CENNI STORICI DI MOLFETTA
Sull' origine di questa città ci sono molte opinioni. Secondo Antonio Lupis
pare essere stata fondata da Enea; secondo Cristoforo da Forlì, da Mauro
compagno di Ulisse. Secondo il Lombardi é stata fondata dopo l' eccidio di
Troia 500 anni prima di Roma, tesi avvallata dal ritrovamento di templi pagani
in stile dorico. Divenuta poi importante ed appetibile come tutte le colonie
greche della zona, con l'ingrandimento dell'Impero fu assoggettata dai romani.
Sotto l' egemonia romana prese il nome di "Res-pa"
ossia "Res Publica" .
Resta da definire come ci sia stata la trasformazione da "Respa" a
"Molfetta". Il Rubensi afferma che, quando l' imperatore Costantino
trasferì la sede del suo impero in Oriente, due navi della sua flotta,
naufraghe, approdarono sugli scogli della Dalmazia; e non volendo lì
stanziarsi, per l' asprezza di quei luoghi, decisero di fare rotta verso l'
Italia e capitare nella nostra terra, apparsa cosi "bella, ridente e
cara" che la denominarono Mel-fatta, (ossia dolce come il miele). A
questo il Giovene aggiunge che molti di Ragusa e Scebenico, essendosi uniti alla
colonia romana approdata in Dalmazia, la seguirono nel suo viaggio a Respa, alla
quale vollero, per cambiare, ettribuire il nome di Melfia o Melfatta dalla
città di Malfa presso Ragusa nella Schiavonia loro antica patria; e quelli di
Scebenico, per conservare una memoria della loro antica patria, denominarono una
strada "Scebenico". La dominazione romana si evince anche dall'
arme che è identico a quello di Roma e dal nome autentico di Via Piazza
detta "dei Romani".
Dopo la caduta dell' impero romano nel 432 Molfetta subì varie invasioni
barbariche per quasi quattrocento anni: verso la fine dell' VIII sec. ci fu una
guerra tra Longobardi e Bizantini, con esito positivo per quest' ultimi i quali,
nei seguenti duecento anni, si incorporarono alle popolazioni locali, con
conseguenti scambi di idee e cultura. La dominazione bizantina durò sino al XI
sec., fino a quando anche i Saraceni, Greci e Longobardi lottarono per il
controllo della città. Intorno al 1050 giunsero a Molfetta i Normanni guidati
da Guglielmo d' Altavilla che sopraffecero le altre tribù. Conseguenza di tale
guerra fu la parziale o totale distruzione delle numerose torri presenti in
Molfetta, solo poche delle quali ancor oggi ben identificabili. Durante il
dominio Normanno fu costruito l'ospedale dei crociati.
Nel 1137 Ruggero il Guiscardo divenne re delle due Sicilie, e Molfetta fece
parte del reame e rimase in tale situzione per due secoli circa. Alla dinastia
normanna successe la casa Sveva e nel 1195 avvenne l' annessione del Regno di
Napoli al Sacro Romano Impero. Molfetta nel 1198 divenne città Regia ed
appartenne al dominio di Federico II il Barbarossa. Quando l'ultimo erede al
trono, Corradino, fu ucciso, e la casa sveva fu estinta per sempre a favore del
governo Angioino più esoso e tirannico, il sistema feudale tornò con grande
forza.
Quindi a metà del XIV sec. Molfetta aveva tre ceti: l' aristocrazia, la
borghesia, che aveva il controllo della città, e la classe operaia. Classi che
erano sempre in contrasto fra loro e che sovente davano vita a vere e proprie
guerre cittadine. Nel 1381 alla dominazione angioina successe Carlo di Durazzo
il quale conferì la signoria della città ai Del Balzo che razziavano
continuamente la città. Alla morte di Carlo successe Ladislao che voleva
ristabilire ordine nella città, attenuando gli attriti tra l'aristocrazia la
borghesia e la classe operaia; il 25 Aprile del 1399 concesse a Molfetta il
privilegio della fiera: otto giorni consecutivi in occassione della festa
patronale della Madonna Dei Martiri. Nel 1414 Ladislao morì dopo aver
conseguito la pace, incrementato il commercio ed il numero delle navi cittadine.
A questi successe sul trono del regno di Napoli sua sorella Giovanna II, che
ebbe come consigliere il molfettese Lodivico Gadaleta; il potere cittadino andò
al conte Giacomo della Marca. Attraverso il Gadaleta, Molfetta riottenne il
privilegio di città regia, ma la regnante volle che una guarnigione di soldati
si stabilisse nel castello della città. Ma appena arrivate, le truppe dettero
segni di insubordinazione tanto da provocare la rivolta dei cittadini che
attaccarono il castello e lo ridussero a pietre e polvere. Attraverso la
mediazione del Gadaleta, nell'ottobre del 1416, Giovanna II emise un editto di
indulgenza generale e accordò all' Università di Molfetta la conferma della
sua demanialità e come altre città del reame Molfetta dovette pagare il dazio
a Napoli. A tale scopo fu redatto il "Liber Appretii" che accatastò
le attività socio economiche del paese. Dalla "pergamena" si evince
un economia principalmente agraria, basata sulle vigne, mandorle e soprattutto
olio, la cui produzione superava il fabbisogno della cittadinanza stimolando lo
scambio con le navi provenienti da altri centri europei ed asiatici. A questo si
aggiunge una forte attività marittima, che fece di Molfetta la seconda
flottiglia da pesca in Italia dopo Genova.
Per la successione al trono del regno delle Due Sicilie si ebbero grandi
contrasti fra gli angioini ed aragonesi, fino al 1516 quando Carlo V divenne re
di Spagna e delle Due Sicilie. I nobili molfettesi, volendo rendere omaggio al
nuovo re nel 1519 mandarono Enrico lo Passeri a Madrid. In Molfetta sorse, a tal
proposito, una lotta fra nobili e popolari: il Passeri fu il prescelto degli
aristocratici ed i plebei si opposero per il fatto di non aver partecipato alla
scelta. Nonostante questa lite, il Passeri andò in Spagna a visitare Carlo V,
ma giunto a Molfetta fu subito ucciso da un popolano: si riaccese così
l'antagonismo fra i due gruppi e l'episodio fu uno degli incentivi per il
"sacco" del 1529.
Il combattimento fra Spagna e Francia scoppiò nel 1521 per la conquista della
Lombardia e per il Regno delle due Sicilie. Molfetta interessata agli eventi
della guerra pattegiò ora per la Francia ora per la Spagna. Fu Antonio Bove ad
insinuare tra i plebei il sospetto che gli aristocratici volessero affidare la
città ai francesi; i popolani assalirono i nobili nella dogana, i quali
riuscirono a scampare al pericolo grazie all'intervento di alcuni popolani. A
causa della discordia dei due gruppi, il ministro di guerra di Carlo V inviò un
rinforzo di soldati per sedare gli animi. Per sfuggire all'ira del re, molti
nobili chiesero protezione al principe di Melfi, Sergianni Caracciolo alleato
dei francesi a Barletta. Il Caracciolo volle occupare la città e il 18 Luglio
del 1529 s'imbarcò con i nobili fuorusciti e l'esercito, mentre, per via terra,
i soldati francesi si avviarono sotto Carafa. Colta impreparata, Molfetta, fu
sottomessa dai francesi, nonostante la perdita dei due generali invasori. Questa
fu la causa per cui Molfetta venne messa "a sacco" per tre giorni. I
danni furono così ingenti da essere superiori a quelli riportati nelle
invasioni dei barbari, registrando circa mille morti; case ed edifici vennero
arsi ed il Caracciolo fece distruggere il convento e la chiesa di S. Francesco
nonché il convento di S. Bernardino.
Dopo dieci anni, venendo meno le promesse francesi, il Caracciolo fuggì e si
instaurarono i Gonzaga. Durante il regno di Cesare Gonzaga fu iniziato il
difficile progetto di ristabilire ordine alla città: furono costruiti nuovi
casamenti e per la difesa della città fu eretto un nuovo recinto di mura. Il
lavoro di risanamento fu interrotto nel 1560 quando un terremoto molto severo
colpì la penisola, a cui si aggiunse la peste.
Seguì poi un periodo buio per Molfetta, dettato dal malgoverno spagnolo che
imponeva tasse e razziava gli abbondanti raccolti. Nel 1714 il trattato di
Utrecht assegnò al duca d'Austria Milano, la Sardegna e Napoli e quindi
Molfetta passò sotto il dominio austriaco e nel 1738,
dopo il trattato di Vienna, Carlo di Borbone fu coronato Re delle Due Sicilie .
Con la rivoluzione francese si diffusero in Italia i sentimenti di libertà,
spinti dal generale Napoleone Bonaparte che aveva assunto in Francia i pieni
poteri. Nepoleone fu accolto come il liberatore ma egli spogliò l'Italia delle
sue ricchezze. In quest'opera fu appoggiato da Gioacchino Murat che spogliò le
chiese di Molfetta di tutte le argenterie, campane e fece distruggere le quattro
porte cittadine. La sconfitta di Waterloo segnò la fine del regno napoleonico:
con il Congresso di Vienna nel 1815 Molfetta tornò sotto il dominio dei borboni.
Nel 1860, con l'unificazione d'Italia, il regno delle Due Sicilia passò sotto
l'egemonia del re Vittorio Emanuele I. Molti furono i problemi che seguirono
all'unificazione: nonostante ciò, Molfetta nel 1900 aveva 40000 ab. ed un
discreto complesso industriale nonché un'ottima flottiglia da pesca.
La storia di Molfetta segue ovviamente le vicende storiche dell'Italia senza
nessun avvenimento di particolare evidenza, vivendo i problemi che interessarono
tutto il Sud d'Italia. Oggi
Molfetta è una città lunga circa 4 km e larga 4 la sua popolazione è di
circa 70000 ab. con un economia fondata sulla pesca, sull'artigianato e sulla
coltura dell'olivo.
INSEDIAMENTO IN EPOCA PRE-ROMANA ROMANA
Le origini di Molfetta si perdono nella preistoria,
poiché nelle imminenti vicinanze dell'attuale città, esiste la più importante
stazione neolitica dell'Italia Meridionale: il
Pulo.
Le fonti relative a questo periodo sono pressocché inesistenti. Si ipotizza che
il centro abitato in epoca romana si sia spostato verso il mare precisamente su
quella penisola, denominata di Sant'Andrea, che é ora la sede di Molfetta
Vecchia. Molti vogliono che sia stata un'isola circondata dal mare a ponente,
Settentrione e levante ma separata a Mezzogiorno dalla terraferma per mezzo di
un canale. Questa penisola lunga circa trecento metri e larga nel punto massimo
circa duecento è formata da una scogliera calcarea quasi a livello del mare.
All'epoca dello sbarco delle colonie romane si presume l'esistenza di tre templi
pagani ubicati nella penisola di Sant'Andrea e di altri tre templi nelle vicine
campagne. Intorno ai templi probabilmente sorsero i primi insediamenti abitativi
serviti dalla viabilità principale costituita da due tracciati viari: la via
consolare che, correndo parallelamente alla costa, rappresentava l'arteria
litoranea; la strada interna che, perpendicolarmente alla prima, collegava Ruvo
(importante centro della Puglia nella Magna Grecia) al mare. Infatti la penisola
di Sant'Andrea e la costa rientrante di Ponente -in zona " cala
S.Giacomo" - costituirono il porto naturale di Ruvo.
La presenza di reperti archeologici (vasi e terracotte figurate) rinvenuti
nell'aria del suburbio, sulla quale in seguito é sorto il rione "catecombe",
confermerebbe le ipotesi secondo cui flussi di interesse economici ed aree
residenziali si sarebbero formate proprio lungo tali strade. Non si hanno
notizie nei documenti dell'esistenza di insediamenti umani nella penisola di
Sant'Andrea né della presenza di un originario insediamento abitato
caretterizzato da via principali (cardo e decumano) e dalle relative strutture
pubbliche (foro templi ecc.).
MEDIO EVO / PERIODO ANGIOINO (XI-XIIIsec.)
Una profonda modificazione Molfetta la subì nel Medio Evo. Per trovare segni
indiscussi e sicuri dobbiamo riportarci ai secoli XI e XII epoca nella quale
fiorisce in Puglia una vera e propria civiltà pugliese. Tali segni sono dati
dalla presenza del tracciato della cinta
muraria costruita sulla penisola nei secoli XII e XIII, nonché delle
"emergenze edilizie" rappresentate dalle antiche chiese di :
Sant'Andrea
del 1126 (ricostruita nel 1546)
dal
Vecchio Duomo di San Corrado del 1236
dal Castello Angioino,ubicato sull' area di piazza municipio e distrutto nel
1416. Nel 1300 la presenza di strutture "extra moenia", a carattere
rurale e residenziale, fa presumere l'esistenza di un suburbio vitale che é
segno di uno sviluppo demografico in atto.In quel tempo il suburbio di Molfetta
era più consistente di quelle delle città limitrofe, quasi prive di vere e
proprie espansioni extraurbane stabilmente abitate. Sulle funzioni del suburbio
su come sia sorto e sui legami col centro antico, non ci sono dubbi; si tratta
della prima forma di sviluppo viario ed insediativo fuori le mura, da
considerarsi come continuazione della pricipale arteria cittadina "extra
moenia " (attuale via Domenico Picca compresa nel successivo ampliamento
cincequecentesco).
Nell'arco del XIV sec., nel documento catastale, si menziona un'area sub
comunale, in cui erano situate strutture di edilizia rurale e non, che
accoglievano le sedi di attività lavorative quali i magazzini per il deposito
dei prodotti agricoli e trappeti per la lavorazione delle olive (nel numero di
sei unità) oltre ai numerosi serbatoi interrati per la racolta dell'acqua
piovana quasi tutti in condominio come quello della "Piscina
Comune"posta lungo il tracciato dell'attuale via Domenico Picca nell'antica
via che conduceva a Ruvo.
Nelle fonti storiche è riportato che nel suburbio esistevano la bottega di un
fabbro e le case di alcuni nobili; si sa ancora che proprio dirimpetto alla
" porta
della terra" (fig 4)(I), attraverso cui si accede in Molfetta Vecchia,
esistevano numerosi siti assistenziali con annesse chiese
e cappelle. A levante della chiesa di S. Stefano, di cui si hanno notizie
fin dal 1286, era ubicata la chiesa di S. Marco, probabilmente costruita da una
colonia di mercanti veneziani, e nel 1417 la chiesa della Trinità (attuala
chiesa di Sant'Anna) presisente come piccolo convento dei benedettini. A ponente
della chiesa di S. Stefano sorgevano la chiesa di S. Maria Maddalena, aperta al
pubblico alla fine del 1300.
Risulta, pure, che nel 1148 esisteva la chiesa dell' SS. Annunziata con annesso
ospedale degli appestati; sulla via Ospedale (attuale via Cifariello) era
situata, intorno al 1220, la chiesa di S. Francesco con convento, demolito nel
1888 per far posto all'attuale mercato al minuto del pesce.
Cosicché, nel tardo Medio Evo (XIII - XV sec.), preesistevano in uno spazio
urbano limitato due ospedali con annessi siti assistenziali e due conventi,
dando luogo ad un consistente nucleo di strutture collettive, in cui si
svolgevano attività religiose e sociali, oltre ad un buon numero di abitazioni.
Per cui il suburbio fino a quel tempo, aveva la forma di un esteso agglomerato,
cioé di un vero e proprio "Borgo" residenziale, costituito da un
tessuto edilizio denso e compatto nella zona prospicente la "porta" di
accesso alla città vecchia e più rado lungo il curvilineo tracciato viario che
collegava l'antico borgo all'entroterra, in direzione di Ruvo, delineando l'area
su cui, nei secoli successivi si è sviluppato il quartiere "Catecombe",
formatosi tra la fine del cinquecento ed il sei- settecento. Si può così dire
che, anche a Molfetta, come in altre città medievali, si sono avuti diffusi
ampliamenti fuori le mura, con l'inserimento nella periferia urbana dei primi
conventi e delle prime chiese dei Francescani e dei Benedettini.
Circa le ragioni del locale fenomeno espansionistico c'è da interrogarsi sulle
sue cause, se cioé questo avvenimento sia attribuibile alla mancanza di aree
edificabili nel Centro Antico, oppure a circostanze di altra natura.La prima
ipotesi non appare attendibile perché, tra la fine del 1400 e gli inizi del
1500, il Borgo Antico non era completamente saturo di costruzioni, come
testimoniano i documenti che fanno cenno ad una piazza interna ("pletea")
ubicata a ridosso della "Porta Della Terra" (I), quasi in
corrispondenza dell'attuale via Piazza, nel bel mezzo del quale sorgeva il
mercato. Inoltre fanno menzione di costruzioni ubicate a ridosso della cinta
muraria di Mezzogiorno (attuale muraglia) ove, più anticamente preesistevano i
"pagliari" rappresentati da costruzioni precarie con strutture lignee
ricoperte con teli di paglia. Allora è da pensare che le ragioni dello sviluppo
espansionistico e, soprattutto, della presenza dei numerosi siti conventuali e
assistenziali, siano ascrivibili ad altri fattori: ad esempio al grande spirito
religioso che, ad iniziare dal 1100, pervase le popolazioni dell'Italia
centrale. Altra motivazione potrebbe ricercarsi nella circostanza che
l'accentuarsi delle calamità, malattie di vario genere, epidemie di peste, la
mancanza di igiene personale degli abitanti, unito all'aumento della
popolazione, determinarono il fenomeno della beneficenza, tant'è che, grazie al
trasferimento di ricchezze da famiglie nobili e benestanti a istituzioni
assistenziali e religiose, sotto forma di carità, in quel tempo sorsero quasi
ovunque, case di cura per malati infetti, ospedali ed opere simili.
Tali strutture per non subire le condizioni di insalubrità che pervadevano
l'antica città furono appunto costruite fuori le mura. In relazione a
quest'ultima ipotesi si spiegherebbero le presenze dell'Ospedale dei Crociati
(1095) e dell'Ospedale di S. Filippo e Giacomo (1143), in località "Cala
S. Giacomo" , a circa 2 Km a ponente dalla città.
All'interno del Centro Antico, che all'epoca era perimetrato da una cinta
muraria comprendente tre bastioni (della Galera (A) , della Rondella (C) e
dell'Arcera (B)), di cui allo stato attuale non si conservano più tracce,
si segnalava la presenza di 18 case date a censo variamente distribuite nella
penisola. Queste erano localizzate in via S. Orsola (complesso edilizio del Mar
de Passaro già esistinte nel 1200 ), in via Scibinico, via S. Maria de Principe
(attuale via Morte), in via Forno, ed in via S.Pietro (solo in questa via si
contavano nove abitazioni), in via Macina e, infine, intorno al Duomo Vecchio.
Al centro di queste zone sorgeva come già detto la vasta piazza destinata a
luogo di mercato. Dal lato opposto alla "porta della Terra", verso
settentrione, era situata l'antica chiesa di S.Andrea (attuale Chiesa di S.
Antonio) costruita nel 1126, distrutta durante il "Sacco" 1529 e
ricostruita nel 1546.Ipotizzando all'epoca la forma del borgo antico, può
configurarsi una ellisse con asse longitudinale in direzione Est-Ovest,
condizionata a Settentrione dall'andamento naturalmente curvilineo della costa.
Di quel tessuto edilizio le strade principali erano la Via S. Orsola e la Via S.
Maria De Principe (Via Morte), denominate vie "Maiori", che
rappresentavano gli assi connettivi dell'aglomerato abitativo modellatosi nelle
aree di influenza degli organismi più rappresentativi costituiti, a levante,
dal castello Angioino , al centro, dalla Chiesa di S. Andrea , a Ponente
dall'antico Duomo. Vale a dire da quelle "Emergenze" che,
simboleggiando i centri dei più importanti interessi politici, amministrativi e
religiosi della città, orientarono lo sviluppo del tessuto urbano
strutturandone la trama viaria.
Una prima considerazione, alla luce di questa congettura morfologica della città
antica, riguarda il suo impianto urbanistico costituito da una strada principale
in direzione Nord-Sud (cardo) e da alcune vie trasversali che sboccano su di
essa, che non può essere di origine romano, così come si é più volte
sostenuto. In realtà di una strada principale, identificabile con l'attuale Via
Piazza, non é fatta menzione in nessuno dei documenti del tempo. Questa strada
si é formata per effetto della successiva saturazione edilizia del preesistente
spiazzo già esistente nel 1500.Invero, gran parte degli edifici prospicienti
Via Piazza sono stati costruiti in epoca più recente, tra il '600 e il '700,
come vedremo in seguito. Ciò risulta sia dalle date riportate sugli spigoli
di alcuni manufatti (vedi ad esempio quello compreso fra le Vie S. Andrea e
Piazza, e quello compreso tra Via Piazza e Via Morte, sia dal carattere
distributivo delle loro murature portanti, diverso da quello seriale delle unità
edilizie costituenti la struttura centrale del nucleo antico.
E' noto che nel medioevo gli schemi stradali (anche quelli classici a scacchiera
o radiocentrici) non furono mai applicati come regola fissa o secondo un
criterio unitario, ma in base alla natura del terreno e alle necessità di vita.
Quindi si formarono organismi urbani lontani da ogni astrazione e perfettamente
rispondenti ai bisogni locali per i quali, fermo restando il senso di estetica e
di praticità degli abitanti, si determinò una sensibile differenziazione dei
tipi formali.
Nell'andamento irregolare e contorto delle strade seguenti le curve di livello,
nel caso di insediamenti collinari, ovvero il profilo della costa, nel caso di
insediamenti sulle rive del mare, come Molfetta, si riconosce una delle
principali caratteristiche dell'urbanistica medievale.
Proprio lungo la costa Adriatica esiste il maggior numero di insediamenti a
schema urbano del tipo "orientato" o a "spina di pesce", la
cui forma é legata a specifiche funzioni che, come la pesca, si svolgevano
negli spazi antistanti o laterali agli insediamenti e richiedeva una particolare
integrazione di penetrazione tra il nucleo urbano e lo spazio produttivo.
Esempio di tipologie a "lisca di pesce" sono riconoscibili nelle forme
di diversi abitati costieri e lagunari che si affacciano nell'Adriatico, a
partire dalla laguna veneta fino alla Puglia.
A tal proposito si ricordino le cittadine di Chioggia, di Curzola sulla costa
Dalmata, di Francavilla a Mare e, più vicinde a noi, di Barletta, Trani e Mola
di Bari. Gli schemi medievali di tutte queste città, di formazione spontanea,
in quanto derivati da specifiche condizioni ambientali, sono simili a quello del
nostro borgo, sia per la tipologia del tracciato viario sia per la conformazione
stretta, allungata e curvilinea degli isolati edilizi, in cui le unità
abitative -che si affacciano sulle vie pubbliche- sono disposte a doppio pettine
e sono strutturalmente divise da setti murari longitudinali.
Altra caratteristica morfologica ricorrente negli schemi urbani di queste città,
oltre che di Molfetta Vecchia, è rappresentata dalla diversificazione
funzionale degli slarghi (o delle piazzette), dalle varici e dagli incroci viari
a baionetta, nonché dalla presenza nel tessuto edificato, di edifici emergenti
costituenti poli di orientamento del tessuto urbano tanté che se il vecchio
Duomo ed il distrutto castello Angioino rappresentarono per il nostro borgo
strutture architettoniche connesse ad esigenze sociali (religiose e politiche)
che, al cospetto della circostante edilizia minore, costituirono vere e proprie
"emergenze". Nondimeno è stato per Barletta il Castello Svevo, per
Trani il Duomo e il Castello Federiciano, per Curzola il Duomo di San Marco.
Come pure, la antiche fortificazioni del nostro borgo, successivamente inglobati
dagli edifici ubicate sulle frange periferiche della penisola, hanno avuto i
medesimi caratteri costruttivi (spessori murari, materiali impiegati,
strombature verso l'esterno, dimensioni in altezza) e le stessse dimensioni
difensive e di perimetrazione urbana di quelle realizzate, per esempio, a
Curzola quando, nel Medioevo, l'abitato fu diviso dal corpo dell'isola con lo
scavo di un fossato recinto dai veneziani con poderose mura.
Per quanto riguarda la difesa questa è affidata, secondo il classico esempio di
Venezia (come in Bari Vecchia) all' andamento labirintesco delle vie. In
Molfetta l'andamento delle strade decumane o parallele è curvilineo, con bruschi
cambiamenti di sezione ; dall'unica via meridiana (via Piazza) le decumane
si dipartono a "spina di pesce" innestandosi a due a due "a
baionetta" e non in proseguo sulla stessa direzione. L'invasore doveva
essere indotto continuamente dai frequenti inganni panoramici in vie obbligate
entro pericolose strozzature, dove la difesa da parte degli invasi era più
facile: questa difesa era praticata al di sopra dei tetti per mezzo dei
frequentissimi cavalcavia
che univano le case, permettendo un passaggio quasi continuo da un
fabbricato all'altro al di sopra dei tetti. Al di fuori di queste necessità
belliche, la pianta della città provvedeva alla difesa dal vento dominante (il
Greco) e dai venti impetuosi (Tramontana) con diversi accorgimenti: orientamento
di massima parallelo da Sud-Est a Nord-Ovest; gli imbocchi e sbocchi agli
estremi erano talora difesi da bruschi risvolti della strada e quasi sempre
bloccati da fabbricati a schiera disposti a ridosso delle mura e pressoché
inaccessibi dall'esterno; l'unica via meridiana era parimente bloccata a
Settentrione, nel senso meridiano vi erano pochi attraversamenti.
Da queste considerazioni può ritenersi quindi accettabile il principio che lo
sviluppo dell'agglomerato antico di Molfetta non sia avvenuto attraverso un
disegno precostituito, ma si è attuato spontaneamente, in conseguenza di
determinanti di ordine orografico ed ambientale, oltre che di avvenimenti
sociali, religiosi politici ed economici, tutti quanti relazionati ai principi
di praticità e di estetica insiti negli abitanti dell'epoca, tanto da far
sembrare la morfologia del borgo medievale frutto di un unica composizione
urbana.
Da segnalare, infine, nel contesto in esame, la presenza di altri edifici di
rilievo quali:
- la chiesa di S. Salvatore (1083) all'angolo di via Salvatore e Piazza;
- la chiesa di S. Antonio (1235) nei pressi della porta della terra;
- la
prima chiesa di S. Pietro (1174)sulla stessa area di sedime di quella
attuale che fu ricostruita nel 1660;
- la chisa di S. Nicolò (non più esistente) e la casa dei templari del 1148,
retrostante l'attuale palazzo del municipio ;
- ed il Palazzo De Agno del 1300 in via Mammone.
SVILUPPO URBANO DEL CENTRO STORICO NEL PERIODO ARAGONESE (1443-1530) SINO ALLA FINE DEL XVI sec.
Questo periodo è caratterizzato dall'attuazione di un vasto
piano di sviluppo edilizio che nel 1446 si compendiò nell'autorizzazione ad
occupare i suoli demaniali rimasti ancora liberi. Le testimonianze più salienti
dell'espansione urbana sono rappresentate dalle costruzioni di complessi edilizi
ubicati a ridosso della cinta muraria di mezzogiorno (attuale muraglia), ove
erano i suddetti "pagliari". Nella via S. Orsola ove nel 1542 fu
costruito il palazzo Lepore (15)con ingresso dall'atrio della chiesa di S. Vito,
e in via Morte lungo la quale nel 1550 fu costruito il palazzo
Nesta (16).
Tra il 1400 ed i primi anni del 1500 nel nucleo antico furono edificate numerose
chiese delle quali si ricordano le seguenti:
-
la chiesa di S. Maria De Principe (1423), ricostruita nel 1614 dalla
congregazione della Morte che diede nome all'attuale chiesa;
- la chiesa di S. Maria Degli Angeli (18) nel 1481;
- la chiesa di S. Lorenzo (22) nel 1498 in via S. Orsola;
- palazzo
Tattoli del 1593;
- palazzo
Gadaletadel 1550 (fig. 19).
Nella prima metà del 1500 iniziò la costruzione del monastero delle
Cistercensi (20) in via S. Pietro (attuale orfanotrofio) , nel cui complesso si
spostò l'antico convento, già prima ubicato in via S. Maria De Principe.
Anche le costruzioni politiche amministrative ebbero notevole impulso. Infatti
fu riattato l'antico castello, distrutto nel 1416, adibendolo a palazzo di città,
mentre nella seconda metà del 1500, fu restaurata l'attigua casa del Capitano;
furono ristutturati il molo e la casa della Guardia della Porta e fu realizzato l'ufficio
della Dogana, in prossimità della Porta della Terra. In angolo tra le vie
Piazza e Amente sorsero i locali deL SEGGIO DEI NOBILI (del quale sono visibili
solo tre arcate) e sopra di questi fu costruita la casa del Monte di Alessio.
Ma un particolare interesse dello sviluppo edilizio fu rivolto alla
realizzazione del sistema difensivo che nel 1515 si concretizzò nei seguenti
avvenimenti:
- dal lato Mezzogiorno si attuò il consolidamento della preesistente cerchia
muraria medievale e il rifacimento delle due porte di accesso alla città: la
Porta della Terra e quella del Castello (verso Levante detta "Porticella")(P);
- a Settentrione fu realizzato il torrione
Passaro che rappresenta un valido esempio di torre difensiva cilindrica che,
pur se costruita nel 1500, si ispira all'architettura medievale.
Il De Gennaro scrive che nei primi del 1500 lungo il perimetro delle mura di
Mezzogiorno non si addossavano fabbriche consistenti e che dalla Porta della
Terra (la più importante) si accedeva ad uno slargo di notevole dimensioni, la
Piazza, che la toponomastica dei primi del 1500 non esita ad identificare con la
porta stessa. Tale segnalazione avvalora la tesi della mancanza di una matrice
romana nell'impianto urbanistico del borgo antico. Una parte degli edifici
adiacenti alle mura fu realizzata, invece, nella seconda metà del secolo, per
iniziativa del "capitolo", sulle aree dove esistevano i "pagliari".
Nel 1529 si verificò un avvenimento di notevole importanza per la storia di
Molfetta: "il Sacco", del quale sotto il profilo edilizio si ricordano
gli effetti devastatori delle soldatesche francesi sul tessuto urbano. In
quell'occasione furono effettuate numerose distruzioni che in parte modificarono
l'aspetto architettonico di molte aree della città all'interno e all'esterno
della cinta medievale.
Nel suburbio furono distrutti numerosi siti devozionali ed assistenziali come:
- gli ospedali dell'Annunziata e della Trinità, la chisa di S. Stefano (4),
dirimpetto alla porta della Terra, la chiesa di S. Angelo (in prossimità
dell'attuale piazzetta S. Angelo), la chiesa e l'annesso convento di S.
Bernardino, posti a Levante della città. Nel nucleo antico i guasti maggiori
accaddero alle case ubicate in via Scibinico, in via Forno, in via Trescine e
nella pubblica Piazza.
Nonostante lo spiriti di ripresa dei cittadini, pur attuandosi dalla seconda metà
del 1500 in poi in un vasto piano di ricostruzione, alcuni edifici distrutti
durante il "Sacco" e molte chiese "continuavano a dare triste
spettacolo di se ancora a fine secolo, tanto che toccò al vescovo Bovio, nei
primi anni del seicento, di abbatterle senza aver chiesto la preventiva
autorizzazione alla Sede Apostolica".
Tuttavia alla fine
del 1500 nel nucleo antico risultavano ancora libere le aree attorno alla
Piazza (mercato) e quelle prospicenti il largo Castello e la chiesa di S. Nicolò
( in via S. Orsola).
Queste aree furono costruite, in seguito, nel '600 e, in maggior numero, nel
'700.
Tra le opere programmate dal piano dello sviluppo edilizio va ricordata la
costruzione della seconda
cinta muraria che ebbe inizio nel 1553 allo scopo di permettere un' idonea
espansione della città, poiché già nella seconda metà del '500, il Borgo
risultava saturo di costruzioni, specialmente quelle di edilizia minore.La
seconda cinta muraria, oggi totalmente distrutta, tranne un modesto rudere
situato nell' angolo tra via Bassi e piazza Respa (fig. 26 b), seguiva il
tracciato delle attuali vie S. Rocco, Ten. Ragno, S. Pansini, Piazza Vittorio
Emanuele, Piazza Respa, via U. Bassi, e Piazza Garibaldi, dal lato più vicino
al Seminario Vescovile .
Nell' area di piazza Respa le mura si addossavano all'antico castello Gonzaga;
questo fu costruito nel 1595 e distrutto nel 1785 per far posto, nel 1790 al
monastero delle Domenicane e all'annessa chiesa di S. Teresa realizzata poi nel
1835.Mentre - all'esterno
del nucleo antico- si completava la costruzione della seconda cerchia di
mura, si realizzavano i seguenti complessi monastici:
- il convento di S. Domenico (1a), a Ponente, nel 1570 e la vicina chesa di S.
Rocco nel 1578, distrutta nel 1891;
- la chiesa di S. Maria Maddalena (2a) nel 1597;
- il convento dei Cappuccini sulla via di Terlizzi (3a).
Tra la fine del '500 ed i primi anni del '600 iniziò la costruzione del
quartiere delle "Camere Nuove" sulle aree circostanti il convento di
S. Francesco (7) che sorgeva nella zona fin dal 1220.
SVILUPPO URBANO DEL CENTRO STORICO NEL XVII sec.
Nell'ambito della seconda cerchia muraria iniziò il processo di evoluzione dei
nuovi quartieri di espansione, limitrofi al Borgo originario. Frattanto si
trasformò il piccolo rione di S. Stefano, intorno alla chiesa omonima, posta di
fronte alla Porta della Terra, e si completò l'ampliamento del quartiere delle
"Camere Nuove" o "Catecombe". Per poter chiarire in termini
di ampiezza demografica la consistenza della città nel periodo in esame, ci
riferiamo al numero di abitanti citato da alcune fonti alla fine del sec. XVII.
Nel 1699 a Molfetta erano insediati circa 6670 ab., dei quali, 5200 nel nucleo
antico e 1470 nei rioni "extra moenia"; per cui alla fine del '600 il
Centro Antico era la zona di maggiore addensamento edilizio, con il più alto
indice di affollamento. Una conferma della vitalità e della capacità del Borgo
ci viene dato dal numero considerevole di case signorili realizzate sulle fascie
perimetrali nell'arco del XVII sec.. A tal proposito vanno segnalate le
costruzioni dei seguenti immobili che costituiscono la cortina dilizia
architettonicamente più significativa della struttura urbana:
- Palazzo
Filioli(1600) e casa Antico(1650) in via Salvatore;
- palazzo
Gioia (1600) in via Piazza;
- Palazzo
Antonello De Prasio(1602), Passaro poi Lupis(1622), Monna(1634);
- Palazzo Mauro Pappagallo(1605), -Mauro
Passaro(1635), Lattanzio Passaro(1633) in via S. Orsola.
Dello stesso periodo ricordiamo le costruzioni delle chiese : -S.Antenogeno(1614)
S. Maria di Costantinopoli (1625) in via S. Girolamo la chiesa di S. Anna
(1699), tra via Amente e via Forno, e del Palazzo
Michielli in via S.Pietro.
Fuori le mura medievali sorsero numerosi complessi edilizi, alcuni dei quali
prospicenti la cinta muraria di Mezzogiorno, a seguito dell'interramento del
fossato acqueo che prima del '600 occupava l'area dell'attuale Corso Dante .
Nel 1598 iniziò la costruzione del convento dei gesuiti e dell'attigua chiesa
Cattedrale; nel 1655 fu edificata la chiesa di S. Maria Consolatrice Degli
Afflitti (attuale chiesa
del Purgatorio , mentre nel 1636, in adiacente al preesistente monastero fu
edificata la chiesa S. Domenico. Da ricordare, inoltre, le costruzioni della
chiesa di S. Pietro Alcantara (1666), sulla via vecchia per Terlizzi, e del
Seminario Vescovile (1655) la cui attività aveva avuto inizio nell' edificio
che occupava l' area dell'attuale Piazza Municipio.
SVILUPPO URBANO DEL CENTRO STORICO NEL XVIII sec.
Gli
sviluppi edilizi più salienti in questo secolo sono rappresentati,
relativamente al nucleo antico, dalla edificazione di molti immobili localizzati
sulle aree libere degli spazi ancora esistenti: il
Palazzo Giovene in Piazza Castello; il
Palazzo Ribera ed il Palazzo
Muscati, il primo tra le vie Piazza, Amente e Forno, l'altro prospicente via
Piazza; il
Palazzo dall'ex seminario vescovile (costruito nel 1761) tra la via chiesa
Vecchia e l'attuale Banchina Seminario, all'epoca occupata dal mare.
Si completarono alcune testate di isolati compresi tra le vie Piazza Chiesa
Vecchia ed il Vico Campanile e, contestualmente alla costruzione dell'ex
Seminario furono demolite due torri quadrate della cerchia muraria, contigue
alle sue fabbriche.
Alle fuori delle mura medievali si verificarono numerosi episodi edilizi:
1) l'ulteriore espansione dei quartieri seicenteschi, limitrofi al borgo antico,
che alla fine del settecento diedero inizio alla formazione del quartiere
Cavalletti il cui sviluppo fu originato dalla costruzione del nobile palazzo
"Cavalletti" (l'attuale edificio De Dato)sulla Piazza Vittorio
Emanuele.
Dal lato di ponente, il quartiere Catecombe si espanse ancora investendo le aree
delimitate delle via Annunziata e Crocifisso, mentre si completò
definitivamente il quartiere S. Angelo con le costruzioni della chiesa
Cattedrale, dell'attula Seminaro Vescovile e del gruppo di edifici che
prospettano la Piazza Vittorio Emanuele.
2) contemporaneamente a questa ulteriore espansione della città in direzione
Sud, nel 1785 si attuarono le demolizioni del castello Gonzaga e della seconda
cinta muraria; nel 1790 si costruì il monastero delle Domenicane di S. Teresa,
sull'area di risulta della demolizione del castello Gonzaga; nel 1785 fu
costruita la chiesa di S.Gennaro,in via S.Pansini, con la quale si completò il
seicentesco rione in via D. Picca.
Per quanto riguarda l'entità demografica, fonti storiche riportano che nel 1754
la Città, nonostante questi ampliamenti, annoverava ancora una popolazione di
circa 6700 ab., dei quali 5300 insediati nel nucleo antico e solo tra la fine
del '700 e l'inizio dell' '800 la popolazione raggiunse i 14000 ab. circa per
cui, le trasformazioni edilizie verificate durante il secolo non furono seguite
da un diretto incremento di popolazione, specie nelle aree "extra moenia",
ove avvennero le espansioni.Lo scopo di queste ultime, di favorire il
diradamento di popolazione dal Centro Antico, fu in un certo senso frustrato,
probabilmente a causa dell'effetto di "richiamo" che nel '600 e per
quasi tutto il '700 esercitò il borgo medievale nei riguandi degli abitanti.
SVILUPPO URBANO DEL CENTRO STORICO DAL XIX AI PRIMI DECENNI
DEL XX sec.
E' risaputo che nella provincia di Bari il XIX secolo fu caratterizzato da un
intenso processo di crescita e di sviluppo urbanistico con la costruzione dei
cosiddetti "borghi", costituenti le prime espansioni degli originari
abitanti, accentrati fino ad allora, nelle cinta murarie medievali e
rinascimentali. Tra l'altro ebbe inizio una grande attività delle opere
pubbliche (strade, piazze, ville comunali) può quindi giustamente affermarsi
che le città ottocentesche sono il prodotto della iterazione tra la cultura
amministrativa e la cultura tecnica, vale a dire di una nuova concentrazione
urbano-edilizia, la cui determinante va ricercata nella rivoluzione industriale
che iniziata nel '700, sovvertì progressivamente l'ordine delle città, rimasto
statico per secoli, dando luogo alla riorganizzazione urbana secondo principi e
sistemi del tutto innovativi.
Alla luce di queste premesse, considerato che nella provincia di Bari e nella
nostra stessa regione all'inizio del secolo scorso non si sono verificati
consistenti e macroscopici sconvolgimenti urbani, così come avvenuto in altri
Paesi europei ed anche nel Nord d'Italia, sorge spontaneo domandarci: quali sono
state le vere ragioni del consistente sviluppo urbano ottocentesco a Molfetta.
La risposta a questo interrogativo la si può sintetizzare nelle seguenti
circostanze:
1) Gli "imput" impressi all'economia della città dai processi di
sviluppo produttivo che investirono la "terra di Bari" all'inizio del
XIX secolo a riguardo delle attività agricola, artigianale, manufatturiera, e
commerciale, nonché il potenziamento della rete viaria, allorquando venne
realizzata per volere del potere borbonico l'importante strada di collegamento
fra Napoli e Bari.
2) L'ampliamento ed il potenziamento del porto, al servizio delle vicine città
di Terlizzi Ruvo e Corato per il trasporto via mare delle merci di queste stesse
città;
3) La circostanza che, a differenza di molte città limitrofe, Molfetta sin dai
primi anni dell'ottocento, presentava una sensibile espansione "extra
moenia" con la realizzazione dei quartieri Catecombe e S. Angelo, limitrofi
al Centro antico.
Per cui la città aveva una consistente dimensione topografica, più imponente
di quella di Barletta e di Trani che le conferiva il carattere di centro abitato
in progressivo sviluppo con in atto un sensibile processo di inurbamento,
seguito dal radicale mutamento della struttura socio economica della popolazione
nel quarantennio post-unitario.
Nella seconda metà dell'ottocento fra le circostanze che hanno favorito lo
sviluppo della nostra città vanno annoverate i seguenti: l'arrivo della
ferrovia statale, il notevole sviluppo delle industrie locali, e la nascita di
molti stabilimenti dediti alla produzione dell'olio, stabilimenti per la
produzione della pasta e numerose cave di pietra. Si ebbe la riforma degli
apparati amministrativi ed una efficienza, mai conosciuta prima, della
amministrazione pubblica nonché la redazione del primo Piano Regolatore della
Città, approvata dal ministero dei Lavori Pubblici il 2 maggio 1870.
Negli ultimi decenni del settecento il limite topografico della città era
costituito dall'attuali vie S.Rocco, Sergio Pansini e Largo Ponticella,
seguivano il tracciato della seconda cerchia muraria cinquecentesca.
L'espansione fu lenta e l'attività edilizia si estrinsecò nel rifacimento di
alcune strade importanti nonché dalla costruzione di nuove cisterne di acqua
piovana, per far fronte alla carenza di acqua dovuta alle continue siccità
estive.
Proprio all'inizio del secolo gli amministratori locali rivolsero maggiore
attenzione all'ampliamento del porto in quanto la pesca era divenuta la risorsa
principale della popolazione molfettese.
Nel terzo decennio del secolo scorso l'attività urbanistica si riavviò
stimolata dalla necessità di affrontare il problema igienico della città per
la scarsezza di acque che aveva investito l'intera Regione causando l'insorgere
di malattie infettive.
Mentre la città si espande nel centro antico non accadevano avvenimenti edilizi
significativi, così come era avvenuto nei secoli passati.
La sua struttura urbana non subì mutamenti sostanziali, ad eccezione della
demolizione dei tre antichi bastioni lungo la cinta muraria, verificatasi nel
1812 (bastione dell'Arcella (B) e della Rondella (C)) e nel 1823 (bastione della
Galera (A)).
Per il centro antico ebbe, invece, inizio l'epoca dei guasti e del degrado
edilizio e demo-economico: il primo causato dalle sopraelevazioni che si
attuarono nell'ambito del tessuto urbano, l'altro determinato dalla notevole
espansione della città su zone sempre più lontane dal Borgo, che finirono con
l'emarginarlo e col farlo divenire un quartiere di povera gente, abitato in
prevalenza da marinai, operai e contadini.
Le sopraelevazioni, costruite il più delle volte senza alcun accorgimento
statico, danneggiarono e indebolirono le sottostanti murature più antiche, le
quali non hanno potuto resistere troppo a lungo all'abbandono, quasi totale,
della popolazione in questi ultimi decenni.
Le su esposte circostanze rappresentano le cause prime della rovinosa situazione
statica in cui attualmente versano le strutture portanti di circa il 50% delle
case del Borgo, il cui processo degenerativo non è soltanto dei nostri giorni
ma ha avuto inizio sin dal secolo scorso.
Le condizioni socio economiche della popolazione in quell'epoca non erano tali
da permettere agli abitanti proprietari di provvedere alla continua manutenzione
degli immobili, i quali venivano restaurati male. Si legge nella relazione
dell'ing. Giancaspro progettista del Piano di risanamento predisposto dal Comune
nel 1934, che "i proprietari in alcuni casi provvedevano a costruire sui
vecchi immobili sopraelevazioni, così maldestramente eseguite, da provocare
danni ai sottostanti muri, mentre sotto il profilo funzionale creavano quel tipo
di case promiscue in cui alle anguste rampe delle ripide scale di legno non si
accedeva per mezzo di pianerottoli, ma attraverso le stanze abitate da altri
inquilini. Lo scorso secolo vide cadere in abbandono la città vecchia; le
catapecchie vennero cedute a prezzi vili a piccoli speculatori, oppure furono
tenute da famiglie impoverite che non potettero restaurarle, o che preferirono
abbandonare del tutto le fabbriche cadenti".