I COMPONENTI COSTRUTTIVI: LE MURATURE “EVOLUTE”
(2° PARTE)
Il Partenone di Atene e il Pantheon di Roma raggiungono una superficie
strutturale pari al 20% del totale. In epoca gotica questa percentuale si
abbassa, in quanto il gotico pone alla base del suo stile, la fuga delle
strutture verso l’alto. In una cattedrale gotica
si ha una superficie strutturale media del 15 %. A inizio secolo questa
percentuale scende nettamente, quando vengono presentati i primi progetti in
acciaio, con una superficie strutturale pari al 3%. Questa è stata poi
aumentata a causa della necessità di sostituire i tamponamenti in vetro, con
una superficie muraria autoportante in laterizio. Oggi si è giunti
all’estremizzazione di questa filosofia, raggiungendo superfici strutturali
infinitesime, se confrontate con quelle delle più grandi opere del passato, si
parla in casi estremi dello 0,15%. Oggi inoltre si è ribaltato il concetto
della piramide, ora rastremate verso il basso.
Questa
evoluzione è stata sicuramente accompagnata da una evoluzione dei parametri
murari, passando dal concetto di funzione strutturale a quella di portare se
stesso. Solo con questo passaggio si è giunti a scoprire le caratteristiche
intrinseche del muro a massa, inteso come elemento di chiusura e di riparo verso
l’ambiente esterno, con il compito di evitare dispersioni termiche e di
protezione dai rumori dall’ambiente esterno. Con il muro a “tenda”, per lo
più realizzato in vetro o in cls leggero, questo si viene a perdere. Tale
problema si fece più evidente quando negli anni ’70 si sentì la prima crisi
petrolifera, che portò a rendere il più possibili impermeabili al calore le
parete di chiusura esterna. Nasce qui il primo abbinamento dei muri a
“tenda” con i coibenti termici, materiali sintetici – derivati del
petrolio - che riescono a contenere
il flusso di calore verso l’esterno. Questo fu subito accompagnato dalla
scoperta che i coibenti termici, se non adeguatamente protetti, sono
suscettibili di deterioramento precoce, con perdita prestazionale. Per questa
ragione fu abbinato al coibente una guaina plastica, la cosiddetta barriera al
vapore con il compito specifico di proteggere il coibente dai flussi di vapore
derivanti dalla produzione di vapore acqueo all’interno delle unità
abitative. In questa maniera si è però chiuso l’edificio in un sacchetto di
plastica, non permettendo la respirazione dell’abitazione.
A conferma di quanto detto, in laboratorio è stata
testata la permeabilità al vapore di tre diversi tipi di tamponamento. Si ha
che una parete in mattoni lascia passare 0,1 kg/giorno di vapore, mentre una
parete in calcestruzzo consente una trasmigrazione
di vapore di 0,01 kg/giorno, mentre una parete in calcestruzzo attrezzata con
barriera al vapore consente una trasmigrazione di 0,0003 kg/giorno. Questo è un
problema considerevole se si pensa che anche gli infissi oggi usati sono
costruiti in metallo o PVC e che sono totalmente impermeabili al vapore
quindi il microclima interno è compromesso, sotto questo punto di vista,
anche perché gli infissi che venivano realizzati in legno consentivano lo
spiffero d’aria che accoppiato alla giusta permeabilità del mattone
consentiva una ventilazione naturale degli ambienti, senza obblighi di areazione
dovuti ad aperture di finestre.
Nel 1987 è stata approvata una normativa che riguarda le opere in
muratura, anche se presenta numerose carenze a riguardo dei tipi tecnologici
analizzati, trattando solo quella monolitica, senza menzionare le pareti
stratificate ed è totalmente assente la trattazione relativa ad archi e volte.
Fissa comunque gli spessori minimi in 12 cm per murature in mattoni pieni e in
25 cm per murature portanti in blocchi forati. La norma non fa inoltre alcun
riferimento alle possibili tecnologie costruttive, come avviene per la muratura
armata, che in pratica è una muratura in laterizio con una intercapedine, al
cui interno vi è una soletta collaborante in cls armato.
Esistono anche nuove tecnologie che tendono a sostituire il tradizionale
legante in malta con materiali siliconici con tempi di presa molto più rapidi e
riducendo lo spessore fissato in 1 cm per i giunti in malta ai 2-3 mm per i
giunti di collante. La tecnologia ha permesso di definire anche le murature a
diaframma, usate per costruzioni di uno o due piani massimo. Esse devono
resistere a carichi molto piccoli, dato che su di essi grava il solo peso della
copertura. Queste sono murature solitamente utilizzate in capannoni industriali,
quindi con altezze sostenute, andando incontro a problemi di snellezza, risolti
con un sistema in pianta a celle.