Quando si è trattato del foro stenopeico, si è dato per scontato che ogni punto di un qualsiasi oggetto illuminato possa essere considerato l'origine di un fascio di raggi di luce: intercettandoli con un cartoncino forato, di essi alcuni sono deviati dal bordo del foro ed altri determinano su di uno schermo, posto al di là, una macchiolina di luce, tanto più piccola quanto minore è il diametro del foro e quanto maggiore è la distanza del punto brillante. Se si ha l'accortezza di fare un foro con bordo a spigolo vivo e di diametro sufficientemente piccolo, i punti illuminati dell'oggetto si proietteranno sullo schermo dando forma ad una immagine prospettica. Se si sostituisce il foro stenopeico con un sistema di lenti (obiettivo), capace di deviare i raggi in mondo da farli convergere tutti in uno stesso punto (sistema convergente), l'immagine sarà più nitida oltre che più luminosa. In realtà l'obiettivo, nonostante gli sforzi di chi lo progetta e lo realizza, non è mai perfetto e i raggi, inviati da ciascun punto brillante, danno luogo a piccole macchioline luminose (aberrazioni) e, in definitiva, l'immagine sarà sempre affetta da distorsioni. Comunque, anche nell'ipotesi di poterlo considerare perfetto, l'obiettivo si comporta differentemente dal foro stenopeico per l'esistenza di nuovi elementi, quali:
    - i punti nodali. I raggi proiettanti, dovranno attraversare un mezzo di densità differente dall'aria, vengono deviati e danno luogo a due fasci di raggi, i cui centri prendono il nome di punto nodale anteriore (cui sono diretti i raggi provenienti dallo spazio anteriore dell'obiettivo) e di punto nodale posteriore (da cui partono i raggi proiettanti l'immagine);
    - i piani principali, piani perpendicolari all'asse ottico e passanti per i punti nodali;
    - la lunghezza focale, distanza tra il punto nodale posteriore ed il punto in cui convergono i raggi provenienti da una sorgente posta all'infinito (paralleli all'asse ottico);
    - la profondità di fuoco, massima variazione di distanza, della superficie sensibile rispetto alla migliore posizione di fuoco, entro la quale l'immagine risulta sufficientemente nitida;
    - la profondità di campo, massima variazione di distanza dell'oggetto dall'obiettivo entro la quale l'immagine risulta sufficientemente nitida;
    - il cerchio di confusione, macchia luminosa, immagine di un punto posto fuori fuoco, in base alla cui dimensione viene stabilito il criterio di valutazione quantitativa della profondità di campo;
    - l'apertura relativa, rapporto tra la focale dell'obiettivo ed il diametro del diaframma;
    - la distanza iperfocale, doppio della distanza oltre la quale si vuole che tutti gli oggetti siano riprodotti con sufficiente nitidezza (viene definita per ogni obiettivo chiuso ad un particolare valore di diaframma).

  Abbiamo definito la focale come la "distanza tra il punto nodale posteriore dell'obiettivo ed il punto in cui convergono i raggi provenienti da una sorgente posta all'infinito (paralleli all'asse ottico)" In pratica, riducendo l'obiettivo ad un punto e prendento come riferimento lo schema studiato in fisica, possiamo dire che:
  - la focale è la distanza dell'obiettivo dalla superficie sensibile, quando l'oggetto si trova all'infinito (infatti se q=infinito sarà p=f);
  - l'angolo di ripresa di un obiettivo corrisponde all'angolo al vertice di un triangolo isoscele, che ha per base la larghezza o l'altezza del fotogramma e per altezza la focale dell'obiettivo stesso.
   Va precisato che, convenzionalmente, si assume la diagonale del fotogramma, ma a noi può far comodo conoscere l'angolo di ripresa orizzontale o quello verticale della nostra camera. Chiameremo obiettivo normale, l'obiettivo il cui angolo di ripresa (convenzionale) corrisponde a 60 gradi sessagesimali. È evidente che l'angolo di ripresa non dipende solo dalla focale, ma anche dal formato della pellicola; quindi per una camera 24x36mm sarà normale l'obiettivo da 50 mm., per il 6x6cm l'80 mm., per il 6x9cm. il 90 mm e così via.
  Nel caso in cui l'angolo di ripresa supera i 60 gradi si parla di obiettivi grandangolari e supergrandangolari, mentre nel caso di angoli inferiori a 60 gradi si parla di teleobiettivi.
   L'uso di obiettivi con focali differenti da quello normale, spesso provoca quelle che noi chiamiamo deformazioni, ma che in realtà sono viste prospettiche cui non siamo abituati. Di seguito sono riportate due fotografie ottenute, rispettivamente, con un grandangolo ed un teleobiettivo. La prima delle due è stata scattata a 5 cm. dalla punta del naso e, quindi, la vista prospettica ci è poco familiare.





  Nelle fotografie che seguono viene rappresentata la cupola della moschea di Omar a Gerusalemme. Per le prime due è stato utilizzato un obiettivo di focale 28 mm, mentre per la terza un teleobiettivo di 150 mm.
  Appare evidente che "l'esagerazione prospettica" del grandangolo dipende dalla posizione del punto di osservazione, spesso troppo vicino al soggetto. Infatti ingrandendo la parte centrale della seconda fotografia, avremmo una rappresentazione prospettica della cupola simile a quella riportata nella terza foto.


Il foro stenopeico - Il diaframma - L'otturatore - L'esposimetro - Il supporto sensibile