Lavori tipici della vallata, anche questi a servizio dell'economia locale, erano quelli del mugnaio, del fabbro, del segantino. Ma molini, fucine e segherie erano sempre un'attività "complementare" per i loro proprietari, che esercitavano, assieme a tutti gli altri compaesani, l'agricoltura come prima attività.
   La stessa osservazione va fatta per gli altri mestieri, il sarto, il calzolaio, il postino, il sagrestano, la guardia comunale; tutti, accanto alla loro professione (che era comunque preziosa perché dava un reddito fisso e un'entrata in denaro) avevano anche attività agricole.
    Perfino i parroci del paese falciavano i prati ed avevano la stalla: i più vecchi ricordano ancora don Giovanni Bedont, parroco di Pescul, che ogni mattina andava a mungere la sua mucca e portava personalmente il latte alla latteria.
   Numerosi erano gli artigiani specializzati in lavori particolari: preparazione di rastrelli (ottimi erano ritenuti da tutti quelli di Tino Teta) o di cordami, mentre per moltissimi lavori tutti erano in grado di fare da sé. Quasi ogni famiglia, ad esempio, aveva il "bank da marengòn" con tutti gli attrezzi, dai vari tipi di pialle e di trivelle, a martelli, tenaglie, scalpelli per ogni utilizzazione. Nel solo villaggio di Toffol, verso il 1940, avevano in casa o nel fienile un locale attrezzato a falegnameria Vittorio Piva, Giustina Toffoli (che lo aveva ereditato dal padre Antonio), Ettore Lorenzini, Grazioso Dell'Andrea, Luigi Nicolai, Angelo Nicolai de Kolò, Augusto Dell'Andrea Tromba, Antonio Dell'Olivo, Oreste Nicolai.
   In queste piccole falegnamerie domestiche gli uomini lavoravano nei "tempi morti", quando fuori pioveva o nevicava; riparavano o costruivano attrezzi di lavoro; facevano mobili o serramenti per migliorare o anche abbellire le loro case; insegnavano ai loro figli e ai ragazzi dei vicini di casa a maneggiare gli attrezzi e a divenire a loro volta provetti artigiani.
   Questo infatti è stato per secoli il metodo, validissimo, di trasmissione delle arti e dei mestieri nella nostra vallata: l'esempio e l'insegnamento degli adulti, che mettevano in condizione i giovani di conoscere e di praticare fin dalla più tenera età tutte le attività: rastrellare, tagliare legna, falciare, lavorare il legno; e per le ragazze lavare, cucinare, filare, lavorare a maglia, tanto per fare qualche esempio.
   Qualcuno dice oggi che si trattava di un metodo educativo barbaro, ma chi di noi è cresciuto nella fanciullezza e nella prima giovinezza in quella società cosi strutturata si sente di affermare - anche dopo un severo esame critico - che non vi era proprio nessuna barbarie: a parte il fatto che usare della manodopera e della collaborazione dei bambini erano necessità e che tale uso era sempre proporzionato alle possibilità dell'età, vi erano aspetti educativi importantissimi: ci siamo abituati al sacrificio, abbiamo imparato che per raggiungere un risultato bisogna sgobbare ore e giornate senza mai accusare stanchezza.
   Inoltre, anche se nella vita siamo andati per altre strade, abbiamo appreso in quegli anni molte preziosissime nozioni pratiche: come usare la pialla o la sega, come fare la malta e costruire un muro, le tecniche per tagliare un vetro per una finestra o rifare un tetto di scandole. E anche se qualcuno di noi in seguito non ha più esercitato l'agricoltura, la conoscenza diretta dei lavori dei campi, della fienagione, dell'allevamento di pecore, capre e mucche è stata non solo di grande soddisfazione personale, ma anche causa di notevole maturazione.
   Oggi purtroppo non si possono più imparare i mestieri in uso nel nostro paese quarant'anni fa, per il fatto, molto semplice anche se per certi aspetti doloroso, che quasi tutti i lavori e i mestieri del passato sono scomparsi, talora perfino nel ricordo delle ultime generazioni.
   Le fotografie che seguono ci ricordano alcuni lavori e alcuni mestieri del nostro passato. Dirò col poeta "meminisse iuvabit": ricordare e bello. E, aggiungo, è anche doveroso.
   E' un passato che dobbiamo ricordare, anche se non possiamo farlo ritornare. Anzi, anche se lo potessi, non vorrei per nulla al mondo farlo ritornare, perché, così com'era, era legato ad una vita troppo dura.
   Ma una cosa sì vorrei che tornasse: lo spirito di laboriosità, di sacrificio, di tenacia, di ingegnosità e di intraprendenza che una volta animava la gente di Selva. Oggi i mestieri sono diversi, ma li dobbiamo esercitare con lo stesso impegno che i nostri vecchi ponevano nei mestieri di ieri.
   Anche un' altra cosa vorrei che continuasse: la trasmissione dei "valori" ai nostri figli e ai nostri giovani.
   Tra i valori da trasmettere, mi pare che vada messa ai primi posti la convinzione che, come affermava il Manzoni nei Promessi Sposi, "la vita non è già destinata a essere un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto".