Terminata la scuola avveniva, in modo molto veloce, l'inserimento completo sia dei ragazzi che delle ragazze in tutte le attività lavorative, finché per i giovani arrivava, ad indicare la raggiunta maturità, la coscrizione.
   Dire coscritti significava giovinezza, vigore fisico, allegria. Per la maggior parte dei giovani era anche la prima occasione per uscire dalla vallata, per fare esperienze nuove. Ma era anche un momento di impegno sociale e religioso: le numerose foto dei "vecchi coscritti" sono non soltanto occasione per riconoscere la fisionomia di qualche persona anziana ancora vivente, o di qualcuno che abbiamo conosciuto e che ora il Signore ha chiamato a sé, ma anche spunto di riflessione sui valori della giovinezza.
    Altra tappa importante, il servizio militare. Importante per le esperienze nuove, per l'allargamento delle conoscenze di persone, di paesi e città, di altre mentalità e culture; importante anche, nonostante i molti limiti, per l'educazione a un tipo di vita comunitaria con ordinamenti e gerarchie diversi da quelli conosciuti in famiglia, in paese e sul lavoro. Chi ritornava dal servizio militare si considerava ed era considerato in certo modo "adulto" ed era a questo punto che normalmente il giovane pensava a costituire il suo "fuòk", a farsi cioè una famiglia per conto proprio.
   Una volta formata la famiglia gli anni passavano uno dopo l'altro tutti eguali, nell'impegno continuo di reperire i mezzi per allevare la famiglia in una "economia di sopravvivenza", nella quale chi era più ricco (il bakàn) era semplicemente uno che aveva qualche mucca di più in stalla e che inte la cauna da l formai aveva sempre qualche forma di formaggio e qualche salame appeso. Situazioni di miseria vera e propria a Selva, salvo qualche caso dovuto però a cause particolari, non ve n'erano. Anche i più poveri avevano generalmente almeno una mucca che assicurava latte e formaggio, disponevano di qualche campo per le patate, la fava e il frumento. Ma era una vita dura: per sopravvivere bisognava lavorare sodo. E lavoravano tutti, ricchi e poveri, allo stesso modo, con le stesse regole, e se le stagioni erano cattive con gli stessi magri risultati.
   Questa situazione durava tutta la vita, a meno di fatti eccezionali, come le frequenti guerre nei primi cinquant'anni di questo secolo (guerra d'Eritrea del 1896, di Libia del 1911, prima grande guerra mondiale dal 1915 al 1918, guerra d'Etiopia 1935-36, seconda grande guerra mondiale 1940-45). Allora gli uomini dovevano abbandonare il lavoro; le difficoltà in paese crescevano; donne, bambini e vecchi dovevano sobbarcarsi una mole eccezionale di lavoro per mantenere a un livello buono l'economia locale. Senza dire dei lutti, numerosi e dolorosi, che colpivano tante famiglie a causa dei loro congiunti caduti o dispersi su tutti i fronti d'Europa o nei campi di concentramento.
   Un problema sempre grave era la fame. A Selva, rispetto ad altre popolazioni della vallate vicine, la gente stava abbastanza bene; tant'è vero che a tutte le case bussavano in continuazione mendicanti provenienti dai paesi vicini, particolarmente dall'Agordino, ma anche da più lontano, per chiedere la carità di un po' di patate o di qualche fava. E, a onore della gente di Selva pur essa povera, nessuno rifiutava mai di dare n puñ de faa a chi stava peggio. Ma se non c'era miseria, la popolazione viveva comunque in grande ristrettezza. Soprattutto dopo la cessazione delle attività collegate allo sfruttamento delle miniere, la sola attività agro-silvo-pastorale non era sufficiente a mantenere tutta la popolazione. Inoltre, nonostante la grande mortalità infantile, la popolazione registrava un saldo demografico attivo. Nel 1638 risulta che gli abitanti di Selva erano 1.001; nel 1723 erano diventati l.135 ed erano saliti a ben 1.300 un secolo fa, nel 1880.
   La cessazione di attività lavorative, la crescita della popolazione e il frequente andamento negativo dei raccolti costrinsero dunque molti compaesani ad emigrare.
   Un'emigrazione divenuta massiccia già nel 1700, con meta prevalentemente Venezia, che continuò e si accrebbe, sviluppandosi in varie ondate: alla fine del secolo scorso, all'inizio di questo secolo, nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale e infine nel primo ventennio del secondo dopoguerra, toccando tutti i paesi d'Europa e del mondo, dall'America all'Australia.
   In questi ultimi trent'anni, più o meno a partire dal 1960, si sono verificati tanti cambiamenti, in ogni campo.
   Per prima cosa, grazie a Dio, non c'e più la fame. c'e ancora l'emigrazione, ma prevalentemente oggi si tratta di "emigrazione volontaria", non per bisogno ma per una scelta libera, per guadagnare di più o per poter svolgere un lavoro che soddisfa maggiormente.
    C'e ancora il servizio militare, ma è solo un "lontano parente" di quello di una volta; i coscritti ci sono ancora, ma pochi (qualche volta soltanto due o tre per classe) e non fanno più notizia come un tempo.
   In quanto alle scuole, si sono aggiunti agli anni d'obbligo delle elementari (che prima erano tre, poi passarono a quattro e quindi a cinque) quelli dell'asilo e della scuola media. Le scuole d'oggi sono moderne e confortevoli, l'assistenza scolastica sviluppata, e nessuno è costretto ad andare a scuola e contemporaneamente lavorare in casa, nei campi o facendo il paster de le caure o de le fede.
   Tutto cambiato allora in questi trent'anni?
   Molte cose sì; il nostro paese non è più quello che hanno conosciuto coloro che sono nati prima degli anni '50.
    E' un cambiamento di cui bisogna prendere atto, ma con attenzione a non lasciar travolgere tutto. Alcune cose del passato vanno mantenute, anzi potenziate.
   Ad esempio, la cultura, intesa come conoscenza e come educazione, viva nei nostri vecchi; una esigenza oggi più che mai urgente e che richiede strumenti e sbocchi professionali nuovi.
   I nostri giovani hanno bisogno anche oggi (anzi, oggi più di ieri, quando questo avveniva in modo naturale) di essere inseriti nella comunità locale; il momento della coscrizione, con il perdurare delle tradizioni ad essa legate, può essere un momento molto opportuno e da rendere ancor più incisivo.
   E in quanto agli ideali patriottici (quelli sanamente intesi, naturalmente!), non è fuor di luogo rilevare come l'attività e lo spirito dell'Ana di Selva di Cadore sia una testimonianza di come anche questi si possano non solo mantenere, tra gli anziani ed i giovani, sempre vivi e sentiti, ma anche anche potenziare.