Dopo il licenziamento delle due quinte classi, la sperimentazione sull’insegnamento della fotogrammetria presso la Scuola "Balilla" non ha avuto alcun seguito. Con la riduzione della popolazione studentesca, alcune aule si erano rese libere e quindi si sarebbe potuto destinarne una a laboratorio, ma non se ne è fatto niente, anzi, come già detto, nemmeno i ragazzi della seconda classe, che ormai erano arrivati in quarta, potevano più "perdere tempo" a giocare! I filmati realizzati erano stati diffusi ampiamente e persino trasmessi in televisione, ma la sperimentazione era da considerarsi chiusa. Il 6 febbraio del 1986, in una tavola rotonda organizzata dall’UNICEF presso la Facoltà di Magistero di Bari, sul tema "L’informatica per lo sviluppo", alcuni studenti proposero la proiezione della videocassetta "Nuove tecnologie nella scuola elementare", ma incontrarono l’opposizione del Provveditore agli Studi di Bari, dott. Giuseppe Brienza. A tutti gli effetti, infatti, la sperimentazione era da considerarsi "fuori legge" poiché, nonostante fosse stata fatta con i fondi del Ministero della Pubblica Istruzione, non aveva avuto l’approvazione ufficiale degli organi scolastici istituzionali. Questo non è stato mai detto da nessuno, ma mi veniva mossa una critica: questi ragazzi non dovevano essere futuri ingegneri! Era un modo come un altro per dire che non ero un esperto in pedagogia. Esaminiamo il progetto. In corrispondenza della voce "scopo " si legge: "Attraverso il gioco, pilotato indirettamente dall’insegnante, il bambino deve porsi, sia pure in condizioni ridotte, i problemi che condizionano la vivibilità dell’ambiente urbano. Il continuo confronto del mondo da lui gestito con quello in cui vive, deve innescare un processo critico di analisi della realtà che lo circonda, abituandolo a convivere con una realtà distorta, senza peraltro lasciarsi condizionare". Mentre, per quanto riguarda il "metodo", viene chiarito: "Il metodo da adottarsi non può che essere di tipo induttivo-sperimentale. Ogni problema, emergente dal gioco, deve essere riportato alla dimensione reale, analizzato, risolto nel migliore dei modi e riportato alla dimensione-gioco. Ogni riscontro con la realtà sarà effettuato mediante sopralluoghi o con l’ausilio di mezzi didattici audiovisivi". Tutto quello che il progetto proponeva era una didattica formativa, basata sulla motivazione dello studente, (così come previsto dalla stessa legge) e tesa a non "spegnere" lo spirito d’osservazione con uno studio passivo. In occasione di una escursione volta a confrontare il centro storico con un quartiere moderno di Bari, abbiamo visitato una scuola di recente costruzione. Ricordo che mentre visitavamo la palestra, una bambina chiese: "quanto costa frequentare questa scuola?". Per "analizzare l’ambiente in cui si vive", è sufficiente verificare il funzionamento dei singoli componenti! Nella stessa aula, si può cominciare dalla finestra: capire come questa funziona, non significa essere ingegnere o falegname, ma pensare alla propria sicurezza. Analizzare uno slogan come "l’infisso che non lascia passare nemmeno l’aria", può essere utile non solo per sviluppare lo spirito critico, ma per chiarire che se l’infisso non deve lasciar passare il caldo, il freddo, il vento, la luce, deve assicurare il ricambio d’aria, onde scongiurare il pericolo di morte per asfissia, degli abitanti. Il rilievo e la stessa rappresentazione dell’aula dovrebbero essere finalizzati ad uno scopo: per esempio al paragone con quelli di un’altra scuola. Dal confronto architettonico di una scuola come il "Balilla", costruita durante il fascismo, con una di epoca moderna, senza mai stroncare il gioco del perché, anzi favorendolo, si potrebbe approfittare per studiare la storia, fino ai Romani. La prima cosa che la scuola dovrebbe fare è "insegnare a raccontare la realtà": in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo. Nel racconto il bambino deve cimentarsi prima con i propri mezzi e nel modo che ritiene giusto, poi può essere maturo per seguire un modello. Nello studio della storia, ogni insegnante non dovrebbe mai trascurare l’evoluzione della scuola, a cominciare dalla scuola-bottega. Qui il discepolo imparava, osservando il maestro (che era impegnato in un lavoro produttivo) ed aiutandolo con lavori semplici. La bottega che non produceva, era destinata a chiudere! Poi il termine "bottega" è scomparso e la scuola è stata istituzionalizzata, però non bisogna mai dimenticare che erano sempre i discepoli a scegliere il proprio Maestro. Nella scuola pitagorica, si dice che i discepoli, per i primi tre anni, non potevano parlare: ma si trattava di Pitagora, un maestro che aveva dei discepoli, cioè alunni che lo stimavano! In un’epoca in cui, nella quasi totalità dei casi, la professione di docente viene scelta per assicurarsi uno stipendio piuttosto che per il desiderio di partecipare allo sviluppo culturale del Paese, occorrerebbe assicurare una trasparenza della didattica e questo è possibile rendendo produttiva la scuola. In un Paese, come l’Italia, che, pur possedendo il 60% del patrimonio mondiale dei Beni culturali, non è riuscito mai a catalogarlo, alla scuola potrebbe essere affidato il compito del censimento, catalogazione e monitoraggio degli stessi. Una proposta del genere, indubbiamente scandalizza gli addetti ai lavori, ma gli stessi dovrebbero sapere che lo studio dei Beni culturali è un’operazione che non può essere delegata a terzi e non può essere fatta a pagamento, perché essa stessa è un’operazione culturale. L’operazione del censimento e della catalogazione, tramite l’informatica, può essere avviata nella scuola elementare e completata, con il metodo delle approssimazioni successive, nelle scuole superiori. In ogni caso la scuola, oltre a motivare l’acquisizione di nuove tecnologie, le renderebbe produttive e formerebbe dei cittadini capaci di "leggere i bene culturale". Se vale il principio "conoscere per tutelare" il problema della tutela del territorio dovrebbe considerarsi risolto. Chiaramente i primi a "studiare seriamente" dovrebbero essere i docenti e ogni classe tornerebbe ad essere una scuola-bottega. In primo luogo, sarebbe assicurato l’auto-aggiornamento, costante e continuo, degli insegnanti; in secondo luogo, gli studenti non sarebbero costretti a vivere fra quattro mura e sarebbero portati ad un contatto continuo con il territorio, coinvolgendo nell’operazione gli stessi genitori. Perché tutto ciò sia attuabile l’insegnante dovrebbe "scendere dalla cattedra": si tratta di un’operazione prevista da anni, ma che è stata realizzata solo formalmente, con l’eliminazione della pedana della cattedra. La quasi totalità degli insegnanti non ha capito questa operazione e, in nome di una fraintesa "libertà d’insegnamento" continua a svolgere una didattica autoritaria e ad erigere monumenti a se stessi. Per ottenere ottimi voti, nella scuola italiana, è sufficiente imparare a memoria e saper recitare tutto ciò che pretendono gli insegnanti. E’ un criterio che non solo soddisfa i genitori, che, in tal modo, possono disporre di "figli addomesticati", ma conserva la validità del vecchio detto: "primi nella scuola, ultimi nella vita". In qualità di rappresentante dei genitori nel Consiglio di Circolo della scuola "Balilla", ho sempre insistito per la creazione di un’aula d’informatica e, tra i "commenti indimenticabili", ricordo quello di un’insegnante, anch’essa in rappresentante dei genitori, la quale disse "per fortuna che, quando arriveranno i computers nella scuola, io sarò in pensione".