LA PROPRIETA’ EDILIZIA TRA:CODICE CIVILE, COSTITUZIONE E LEGGI SPECIALI

Prof.re Avv. E.Capobianco

 

Il diritto ha una enorme importanza nella nostra realtà perché regola le azioni umane, non esiste argomento che non sia toccato dal diritto. Noi oggi parleremo in particolare del rapporto che esiste fra il diritto e l’attività edilizia in particolare il diritto di proprietà.

            Tutti noi abbiamo la proprietà di alcuni beni, possiamo essere proprietari di beni mobili e immobili. Il nostro codice civile del 1942 delinea il contenuto del diritto di proprietà all’art. 832, dicendo che il diritto di proprietà è il diritto che il soggetto ha di godere e di disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, ovvero chiunque di noi abbia la proprietà di un bene ha diritto di utilizzarlo e di farne propri gli eventuali frutti. Il secondo è un diritto di disporre, ovvero il proprietario ha anche un potere di disposizione sul bene, cioè ha il potere di determinare la sorte del bene, entrambi in modo pieno ed esclusivo. Cosa stanno ad indicare la pienezza e l’esclusività? La pienezza sta nel senso che può godere in maniera piena del bene, mentre l’esclusività sta nella possibilità di escludere gli altri dal godimento del bene. In questa prima parte si determina il diritto di proprietà strutturato in maniera egoistica. Il diritto di proprietà è un diritto in cui si celebra proprio l’aspetto privatistico del diritto, il proprietario è colui che può godere della cosa in modo pieno ed esclusivo, escludendo tutti gli altri. La legge tuttavia aggiunge a questa espressione, il diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, un ultimo inciso, dicendo però con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. Questa è la definizione che il Codice Civile del 1942 da al diritto di proprietà, tutt’oggi valida. Questa espressione significa che questo diritto rimane si un diritto di  tipo egoistico, però ci sono dei limiti e degli obblighi. Il concetto di proprietà tuttavia non tiene conto della pluralità di beni che possono essere suscettibili del diritto di proprietà, nel senso che per un soggetto non è lo stesso essere proprietario di una penna o essere proprietario di un appartamento. A sua volta la proprietà di un appartamento non è sempre la stessa, o quanto meno è regolata da norme diverse a seconda che l’appartamento sia destinato ad uso abitativo o ad uso non abitativo. Si tratta di differenze di regime giuridico, cioè di disciplina del bene. La proprietà non è mai uguale a se stessa, si dice che non esiste la proprietà, ma esistono le proprietà, perché molto spesso ogni tipo di bene può essere regolato, fermo restando le norme generali sulla proprietà, da discipline differenti. Tutti questi casi di tipo di beni, sono esempi disciplinati da norme diverse, ciascuna con un particolare scopo, per ragione logica, senza proteggere cioè particolari interessi. Nel caso però sono proprietario di un bene storico e artistico, come ad esempio un palazzo storico, il mio diritto di proprietà deve fare i conti con una esigenza dalla collettività, come quello di mantenere le caratteristiche storico- architettonico del palazzo.

            La nostra Costituzione del 1948, intervenuta solo successivamente al Codice Civile del 1942, è un testo di legge che rappresenta un complesso di norme del nostro sistema giuridico più importante gerarchicamente parlando, nel senso che la Costituzione è una fonte del diritto primario che nessuna altra legge – includendo anche il Codice Civile – può mai contrastare la Costituzione. In caso contrario la legge può essere eliminata dal nostro sistema giuridico dalla Corte Costituzionale che potrebbe dichiararla incostituzionale.

            La  Costituzione si compone di soli pochi articoli, solo 139 contro i 2969 del Codice Civile. Fermo restando questo, la Costituzione assume un importanza enorme perché è innanzitutto metro di valutazione della legittimità costituzionale delle leggi. La Costituzione contempla il diritto di proprietà, per cui la nozione del diritto di proprietà non va soltanto desunta da quanto detto nel codice Civile ma anche da ciò che dice la Costituzione. L’art. 42 della Costituzione dice che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, aggiungendo i modi di acquisto, i modi di godimento e soprattutto i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Risulta dunque un disegno meno “egoistico” della proprietà. Questo fa capire come nel disegno costituzionale la proprietà da essere un diritto di matrice esclusivamente egoistica, nella costituzione la proprietà viene disegnata come un diritto che ha una funzione sociale. E’ un grosso cambiamento rispetto al Codice Civile.

            Naturalmente il Codice Civile disciplina vari tipi di proprietà; molto spesso vi sono delle proprietà che non possono caricarsi di funzioni sociali, come ad esempio nella proprietà di un libro o di una penna. Al contrario se sono proprietario di una casa adibita ad abitazione, senza abitarla direttamente, ma la ho affittata ad altri, io ( il proprietario) ho delle difficoltà a riottenere l’abitazione alla scadenza del contratto. In questo caso la proprietà dell’appartamento si carica di una funzione sociale, ovvero vi sono interessi più importanti della proprietà dell’abitazione, come quelli di assicurare l’abitazione all’inquilino ovvero al soddisfacimento di un bisogno primario.

            Nel Codice Civile esistono una serie di norme che regolano la proprietà; fra queste ci sono le norme che regolano la proprietà fondiaria, e nel suo ambito, ci sono delle discipline che regolano la proprietà agricola e la proprietà edilizia. Noi ci occuperemo di quest’ultimo aspetto, anche se in verità il Codice Civile non contiene moltissime disposizioni in materia di proprietà edilizia, limitandosi soprattutto a contenere quelle disposizioni che sono poste soprattutto nell’interesse dei privati, come ad esempio le norme che regolano la distanza minima fra due edifici, per motivi di salubrità, per motivi di passaggio, ecc…

            La disciplina della proprietà edilizia non la troviamo tutta nel Codice Civile, ma in ulteriori discipline contenute in una serie di leggi successive al Codice Civile e che in qualche modo ne completano la disciplina.

            La Costituzione si occupa della proprietà in generale, senza norme specifiche sulla proprietà edilizia. Un aspetto molto importante nella Costituzione lo possiamo riferire alla proprietà edilizia è quello indicato dall’art. 47 comma II° si occupa di un tipo particolare di proprietà edilizia, nel senso che la Repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, e quindi si occupa in particolare di una forma della proprietà edilizia che è la proprietà dell’abitazione, imponendo allo Stato di incoraggiare l’accesso del risparmio alla proprietà dell’abitazione. Il diritto all’abitazione è un bisogno fondamentale delle persone. Vi sono vari modi per favorire il bisogno abitativo; basta pensare agli I.A.C.P. che si propongono di attribuire delle abitazioni a delle persone bisognose, o ancora a tutte quelle facilitazioni che la legge prevede per l’acquisto della prima casa, come ad esempio il buono casa  che è una specie di somma a fondo perduto che talvolta l’ente pubblico può erogare ai privati che abbiano bisogno di acquistare una casa. La Costituzione vuole favorire l’abitazione qualunque sia lo strumento giuridico adottato, quindi non esclusivamente tramite la proprietà, ma anche attraverso lo strumento dell’affitto o quello successorio.

Gli interventi per favorire il diritto all’abitazione sono i più vari, come la cooperazione edilizia che è incentivata dalla Stato, che vede la possibilità dell’acquisizione di un’area per la costruzione diretta degli immobili senza necessariamente rivolgersi ad un intermediario speculatore, cioè a colui che vende sul mercato le abitazioni, realizzando un risparmio di spese.

 

REGIME GIURIDICO DELLA PROPRIETÀ EDILIZIA

 

               Nel regime giuridico della proprietà edilizia convergono disposizioni che si trovano sia nel Codice Civile che in leggi speciali ( leggi urbanistiche nazionali e regionali). Con il termine “legge speciale”, si vuole intendere ogni testo di legge che riguardi materie specifiche, che si trovano al di fuori di corpi di legge molto ampi ed organici come ad esempio il Codice Civile.

Nella materia edilizia sono coinvolti Codice Civile, leggi speciali urbanistiche, serie di leggi amministrative come ad esempio quelle di carattere sanitario, tributario, fiscale, ecc…, i  vari strumenti urbanistici che non solo leggi ma atti amministrativi, il regolamento edilizio comunale.

            Nella legislazione in materia edilizia si può evidenziare immediatamente quella funzione sociale di cui si è parlato prima, cioè del fatto che la proprietà nella sostanza, viene in realtà incisa da una serie di obblighi, prescrizioni che il proprietario si trova a dover subire, tanto che la sua proprietà si dice conformata.

            Analizziamo ora la facoltà di costruire. L’esercizio della facoltà di costruire da parte del proprietario, come ogni altra attività che può comportare la trasformazione urbanistica del territorio, è subordinato al rilascio di una concessione da parte del Sindaco, in base a quanto afferma la legge n° 10 del 1977,  più nota come legge Bucalossi. Si deduce che l’esercizio della facoltà di costruire non è libera da parte del proprietario, ma è subordinata ad una concessione edilizia. La sua violazione è così grave che può essere sanzionata dal punto di vista penale, non solo ma anche da un punto di vista amministrativo, con la demolizione dell’immobile. Il proprietario inoltre, deve farsi carico di un contributo commisurato da un lato dalle spese di urbanizzazione primarie (strade, fogne, illuminazione, ecc…) e dall’altro dalle spese di urbanizzazione secondarie, riscontrabili nei servizi vari ( scuole, asili, ecc…). Si può avere un esonero dal pagamento dei contributi di urbanizzazione se il costruttore si impegna a vendere o a dare in fitto gli appartamenti che costruisce a dei prezzi calmierati.

            Anche l’attività costruttiva dev’essere oggetto di una concessione da parte del Sindaco, dipendente anche dal tipo di attività che si intende svolgere, nel senso che se si tratta di opere di restauro, di manutenzione ordinaria o straordinaria o di opere interne, è sufficiente avere una semplice autorizzazione. La legge Bucalossi, sulla concessione edilizia è abbastanza recente. La materia urbanistica era regolata, ed è tuttora regolata (solo in parte) dalla legge urbanistica del 1942, cioè da una legge coeva al Codice Civile. La vecchia legge urbanistica prevedeva che l’attività costruttiva dovesse essere preceduta non da una concessione edilizia ma da una semplice licenza edilizia. I termini licenza e concessione nel linguaggio giuridico sono termini differenti. Con la concessione si intende di solito, ottenere un diritto che prima il privato non aveva; viceversa la licenza edilizia stabilita dalla legge del 1942 era invece la richiesta di una semplice permesso per la rimozione ad un limite di un diritto che già si possiede ( ad esempio la licenza necessaria per aprire un negozio).

            Con l’emanazione della legge Bucalossi, che ha sostituito la licenza con la concessione, la maggior parte dei commentatori di questa legge ha detto che passando dal sistema della licenza a quello della concessione edilizia, si è scorporato la facoltà di costruire dai poteri del proprietario, attribuendola al Comune. Ciò comporta delle determinate conseguenze quale quella di vedere il proprietario privato del diritto di costruire e, nel caso di espropriazione – cioè della privazione del bene da parte dell’ente pubblico – di un indennizzo giustamente corrisposto. La legge prevede, in questione, un serio indennizzo da corrispondere al proprietario espropriato, il che non significa dare al proprietario un valore venale del terreno, ma comunque di indenizzarlo del pregiudizio che subisce. E’ chiaro che il valore delle aree edificabili, se noi riteniamo che il diritto di costruire spetti al proprietario, è maggiore rispetto al valore del suolo calcolato in un regime di concessione edilizia, dove il diritto di costruire non spetta al proprietario. Questo ha comportato una serie di leggi prevedendo che tutti i proprietari dovessero essere espropriati al valore agricolo cioè al valore del terreno senza considerare il valore aggiunto derivante dall’edificazione dell’area.

            La concessione edilizia viene rilasciata dal Sindaco, che provvede al suo rilascio secondo criteri del tutto arbitrari. L’esercizio della facoltà di costruire, presuppone a monte, la presenza di una pianificazione territoriale, ovvero un insieme di strumenti di carattere legislativo e di carattere amministrativo. Di questo si occupa la legislazione urbanistica, che si propone la crescita ordinata del territorio. Si capisce dunque che il rilascio di una concessione edilizia da parte del Sindaco, è subordinato al fatto che l’intenzione del proprietario di costruire, corrisponda al programma presente negli strumenti urbanistici del territorio.

            Le fonti di disciplina urbanistica sono la Legge Urbanistica del 1942, modificata e integrata dalla Legge Ponte del 6 agosto 1967 n° 765, poi la Legge sulla Casa del 22 ottobre 1971 n° 875, la Legge Bucalossi del 28 gennaio 1977 n°10 e infine la Legge sul Condono Edilizio.

L’attività di pianificazione urbanistica si svolge attraverso una serie di strumenti urbanistici che sono articolati secondo un modulo gerarchico, nel senso che un piano urbanistico di rango inferiore deve corrispondere e non può derogare alle prescrizioni di un piano urbanistico superiore.

In questa materia abbiamo una pluralità di competenze: lo Stato che attraverso la legislazione urbanistica da delle direttive di carattere generale, le Regioni e i Comuni che attuano la pianificazione urbanistica. Naturalmente vi sono vari problemi di coordinamento fra questi vari enti che si occupano della materia urbanistica. Ad un primo livello noi troviamo i Piani Territoriali di Coordinamento, già previsti dalla legge urbanistica del 1942 e compilati dal ministro dei lavori pubblici, era uno strumento facoltativo, cioè poteva anche non essere utilizzato e conteneva soprattutto le prescrizioni che lo Stato indirizzava alle varie amministrazioni. Questo è stato ora soppiantato da un Piano Urbanistico Territoriale di competenza della Regione che dovrebbe essere obbligatorio. Ad un secondo livello vi sono i Piani Provinciali o  Comprensoriali che non hanno una notevole importanza e riguardano soprattutto gli interessi che le amministrazioni provinciali e comprensoriali hanno nel territorio. Ad un terzo livello abbiamo il Piano Regolatore Generale, di importanza notevolissima. Per i comuni che non sono provvisti di questo piano regolatore ci può essere un programma di fabbricazione. Esso è di competenza comunale e va approvato dalla Regione. Ha una portata generale, come se avesse “il valore di una legge”; sulla base del piano regolatore i Piani Attuativi devono rispettare le rispettare le previsioni del piano regolatore.  Il contenuto del piano regolatore generale è indicato nell’articolo 7 della legge urbanistica del ’42, dicendo innanzitutto il piano regolatore deve considerare la totalità del territorio comunale, come se fosse una pianta della città, in cui vengono indicate la rete delle principali vie di comunicazioni sia stradali che ferroviarie occorrendo anche navigabili e la divisione in zone del territorio, con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in una zona, la cosiddetta zonizzazione. Vanno indicate ancore le aree destinate a formare spazi di uso pubblico, le aree da riservare a edifici pubblici, i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale o paesaggistico insieme alle norme per attuare il piano. Accanto ai piani regolatori vi sono i Piani Pluriennali d’Attuazione che sono dei programmi che delimitano le aree in cui in un certo periodo di tempo devono realizzarsi determinate opere. Vi sono poi, come fonte subordinata ai piani regolatori, i Piani Regolatori Particolareggiati attuativi più in dettaglio delle prescrizioni del piano regolatore generale. Questi incidono in maniera più forte sulle proprietà individuate ed inoltre non possono andare in contrasto con i piani regolatori generali. Essi contengono le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona. Devono essere inoltre indicate le masse le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze, gli spazi riservati ad opere o impianti di interesse pubblico, gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione , le suddivisioni in isolati dei lotti fabbricabili, le leggi catastali delle proprietà da espropriare, le profondità delle zone laterali a opere pubbliche. In determinate zone in cui manchino i piani regolatori particolareggiati i privati possono effettuare di propria iniziativa delle lottizzazioni, tramite una convenzione con il Comune. Infine vi è il Regolamento Edilizio emanato dal Comune e indica come costruire, prevedendo innanzitutto una Commissione Edilizia, la presentazione delle domande di concessione edilizia o di trasformazione dei fabbricati, deve prevedere la combinazione di progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzioni in armonia con le leggi in vigore, deve prevedere l’altezza minima e massima dei fabbricati, la distanza dai fabbricati vicini, gli aggetti, l’aspetto dei fabbricati e il loro decoro, le norme igieniche, le prescrizioni costruttive da prevedere in determinati quartieri, ecc….