Un tentativo in tal senso è rappresentato dal progetto del "laboratorio di quartiere", presentato, nel 1980, da Renzo Piano ad Otranto. Qui il laboratorio è stato presentato come una struttura mobile ed aperta: un grande cubo, che si apre sotto una tenda, allestita nella piazza. L'idea, anche se rappresenta "l'uovo di Colombo", è di estremo interesse e merita di essere analizzata nei particolari. La prima novità è rappresentata da una nuova figura di progettista, l'architetto-artigiano, una sorta di medico-condotto, che si preoccupa di curare non le persone, ma gli edifici, di cui dovrebbe conoscere "vizi e virtù". Una prima critica, che si potrebbe muovere a Renzo Piano, è di aver usato il termine "architetto-artigiano" e non "artigiano-architetto", considerato che, per come funziona la scuola in Italia, è più probabile che un artigiano si trasformi in architetto e non che un architetto diventi artigiano! Fino a quando non esisteranno "scuole di artigianato", possiamo tranquillamente affermare che "architetti si diventa" ma "artigiani si nasce". Artigiano è colui che "lavora divertendosi" e comincia a lavorare sin dalla prima infanzia. Architetto è anche colui che a diciotto anni, dopo le scuole medie, decide di iscriversi alla Facoltà di architettura (spesso per moda o desiderio di guadagno) e si laurea facendo passivamente ciò che chiedono i professori! Bisogna ammettere, anche, che il laboratorio di quartiere si era avvicinato moltissimo alla scuola-bottega con l'idea del laboratorio all'aperto, accessibile ai ragazzi. Anticamente la bottega dell'artigiano si apriva sulla strada e tutti potevano assistere all'attività lavorativa che si svolgeva nei pressi della porta o, quando era possibile, sulla strada. Il lavoro veniva svolto con passione ed era motivo di orgoglio. Non erano pochi i ragazzini che si fermavano ad osservare ed alcuni di essi, per imparare, chiedevano di poter frequentare la bottega, rendendosi utili. Si attivava così una Scuola produttiva in cui il Maestro insegnava e riceva come compenso l'aiuto dall'allievo. Si trattava di una scuola dal massimo rendimento, che oggi definiremmo utopistica: il Maestro sceglieva con cura i propri discepoli ed i discepoli sceglievano il Maestro degno di stima. Quando questa veniva meno, il Maestro restava senza discepoli e se il discepolo non produceva veniva licenziato. Il rapporto discente-docente doveva essere dei più belli. Si pensi alla seguente scena: il Maestro finisce di dipingere un quadro ed è preoccupato che qualche mosca possa restarvi attaccata; chiama il discepolo e gli chiede di stare attento alle mosche; il discepolo, per tutta risposta dipinge sul quadro una mosca perfetta; il maestro torna, vede una mosca sul quadro, non s'accorge che è dipinta e va su tutte le furie. Certo erano altri tempi, ma torniamo al nostro laboratorio di quartiere. Come è possibile rilevare dall'immagine sopra riportata, il laboratorio si divideva in quattro settori: analisi e diagnostica, informazione e documentazione, progetto aperto, lavoro e costruzione. In questa sede interessa analizzare il primo settore, destinato all'analisi ed alla diagnostica, nel quale era previsto l'impiego della fotogrammetria e della termografia, anche se con la logica del progetto di larga massima. Per la fotogrammetria aerea era previsto un pallone aerostatico, dotato di una comune macchina fotografica dotata di un comando a distanza. Certo, si sarebbe potuto utilizzarlo per rilievi fotogrammetrici, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare! Ero presente quando sono state effettuate alcune riprese fotografiche con il pallone aerostatico, per la verità non molto statico. Dopo lo sviluppo dei fotogrammi, ho creduto di chiarire il concetto di stereoscopia mostrando le fotografie scattate da due posizioni differenti del pallone, che era stato spostato da un semplice colpo di vento. Nel documentario, apparso poi in televisione, la "casuale" ripresa stereoscopica era diventata ripresa fotogrammetrica ed è facile immaginare i commenti degli addetti ai lavori. L'introduzione di un semplice stereoscopio nel laboratorio di quartiere presuppone la volontà di coinvolgere tutti gli abitanti all'uso del nuovo strumento. Se la funzione primaria del medico-condotto è quella di creare una base culturale indispensabile per la partecipazione dei pazienti alla redazione della propria cartella clinica, l'architetto-condotto dovrebbe svolgere un'opera di consulenza per aiutare gli abitanti nello svolgimento o comunque, nella partecipazione ai lavori di manutenzione ordinaria della propria abitazione. Di grande interesse è anche l'idea di dar vita all'assemblea di quartiere, nella quale possa essere affrontata e discussa ogni proposta di intervento sul quartiere stesso; ma anche in questo caso il problema non è di semplice soluzione se non si è provveduto preventivamente alla formazione di una idonea base culturale. Ritengo che la possibilità di sopravvivenza di un laboratorio di quartiere dipende proprio da quest'ultimo problema: ogni abitante dovrebbe usufruire di questa struttura, per un certo periodo di tempo, nello stesso modo con cui l'artigiano usufruisce del proprio laboratorio, provvedendo in prima persona anche alla pulizia degli strumenti e del laboratorio stesso. In sostanza, ognuno dovrebbe riappropriarsi della propria abitazione, cominciando con il riscoprire le proprie esigenze e cercando di adattare a queste la propria casa. Il degrado dell'abitazione è iniziato quando l'uomo ha delegato a terzi la progettazione della casa, ivi compreso l'arredamento. Il progettista ha perso la funzione di semplice filtro, destinato a realizzare in maniera ottimale le esigenze dell'utente, ma è diventato una specie di dittatore destinato a condizionare la vita degli altri.