La stereoscopia | ![]() Politecnico di Bari |
La fotogrammetria architettonica | |
![]() ![]() - far ricorso alla prospettiva; ma deve aver già memorizzato le dimensioni dell'oggetto osservato, altrimenti crederà di aver a portata di mano un aeroplano, che appare piccolo solo perché è molto lontano; - utilizzare la stereoscopia; ma deve aver acquisito tanta esperienza da essere in grado di stabilire la distanza di un oggetto sulla base della differente larghezza delle due immagini proiettate sulla retina dei propri occhi; - effettuare la triangolazione; ma deve aver già memorizzato la legge di variazione dell'angolo formato dagli assi visuali in funzione della distanza del punto osservato. Evidentemente il programma di rilievo non viene elaborato dal cervello sulla base di calcoli matematici o di rappresentazioni grafiche, ma piuttosto con una serie di tentativi i cui risultati costituiscono la banca-dati indispensabile per qualsiasi nuova esperienza. Quando si presentano nuove situazioni, il nostro cervello torna a comportarsi come quello del bambino; per convincercene cimentiamoci in un semplice esperimento, chiedendo ad un nostro interlocutore di poggiare la punta di una matita su quella di una simile, che noi teniamo in mano all'altezza dei suoi occhi. Se la persona da noi sottoposta all'esperimento tiene entrambi gli occhi aperti, non avrà alcuna difficoltà a toccare la punta con la propria matita, ma se gli chiediamo di tenere un occhio chiuso, dovrà fare più tentativi per compiere l'operazione. Dopo i primi fallimenti tenterà di osservare la matita (e quindi di rilevarne la posizione) con entrambi gli occhi prima di chiuderne uno per ripetere il tentativo, oppure sposterà la matita lungo il proprio asse visuale fino ad incontrare l'altra: insomma il suo comportamento non sarà molto diverso da quello del bambino. Se vogliamo mettere ancora in crisi il sistema di rilevamento del nostro interlocutore, possiamo chiedergli di poggiare la punta della matita su di un filo che avremo cura di tendere all'altezza dei suoi occhi nel piano degli assi visuali. Anche in questo caso, nonostante il ricorso alla visione binoculare, il suo cervello non riesce ad effettuare la triangolazione: infatti la superficie uniforme del filo non gli consente di individuare un particolare punto su cui far convergere gli assi visuali, il cui angolo è indispensabile per determinare la distanza. Se invece disponiamo il filo verticalmente, il nostro interlocutore non avrà alcuna difficoltà: infatti, abituato com'è a conservare la complanarità degli assi visuali, li farà convergere facilmente sul punto intersezione del filo con il piano da essi determinato. 1. La visione stereo artificiale. Se nell'analisi di un qualsiasi oggetto poniamo davanti agli occhi, alla minima distanza di osservazione, una lastra di vetro trasparente, i raggi visuali descriveranno su di essa due immagini prospettiche identiche a quelle ottenibili con una macchina fotografica, dotata di due obiettivi, distanti reciprocamente quanto la nostra distanza interpupillare, aventi una distanza focale uguale alla distanza della lastra dai nostri occhi o, con più precisione, una distanza principale uguale rispettivamente alla distanza dei centri di rotazione dei due bulbi oculari dalla lastra stessa. Sostituendo l'immagine diretta dell'oggetto con le due diapositive ottenute, sistemate opportunamente sulla nostra lastra di vetro e osservate separatamente ma contemporaneamente, il nostro cervello percepirà un'immagine tridimensionale. Esso sarà tanto più fedele all'originale quanto più fedele sarà la ricostruzione, in fase di osservazione, dei due fasci di rette costituiti da tutte le posizioni assunte dagli assi visuali nell'analisi dell'oggetto. 2. Il modello ottico tridimensionale. Se i due fasci di rette, determinati dagli assi visuali in fase di ripresa, non coincidono con quelli individuati nell'osservazione della coppia stereo di fotogrammi, l'immagine percepita dal cervello differirà dall'originale. Spesso, però, si fa ricorso ad una opportuna variazione delle condizioni di osservazione rispetto a quelle di ripresa. La ricostruzione dell'immagine, comunemente chiamata modello ottico tridimensionale, viene deformata o semplicemente ridotta per rendere più agevole l'analisi dimensionale. Per analizzare, per esempio, le deformazioni di una superficie piana possiamo semplicemente aumentare, in fase di osservazione, la distanza principale esasperando eventuali convessità o concavità presenti. Aumentando, invece, la base di ripresa rispetto a quella di osservazione potremo ridurre in scala il modello ottico o, viceversa, ingrandirlo a piacere: un'applicazione di questo principio si ha in stereofotogrammetria, dove il rapporto base/distanza di ripresa viene contenuto nell'intervallo 1/5 - 1/20 per consentire l'analisi dimensionale in condizioni ottimali. |