I COMPONENTI COSTRUTTIVI: LE MURATURE “EVOLUTE”

(2° PARTE)

Prof.re  C.Latina

          La costruzione di fabbricati in muratura portante rappresentano una tecnica costruttiva che è stata ripresa soltanto in questi ultimi anni, in quanto si era persa memoria delle lavorazioni in laterizio, in pietra e in legno, a vantaggio delle tecnologie basate sullo scheletro portante in cemento armato e acciaio. Questo è accaduto essendo una struttura in muratura come una scatola, chiusa da grossi paramenti murari che negano in assoluto la continuità tra gli spazi aperti e i volumi abitati, costringendo il progettista alla regolarità e ad un impianto strutturale ben preciso. L’ingombro volumetrico o planimetrico di una struttura muraria può essere messo a confronto con quello di una struttura intelaiata. Analizzando le piante dei piani terreni di alcuni monumenti storici si è calcolata la parte di superficie occupata dalle strutture in rapporto con quella coperta.

            Il Partenone di Atene e il Pantheon di Roma raggiungono una superficie strutturale pari al 20% del totale. In epoca gotica questa percentuale si abbassa, in quanto il gotico pone alla base del suo stile, la fuga delle strutture verso l’alto. In una cattedrale gotica  si ha una superficie strutturale media del 15 %. A inizio secolo questa percentuale scende nettamente, quando vengono presentati i primi progetti in acciaio, con una superficie strutturale pari al 3%. Questa è stata poi aumentata a causa della necessità di sostituire i tamponamenti in vetro, con una superficie muraria autoportante in laterizio. Oggi si è giunti all’estremizzazione di questa filosofia, raggiungendo superfici strutturali infinitesime, se confrontate con quelle delle più grandi opere del passato, si parla in casi estremi dello 0,15%. Oggi inoltre si è ribaltato il concetto della piramide, ora rastremate verso il basso.

Questa evoluzione è stata sicuramente accompagnata da una evoluzione dei parametri murari, passando dal concetto di funzione strutturale a quella di portare se stesso. Solo con questo passaggio si è giunti a scoprire le caratteristiche intrinseche del muro a massa, inteso come elemento di chiusura e di riparo verso l’ambiente esterno, con il compito di evitare dispersioni termiche e di protezione dai rumori dall’ambiente esterno. Con il muro a “tenda”, per lo più realizzato in vetro o in cls leggero, questo si viene a perdere. Tale problema si fece più evidente quando negli anni ’70 si sentì la prima crisi petrolifera, che portò a rendere il più possibili impermeabili al calore le parete di chiusura esterna. Nasce qui il primo abbinamento dei muri a “tenda” con i coibenti termici, materiali sintetici – derivati del petrolio -  che riescono a contenere il flusso di calore verso l’esterno. Questo fu subito accompagnato dalla scoperta che i coibenti termici, se non adeguatamente protetti, sono suscettibili di deterioramento precoce, con perdita prestazionale. Per questa ragione fu abbinato al coibente una guaina plastica, la cosiddetta barriera al vapore con il compito specifico di proteggere il coibente dai flussi di vapore derivanti dalla produzione di vapore acqueo all’interno delle unità abitative. In questa maniera si è però chiuso l’edificio in un sacchetto di plastica, non permettendo la respirazione dell’abitazione.

A conferma di quanto detto, in laboratorio è stata testata la permeabilità al vapore di tre diversi tipi di tamponamento. Si ha che una parete in mattoni lascia passare 0,1 kg/giorno di vapore, mentre una parete in calcestruzzo consente una  trasmigrazione di vapore di 0,01 kg/giorno, mentre una parete in calcestruzzo attrezzata con barriera al vapore consente una trasmigrazione di 0,0003 kg/giorno. Questo è un problema considerevole se si pensa che anche gli infissi oggi usati sono costruiti in metallo o PVC e che sono totalmente impermeabili al vapore  quindi il microclima interno è compromesso, sotto questo punto di vista, anche perché gli infissi che venivano realizzati in legno consentivano lo spiffero d’aria che accoppiato alla giusta permeabilità del mattone consentiva una ventilazione naturale degli ambienti, senza obblighi di areazione dovuti ad aperture di finestre.

            Nel 1987 è stata approvata una normativa che riguarda le opere in muratura, anche se presenta numerose carenze a riguardo dei tipi tecnologici analizzati, trattando solo quella monolitica, senza menzionare le pareti stratificate ed è totalmente assente la trattazione relativa ad archi e volte. Fissa comunque gli spessori minimi in 12 cm per murature in mattoni pieni e in 25 cm per murature portanti in blocchi forati. La norma non fa inoltre alcun riferimento alle possibili tecnologie costruttive, come avviene per la muratura armata, che in pratica è una muratura in laterizio con una intercapedine, al cui interno vi è una soletta collaborante in cls armato.

            Esistono anche nuove tecnologie che tendono a sostituire il tradizionale legante in malta con materiali siliconici con tempi di presa molto più rapidi e riducendo lo spessore fissato in 1 cm per i giunti in malta ai 2-3 mm per i giunti di collante. La tecnologia ha permesso di definire anche le murature a diaframma, usate per costruzioni di uno o due piani massimo. Esse devono resistere a carichi molto piccoli, dato che su di essi grava il solo peso della copertura. Queste sono murature solitamente utilizzate in capannoni industriali, quindi con altezze sostenute, andando incontro a problemi di snellezza, risolti con un sistema in pianta a celle.