo diverso, ma non bloccarlo. Si deve cioè intervenire sul sistema ambientale in modo consensuale, e nella peggiore delle ipotesi si devono apportare modifiche all’ambiente in modo, il più possibile, programmato così che il rigetto da parte del sistema ambientale sia controllato, ma in questo caso l’intervento deve essere socialmente ed  economicamente utile per la popolazione che si appresta a modificare il suo ambiente.

Per raggiungere un tale livello di programmazione e controllo dell’ambiente l’uomo deve agire secondo un progetto nato in base ad esperienze sapienziali, ovvero, deve osservare tutti gli aspetti che coinvolgono tale modifica antropica.Ciò perché in natura vale, in pieno, il principio di OMEOSTASI, che, al pari della fisica, asserisce che ad ogni azione corrisponda una reazione di verso contrario ma, diversamente dalla fisica, milioni di volte più intensa. Per cui una manipolazione del territorio che in ambito progettuale non tiene conto di tali considerazioni può facilmente trasformasi in un boomerang che si scaglia sull’ambiente, e sugli uomini che in esso vivono, in modo catastrofico. Purtroppo, al giorno d’oggi, tale riflessione sapienziale è una utopia se si tiene conto del fatto che, come si è appreso da indagini sociologiche, su cento persone che agiscono nell’ambiente solo una di esse si occupa del suo avvenire. Quindi solo questa persona considera, in una ottica tutta orientale, che la terra è un bene che noi riceviamo per contratto di enfiteusi dai nostri figli e che come la riceviamo cosi dobbiamo restituirla, a meno di ragionevoli danni di normale usura, al contrario il 99% delle civiltà filo occidentali considera il pianeta come una eredità ricevuta dai propri avi e che quindi ne è unico proprietario e può farne ciò che vuole, non guardando ciò che i loro posteri saranno costretti ad affrontare.