Per secoli i lavori fondamentali della popolazione di Selva di Cadore, comuni a tutti gli abitanti e per moltissimi di loro gli unici, sono stati quelli legati all'agricoltura e alla zootecnia. Erano lavori scanditi da ritmi precisi durante la giornata e durante le stagioni.
   La stalla costringeva uno o più membri della famiglia ad alzarsi presto al mattino per "vedolà"; a mezzogiorno bisognava ritornare per dare da mangiare al bestiame; alla sera di nuovo in stalla. Molteplici i servizi: mungere, mettere il fieno "inte canàl", strigliare il bestiame, ripulire e riassettare il "letto" perché le mucche potessero riposare pulite e su uno strato confortevole di paglia o di altri scarti ("butà a sterne"), raccogliere e portare all'esterno con la "zivièra" il letame, aerare la stalla, preparare il fieno nella ,"zopa" e farlo scendere per il "fumèr" in stalla, pronto per la distribuzione; preparare il "mesedà".
   Un lavoro continuo, che diventava ancora più intenso in momenti particolari: malattia di qualche animale, periodo di nascita e di allevamento dei vitelli, ecc. Cura quotidiana richiedevano anche le capre, le pecore, le galline (pecore e galline non mancavano mai in ogni famiglia) e i maiali che molte famiglie allevavano con grandi sacrifici. Non basta: mattina e sera, a partire dal 1880, ogni famiglia portava il latte alla latteria, anche qui a ore fisse.
   Legati sempre all'agricoltura e alla zootecnia v'erano poi tutti i lavori stagionali, scanditi da date precise, generalmente legate al calendario liturgico. Cosi San Marco (25 aprile) era un punto di riferimento per la chiusura o per l'apertura di varie attività (ad esempio l'utilizzo dei pascoli per le pecore, la semina della fava, ecc.); San Michele (29settembre) era una data fissa per la chiusura di molte attività agricole; alla fine di giugno, a San Pietro,iniziava il grosso dei lavori di falciatura: dapprima nelle "vare" e nelle località vicine agli abitati, poi a cominciare dalla festa dei Carmini (161uglio), in zone più alte e più distanti, come le Frene, le Coste e Crignola; a partire da San Lorenzo (10 agosto) si incominciava a falciare nelle zone più alte, Fertazza, Possedera, Pale de Matia; finché arrivava il 24 agosto, festa di S. Bartolomeo, quando vi era la distribuzione dei "kolendiéi" con tutta la popolazione che si spostava, "inte la mont del fen" oppure "su par Rivigé" , Palemoze, Saulòn, Palota, i "Kolendiéi defuòra". Subito dopo, in settembre, il secondo taglio del fieno nei prati più vicini a casa, i "varteguòi".
   Egualmente fissi e rigidi i tempi per i campi: dalla loro preparazione appena sciolta la neve, con il duro lavoro del "portà tera", alla semina e alla ripulitura ("sarvé") dalle erbacce: un lavoro che doveva essere fatto centimetro per centimetro, in ogni campo, prima che il prodotto crescesse troppo e che doveva svolgersi in fretta per poter avere poi il tempo di dedicarsi agli altri lavori, come la fienagione. E poi in settembre la mietitura, più tardi la raccolta delle patate; infine, giunto l'autunno, il lungo lavoro di battitura del frumento, dell'orzo e della fava nelle aie ("ère").
   Poi i lavori nel bosco: taglio e raccolta della legna e, d'inverno, il suo trasporto con la slitta. Altri lavori che venivano fatti con la slitta, d'inverno, erano il trasporto del fieno, ad esempio da Fertazza, e il trasporto del letame dai depositi ("zòpe da l ledàm") davanti alla stalla fino ai campi, talora molto lontani e con notevoli dislivelli da superare.