La visione stereoscopica | ![]() Politecnico di Bari | ||
dal volume "1985 -1995: il progetto finalizzato Fotogrammetria e tutela del territorio" | |||
![]() Quando parliamo di fotografia tridimensionale o stereo, ci riferiamo sempre ad una coppia di fotogrammi (scattati da due punti distinti), la cui simultanea osservazione consente la percezione dell’immagine tridimensionale dell’oggetto fotografato. I metodi cui l’uomo fa ricorso per l’osservazione dell’immagine fotografica tridimensionale sono molti: alcuni richiedono strumenti più o meno sofisticati, altri un semplice allenamento. In questa sede, però, ci interessa innanzitutto comprendere il meccanismo cui il nostro cervello fa ricorso quando effettua l’analisi dimensionale. Cominciamo con l’esaminare l’apparato ottico, cioè l’occhio, il cui funzionamento viene spesso assimilato a quello di una macchina fotografica: esso, infatti, è una particolare camera oscura dotata di obiettivo (cristallino), di un diaframma (iride) e di una superficie sensibile (retina); mancano, però, l’otturatore e la possibilità di fissare l’immagine, quindi a pensarci bene potremmo paragonare l’occhio ad una telecamera, ma c’è ancora un’altra caratteristica che non possiamo assolutamente trascurare ed è la continua mobilità dello stesso. In realtà la sensibilità della retina non è uniforme ed è massima in un particolare punto (fovea), il quale, proprio grazie alla possibilità di rotazione del bulbo oculare, viene continuamente spostato nelle zone più interessanti dell’immagine proiettata. Il raggio proiettante, passante per esso, prende il nome di asse visuale. Nel fare l’analisi dimensionale di un qualsiasi oggetto, il cervello fa ricorso a diversi metodi di rilievo: prospettiva, confronto delle due immagini proiettate sulla retina ed triangolazione. Dei tre, i primi due servono essenzialmente per individuare gli elementi da analizzare, mentre il terzo rileva la posizione dei punti osservati mediante un’autentica triangolazione avente per base la distanza tra i centri di rotazione dei bulbi oculari e per vertice l’intersezione degli assi visuali. Per la verità non è che il cervello misuri, per ogni punto, gli angoli formati dagli assi visuali con la base ed effettui i relativi calcoli per ricavare le tre coordinate in un sistema di riferimento cartesiano ortogonale, ma memorizza continuamente i dati dopo averli sottoposti a verifica. Per esempio il bambino, nei primi mesi di vita, prima di riuscire a prendere un oggetto, deve elaborare un proprio programma di rilievo. Ammesso che entrambi gli occhi siano funzionanti, prima di avviare le operazioni di presa, egli deve individuare la posizione dell’oggetto che lo interessa e per far ciò può:
|