Quando la ripresa è destinata a fornire un modello ottico stereometrico, si ritiene indispensabile la redazione di un "progetto di ripresa". Si tratta di una "tara" che la fotogrammetria architettonica ha ereditato dalla consanguinea aerofotogrammetria cartografica, dove è abbastanza chiaro lo scopo (la cartografia) e di conseguenza è possibile la redazione. Nel caso del rilievo architettonico invece, facendo ricorso alla stessa metodologia, si corre il rischio di finalizzare le riprese alla redazione di planimetrie e di prospetti privi di significato. Per convincersene, si pensi alla semplice fotografia di un bambino eseguita in una qualsiasi cabina fotografica automatica o da un bravo fotografo. Qual’è la differenza? Nel primo caso è certa l’esistenza di un preciso progetto di ripresa (punto di vista, obiettivo, distanza, esposizione ecc.) eseguito con mentalità industriale! Ma nel secondo caso? Chi oserebbe chiedere al fotografo il progetto di ripresa? Il confronto tra le due fotografie fa pensare al confronto che Le Corbusier faceva tra il Partenone e l’automobile: entrambi sono prodotti selezionati, frutto della continua ricerca di perfezione, che però è cessata in architettura, tanto che oggi non abbiamo alcun "Partenone" da mostrare! Nel nostro caso la "cabina", nello scattare la fotografia, si preoccupa di verificare solo se l’utente ha inserito la moneta, mentre il fotografo adatta la ripresa (obiettivo, materiale sensibile, formato ecc.) al soggetto solo dopo averlo attentamente studiato ed arriva al risultato finale dopo una serie di tentativi. Allora, si può dire che il fotografo non progetta la ripresa? In cosa si differenzia il progetto di ripresa, in base al quale è stata programmata la cabina fotografica, da quello del fotografo? Potremo dire semplicemente che la cabina adatta il soggetto alla ripresa, mentre il fotografo adatta la ripresa al soggetto (per il momento conviene ignorare quelle persone che si comportano come le cabine!). Da quanto sopra risulta chiaro che per progettare la ripresa non è sufficiente fissare solo i punti-stazione! Se si tratta di edifici o di ambienti urbani, è necessario considerarli alla stregua degli esseri viventi, che vanno fotografati al momento giusto, dal giusto punto di vista e solo dopo aver preso confidenza con essi. Cosi come una qualsiasi radiografia del corpo umano è il risultato della collaborazione tra medico e radiologo, la ripresa stereo nasce dalla stretta collaborazione tra l’operatore fotogrammetrico e l’utente della ripresa stessa, e perché ciò sia possibile è necessario che l’uno comprenda i problemi dell’altro e viceversa. Nel caso del rilievo architettonico o urbanistico, il progetto di ripresa è parte integrante del progetto architettonico o urbanistico. Esso è destinato alla documentazione dello stato dei luoghi prima, durante e dopo l’intervento di trasformazione dell’edificio o dell’ambiente interessato dall’intervento stesso, in modo da consentire l’aggiornamento della relativa scheda documentaria. L’architetto, in qualità di utente del rilievo, se non può partecipare alle operazioni di ripresa, è tenuto a fornire all’operatore fotogrammetrico una serie di informazioni relative a:
- focale della camera metrica da utilizzare;
- formato-immagine e tipo di pellicola;
- tipo di emulsione sensibile;
- inquadratura, quindi punti-stazione ed inclinazione approssimativa dell’asse ottico;
- esposizione e diaframma, quindi profondità di campo;
- numero delle riprese;
- particolari di maggior interesse, che devono essere indicati con precisione sulle fotografie.
Sulla base di queste informazioni non è detto che l’operatore possa dedicarsi esclusivamente alla risoluzione tecnica delle operazioni di ripresa. L’intervallo di tempo, intercorrente tra la fase progettuale e la fase esecutiva, può aver migliorato o peggiorato la situazione ambientale (auto parcheggiate, alberi più o meno spogli, impalcature, lavori stradali ecc.) ed in questo caso spetta all’operatore adattare la ripresa facendo attenzione a mantenere inalterati i contenuti. La formazione dell’operatore fotogrammetrico, quindi, oltre che tecnica dovrà essere anche culturale.