Le immagini sono tratte da due filmati sulla sperimentazione realizzati dalla TPE dell'ing. Gianfranco Liuzzi ed aventi per titolo "Nuove tecnologie nella scuola elementare" e "Il linguaggio dell'immagine". La ricerca è stata svolta negli anni scolastici 1984/85 e 1985/86 con il finanziamento del Ministero della Pubblica Istruzione e con la collaborazione del prof. Giuseppe Russillo (Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bari), delle insegnanti Laura Bovenga, Rosa Ragno e Maria Chiaffarata (Scuola elementare Balilla di Bari), del col. Letterio Munafò (III Regione Aerea - Bari) e di Angela Liuzzi (Coordinamento Regionale - Educazione allo sviluppo - UNICEF).

L'insegnamento della fotogrammetria ai bambini è da ritenersi l'esperienza più interessante del progetto. Ad assumersi i primi oneri ed onori di questa esperienza sono state due insegnanti della Scuola elementare "Balilla" di Bari, le signore Laura Bovenga e Rosa Ragno, con le quali è stato possibile avviare la sperimentazione in 4° classe. A queste si è aggiunta in seguito una 2° classe, guidata dall'insegnante Maria Chiaffarata. In seguito, nel 1988, il Centro di Iniziativa e di Programmazione Educativa del Comune di Bari ha finanziato un corso di fotogrammetria per n.20 ragazzi della scuola elementare "F. Corridoni" e della scuola media "S.Nicola", entrambe site nel centro storico di Bari; ma di questa esperienza parleremo in un apposito paragrafo. Presso la scuola "Balilla", la sperimentazione è stata svolta negli anni scolastici 1984/85 e 1985/86 e ad essa veniva dedicato i martedì nelle quarte ed il sabato in seconda. In realtà il sabato non andavo per insegnare fotogrammetria, ma per giocare con le costruzioni LEGO; infatti quando i ragazzi della seconda sono arrivati in quinta, l'insegnante ha ritenuto opportuno sospendere la sperimentazione perché "doveva insegnare". E' mia convinzione che i ragazzi debbano tornare a sognare e sono certo che, almeno in quei due anni, molti ragazzi, compresi i miei figli, hanno sognato. Certo non è semplice far sognare, ma è possibile. I piccoli osservano ed imitano gli adulti: l'insegnamento si basa proprio su questo principio. Il compito di un insegnante è quello di accelerare per stimolare e lasciarsi superare per gratificare. Per due anni, almeno cinquanta ragazzi della scuola elementare "Balilla" hanno sognato di poter realizzare una città in miniatura, nel parco di largo 2 giugno a Bari, sul tipo di Legoland esistente in Danimarca. Nella piccola comunità studentesca era stato eletto il sindaco, si stava sperimentando una metodologia di progettazione mediante il computer, con l'ufficio tecnico completamente automatizzato. Ciò che per i piccoli rappresentava un gioco, avrebbe potuto essere un filone di ricerca per i grandi, sia che si trattasse di urbanisti, che di informatici o di... insegnanti. Invece non se ne è fatto niente, anzi una delle insegnanti, la più entusiasta, a fine anno ha ricevuto una nota di biasimo. Evitando ogni tipo di recriminazione, procediamo con ordine nell'analisi della ricerca svolta. Cominciamo dal laboratorio di Quartiere, il cui progetto, pur essendo di estremo interesse, sembrava essere finito nel nulla, dopo la sceneggiata televisiva. La partecipazione dei ragazzini alla vita del laboratorio, era un'idea bellissima, ma occorreva che essi fossero messi in condizioni di frequentare una struttura basata sull'impiego delle nuove tecnologie. La ricerca è partita proprio dall'idea di avviare un nuovo processo di alfabetizzazione: si trattava di imparare a leggere e scrivere in un nuovo linguaggio. Compito primario della scuola è quello di insegnare a comunicare e, oggi, "carta e penna" non bastano più. Quando l'analfabetismo era molto diffuso, esisteva la figura dello scrivano. A lui si rivolgeva la madre che doveva comunicare con il figlio lontano. Il messaggio veniva comunicato a voce dal mittente, interpretato e scritto dallo scrivano, quindi spedito. Molto spesso, anche il destinatario non sapeva leggere ed era costretto a ricorrere ad un "interprete", che effettuava un secondo filtraggio di ciò che il mittente intendeva comunicare. Si racconta di quel tale che, per farsi leggere le lettere, ricorreva al parroco e, un giorno, avendo notato che questi, ogni volta, si metteva gli occhiali, s'illuse di poter risolvere il proprio problema culturale acquistando un paio di occhiali. Non si è mai saputo se questo episodio sia realmente accaduto, però oggi si verifica molto spesso: quanti sono, infatti, coloro che ricorrono alle nuove tecnologie con l'illusione di poter superare le proprie carenze culturali? Viceversa quanti, in nome dell'ignoranza o con altri pretesti, si rifiutano di prendere contatto con le nuove tecnologie? Prendiamo in esame il caso dell'abusivismo edilizio, un fenomeno che andrebbe studiato, più che represso: per controllarlo sarebbe sufficiente analizzare le immagini inviate da satellite, controllo che potrebbe essere programmato con allarme automatico o trasformato in un video-gioco per studenti. Invece pare che tutto ciò sia estremamente complicato e comunque difficile da realizzare. Proprio sul telerilevamento, durante la sperimentazione, sono state tenute alcune conferenze con diapositive dal col. Letterio Munafò, della III Regione Aerea, che ha provveduto anche ad organizzare una visita all'aeroporto militare di Bari. Contrariamente a quanto si possa pensare, questi argomenti apparivano, ai piccoli studenti, molto più semplici di quelli affrontati quotidianamente nei comuni programmi scolastici ed il motivo è molto semplice: la sperimentazione aveva come punto fisso la "centralità dello studente" e, quindi, affrontava e sviluppava argomenti posti dallo studente stesso. La stessa sperimentazione non è stata presentata come qualcosa di "programmato ed imposto", ma è nata casualmente da una conferenza sull'uso della macchina fotografica. Dalla fotografia alla fotogrammetria il passo è stato breve. Per spiegare la fotogrammetria sono stati necessari degli incontri supplementari. Lo stereoscopio è arrivato in classe e tutti hanno potuto capire, osservare e "toccare" l'immagine fotografica tridimensionale, persino quella ripresa dall'aereo. Osservando diverse fotografie è capitato che una stessa zona del terreno apparisse di differente grandezza: è stata l'occasione per parlare di scala di rappresentazione, di quota di volo e di focale dell'obiettivo. Il confronto di un'immagine ripresa da un aereo con quella inviata dal satellite non è poi una cosa tanto complicata. Non bisogna dimenticare che la televisione propina continuamente films fantascientifici e, per chi li segue, un satellite disabitato che invia solo fotografie può apparire persino antiquato! L'uso dello stereoscopio nella scuola primaria rappresenta innanzitutto una verifica del sistema visivo di ogni alunno. Infatti quando la visione binoculare esiste, il bambino, nell'indicare un punto della fotografia, pone il dito sul modello virtuale (inesistente per chi non utilizza lo strumento), mentre chi non osserva l'immagine tridimensionale indicherà un punto di una delle due fotografie. Una volta osservata l'immagine tridimensionale, per capire come si effettua una ripresa stereo non è necessario andare sull'aereo, ma è sufficiente simulare la ripresa in classe, fotografando un plastico. Senza ricorrere all'impiego complicato e pericoloso di una scala, si può disporre il plastico in posizione verticale, anzi si può tenere la macchina fotografica ferma sul cavalletto e spostare il plastico, scattando una fotografia per ogni posizione. L'insegnante ha l'occasione per mostrare cos'è il moto relativo. Dopo lo sviluppo delle fotografie, cui possono partecipare gli stessi alunni, ciascuno di questi può rendersi conto di come e quanto influiscano, sull'osservazione stereoscopica, la distanza focale della macchina fotografica, la base di ripresa e, se si prova a scattare le fotografie mentre il plastico viene spostato, si può porre persino il problema dell'intervallo di scatto e del tempo di posa. L'uso dell'esposimetro, separato dalla macchina fotografica, ne chiarisce il funzionamento e l'importanza. Si parla sempre di "input", poiché se la scuola primaria riuscisse semplicemente a porre i problemi, avrebbe assolto egregiamente al proprio compito! Il sogno di avviare la costruzione di Balillandia è stato sempre il filo conduttore della ricerca ed è stato sempre utilizzato quale stimolo per affrontare qualsiasi problema. Il primo contatto con le costruzioni LEGO ha messo subito in chiaro che il sogno non era facilmente realizzabile: per rappresentare una qualsiasi cosa, bisogna conoscerla bene. Una conferma di questo principio era data dalla facilità con cui molti bambini riuscivano a rappresentare, con i mattoncini, alcuni personaggi dei cartoni animati, quali i Puffi. Per la costruzione delle case, invece, c'era tanto da imparare, a cominciare dall'uso dei colori. Ancora una volta si poneva il problema di una didattica corretta: bisognava guidare il bambino nella costruzione, senza impedirgli di utilizzare la propria fantasia. Il principio adottato è vecchio quanto il mondo: osservare ciò che hanno fatto gli altri, capirne il funzionamento, scoprire eventuali difetti, correggerli e procedere nella nuova costruzione, secondo le esigenze. In una delle classi esisteva un modello di un piccolo centro urbano realizzato con i mattoncini Lego: non restava che studiarlo, correggere eventuali difetti e ricostruirlo. Per la documentazione immediata si è fatto ricorso alla telecamera, che è stata utilizzata quale autentico strumento di lettura e scrittura, mentre il monitor, posto sulla cattedra, sostituiva la lavagna e consentiva a tutti la partecipazione alle operazioni di ripresa. Il successo di questo strumento non poteva non essere scontato: dalle riprese del plastico si è passati alle riprese dei compagni, alle interviste, all'utilizzo dell'immagine quale ausilio nella descrizione degli oggetti. Una conferma del superamento di ogni inibizione, nei confronti del microfono e dell'obiettivo fotografico, si è avuta in occasione delle riprese televisive per la realizzazione del documentario: con grande meraviglia delle stesse insegnanti, gli alunni hanno dato scarsissima importanza alla presenza degli operatori, distraendosi dal gioco solo per rispondere alle domande di chi li intervistava. Indubbiamente la parte più interessante dell'esperienza televisiva sta nella visione di quanto registrato, ai fini di una presa di coscienza del proprio modo di comunicare. Spesso i risultati che si ottengono in simili esperienze sono imprevedibili. Per esempio un giorno i bambini si sono cimentati nel descrivere ciò che mostravano alla telecamera, che inquadrava solo le manine: ebbene la voce di un bambino portatore di handicap si confondeva con le altre! Un'altra occasione in cui la telecamera ha avuto modo di mostrare le proprie potenzialità è stata offerta dalla recita, organizzata in 2° classe in occasione delle festività natalizie. Le immagini riportate non hanno bisogno di commenti, compresa quella inerente l'atmosfera di fine recita. Quanto alle costruzioni LEGO, per coordinare il lavoro, era stato creato un ufficio tecnico, al quale bisognava presentare il progetto di ogni nuova costruzione, completo di computo metrico. Dopo l'approvazione del progetto, il piccolo costruttore poteva ricevere il finanziamento per realizzarlo: cioè i mattoncini richiesti. Ancora una volta il problema era tanto complesso da rendere sempre più lontano il sogno di realizzare la città in miniatura. Si è fatto ricorso, allora, al computer, di cui, però, occorreva capire il funzionamento. Tra i primi compiti, affidati a questo nuovo "compagno", vi era quello di calcolare quanti mattoncini occorrevano per costruire un muro, di cui era nota l'altezza e la larghezza. In sostanza il computer doveva semplicemente trovare l'area del rettangolo avente le stesse dimensioni del muro, cioè moltiplicare la base per l'altezza. Qualsiasi maestra si scandalizzerebbe all'idea che un bambino dovesse far ricorso al computer per una banalissima moltiplicazione e ciò spiega il fallimento della sperimentazione! Ma, per i piccoli di Balillandia, le cose sembravano complicarsi ogni giorno. Innanzitutto, per agevolare il lavoro, il metro era stato sostituito da una nuova unità di misura, il "modulo". Che cosa è il modulo? Volendo descriverlo in poche parole, si può dire che è il mattoncino-base delle costruzioni Lego, ma il vero problema nasceva dal fatto che questo mattoncino non ha la forma di un cubo, infatti le sue dimensioni sono 8x8x10 mm. e, per la rappresentazione dei prospetti, si correva il rischio di adottare un sistema di riferimento cartesiano dimetrico! Al computer, quindi è stato affidato il compito di fornire le misure sia in millimetri che in moduli e (visto che poteva farlo rapidamente) anche la rappresentazione del muro in pianta, prospetto frontale, prospetto laterale ed assonometria. Il computer adottato era uno ZX Spectrum 48k, che oggi farebbe sorridere. Per le esercitazioni, era stato preparato una specie di videogioco: memorizzate le dimensioni del muro, prima di dare la soluzione, il computer chiedeva il numero di mattoncini necessari. Se la risposta era esatta, appariva sullo schermo un "BRAVISSIMO" lampeggiante e, quindi, la rappresentazione del muro. Per la progettazione delle casette, era stato memorizzato una specie di "manuale del piccolo architetto", grazie al quale il computer assegnava lo spessore del solaio, l'altezza dei vani, le dimensioni degli infissi e l'altezza della soglia delle finestre sul pavimento. Per la progettazione occorreva semplicemente decidere le dimensioni dei vani e la posizione degli infissi, che, almeno per quelli esterni, poteva essere verificata sui prospetti. Il programma veniva redatto in funzione dei problemi che si presentavano ogni giorno e dei risultati ottenuti. Il primo obiettivo che ci si proponeva di raggiungere, era di educare l'alunno alla composizione ed al continuo passaggio dallo spazio tridimensionale a quello bidimensionale, passaggio che il computer effettuava in tempo reale. Il breve programma, rappresentato in figura, si riferisce al progetto di una "torre", il piccolo deposito agricolo molto diffuso nelle campagne pugliesi. Il computer indicava gli elementi costruttivi e i dati di progetto tenuti fissi. Il progettista poteva fissare le dimensioni dell'edificio ed assistere all’esecuzione dei disegni di progetto, comprendenti la rappresentazione assonometrica e l'ambientamento. La lentezza con cui il computer procedeva alla rappresentazione grafica era sfruttata per indicare la procedura da seguire nella costruzione. Una volta ottenuti i disegni ed il computo metrico, si poteva procedere alla realizzazione della piccola costruzione. Tutte le costruzioni avrebbero dovuto essere documentate fotogrammetricamente, per la cui operazione erano state predisposte due camere metriche Wild P32, messe a disposizione dalla Wild Italia S.p.A. Su tutta la sperimentazione, la TPE dell’ing. Gianfranco Liuzzi ha realizzato quattro videotapes: "Il linguaggio dell’immagine", "Nuove tecnologie nella scuola elementare", "Rilievo e diagnosi" e "La rappresentazione in architettura e urbanistica", da cui sono state prese quasi tutte le immagini riportate su questo libro. Per quel che concerne i risultati della sperimentazione stessa, c’è da dire che se, da una parte, sono stati di estremo interesse per la ricerca, dall’altra non sono stati affatto presi in considerazione dalla struttura scolastica. Riesaminata a distanza di dieci anni la sperimentazione, sull’insegnamento della fotogrammetria presso la scuola elementare Balilla, appare come un autentico blitz, probabilmente reso possibile dal fatto che il responsabile della ricerca era al contempo rappresentante dei genitori nei Consigli di classe e di Circolo. Sulla stessa sperimentazione, presso il complesso di S. Scolastica è stato tenuto un seminario, cui sono stati invitati i genitori dei piccoli, ma di questi non tutti si sono dimostrati favorevoli: un padre si dichiarò persino contrario all’uso del computer nella scuola elementare. Tra i ricordi indelebili vi è la frase pronunciata dalla madre di un alunno della 2° classe: "beato lei, professore, che può perdere tanto tempo!". E’ emersa chiaramente la mentalità dei genitori, abituati, spesso in nome dell’ignoranza, ma più spesso in nome della mancanza di tempo, a delegare a terzi la formazione dei propri figli. Coinvolgere gli adulti nella sperimentazione, per consentire ai ragazzi di giocare a casa, non se ne parlava nemmeno! Lo studio ed il gioco sono due cose distinte, il primo è sacrificio ed è finalizzato all’acquisizione di un "pezzo di carta" (il diploma o la laurea), mentre il secondo serve ad impegnare il bambino quando rischia di... infastidire i genitori. Nello studio il bambino viene seguito (anche troppo), mentre nel gioco è un autodidatta! Tutta la sperimentazione è stata presentata come un gioco, e, quindi, è stato facile, agli oppositori, farla apparire come un’attività lontana dai programmi scolastici. Ma prima di chiudere questo paragrafo è opportuno illustrare nei particolari il progetto. Innanzitutto questo non era frutto di improvvisazione, ma quanto programmato veniva puntualmente verificato e, di volta in volta, addattato alla realtà. Quale responsabile della ricerca e, a conferma della convinzione con cui agivo, avevo la possibilità di verificare i risultati tramite i miei figli: Dario e Davide, che frequentavano, rispettivamente la quarta classe e la seconda classe. A casa il computer era entrato quando i miei figli avevano 5 e 7 anni e si era presentato sotto le vesti di un videogioco, che, grazie ad una tastiera, poteva essere programmato. Dopo i primi tentativi di modificare i videogiochi, si era giunti all’idea di costruire un piccolo robot, il cui cervello sarebbe stato proprio il computer. Il nome era stato già scelto ed era RUN: bastava premere questo tasto e sullo schermo appariva la scritta: "chi sei?". Se la risposta, fornita tramite tastiera, era Dario o Davide, RUN avviava un colloquio con una serie di domande, le cui risposte, per un padre, erano facilmente prevedibili. In caso contrario, qualunque fosse il nome fornito, rispondeva "non ti conosco, non parlo con te". Per colloquiare con RUN era necessario leggere e scrivere e i due fratellini, pur di scoprire come mai il computer sapesse tutto di loro, facevano a gara per "leggere e scrivere", dedicandovi un tempo non facilmente immaginabile. Dei due, chi ha dovuto scoprire, presto e a proprie spese la differenza tra il computer e l’umanoide, è stato il piccolo, quando, a scuola, ha dovuto scrivere i primi pensierini: nientemeno la maestra pretendeva che perdesse tempo a disegnare quei caratteri, che il computer mostrava in modo perfetto, al semplice tocco di un tasto. Era come pretendere l’uso del telegrafo da chi è abituato a usare il fax! Non è difficile immaginare quali siano stati i risultati di questo scontro: la maestra lo ha considerato portatore di handicap e lo ha fatto sottoporre ad apposita visita che, per fortuna, ha dato esito negativo! L’approccio alle costruzioni LEGO non è stato molto diverso. Le prime casette, costruite seguendo attentamente le istruzioni allegate, non hanno rappresentato mai degli "oggetti volanti", ma sono state subito fissate su di un piano di dimensioni non trascurabili. Non è stato difficile quindi far sorgere la necessità di tracciare dei collegamenti stradali o ferroviari fra le stesse. Il problema della pianificazione territoriale era più che naturale: dopo numerosi montaggi e smontaggi di tutti gli elementi sul plastico (i binari curvi in particolare, arrivavano puntualmente, dove era stato già costruito qualcosa!). E’ parso più semplice ricorrere ad una rappresentazione grafica, che senz’altro richiedeva meno tempo. Il plastico riportato in figura ha richiesto mesi di lavoro ed era in continua evoluzione: peccato che non sia stato fotografato in occasione di ogni trasformazione! E’ difficilissimo descrivere tutti i problemi che sono stati affrontati e risolti. Per far muovere e guidare i trenini è stato necessario chiarire alcuni concetti di elettrotecnica: la differenza tra corrente continua e corrente alternata, il voltaggio, la potenza elettrica. Il "ciuff-ciuff" andava a batteria e aveva il vantaggio di camminare comunque. L’elettrotreno doveva prendere corrente da una linea elettrica esistente sui binari, ma poteva: fermarsi su comando, accelerare, rallentare, invertire il senso di marcia, accendere le luci! Moltissimo tempo ha richiesto l’attivazione del passaggio a livello automatico: non solo gli sforzi sono stati coronati da successo, ma si è capito che l’automatismo non è un fatto miracoloso! Alcuni concetti di statica o di meccanica, poco chiari allo studente universitario, possono essere appresi facilmente se affrontati nella scuola primaria: ciò di cui un bambino ha bisogno è un riscontro pratico di ciò che ascolta. La costruzione di una semplice gru ed il suo ribaltamento per un carico da sollevare, può portare al chiarimento di concetti quali momento agente e momento reagente: il difficile non è capire i termini, ma perché la gru si ribalta e, dopo una serie di tentativi, il bambino è in condizioni di scoprire che è necessario bilanciare il carico con un altro peso. Per riordinare e chiarire sul piano teorico questi esperimenti c’è tempo nella scuola superiore e un intervallo di tempo può essere, persino, indispensabile alla sedimentazione di quanto appreso. Altro esempio è la comprensione del meccanismo di biella e manovella: è sufficiente fargli costruire un qualsiasi modellino, per il cui funzionamento questo meccanismo è indispensabile, ed il bambino riuscirà sicuramente a realizzarlo. La scomposizione ed il calcolo delle forze saranno oggetto di studi superiori, se necessario. Indubbiamente questo tipo di didattica richiede che il docente non solo si aggiorni continuamente, ma che accetti, ogni tanto, di essere superato dagli alunni, specie da quelli ritenuti terribili! Abbandonando ogni tipo di riflessione e tornando alla cronaca della sperimentazione, il programma prevedeva la continuazione nella scuola media. Su due quinte classi, contavo di poter proseguire la sperimentazione con almeno una decina di ragazzi, che si erano iscritti alla scuola media "Gimma", dove avevo scritto anche mio figlio. Il programma, che mi sono premurato di presentare al preside, prevedeva il coinvolgimento di tutte le discipline nello studio di un elemento della realtà territoriale, cui la scuola apparteneva. La risposta è stata negativa! Il tentativo di ricorrere alla solita scalata politica, come rappresentante dei genitori, è stato vanificato dalla dispersione dei ragazzi provenienti dalla scuola Balilla: non c’era una sola classe dove ve ne fossero due! Un tentativo di continuare la sperimentazione è stato fatto con l’insegnante di applicazioni tecniche, ma solo per brevissimo tempo.

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