Quello che vediamo sullo schermo è uno dei tanti centri antichi dell'ltalia centro-meridionale.
Le diapositive che stiamo osservando pongono un interrogativo inquietante e paradossale: il progresso tecnologico e l'approfondimento degli studi,
in architettura ed urbanistica, sono tra le cause dei gravi danni arrecati dall'uomo all'ambiente?
Anticamente l'uomo costruiva con i materiali ed i pochi mezzi a disposizione, spinto da esigenze personali, non si poneva problemi di ambientamento, non aveva al cuna pretesa di "fare architettura ", eppure ha conseguito risultati invidiabili.
Se ci spostiamo in una del le più antiche città della Terra, ci accorgiamo che i nostri antenati riuscivano a tener conto persino dell'ambientamento delle tombe. In diapositiva vediamo la città di Gerusalemme ed in primo piano le sepolture disposte in modo da garantire la contemplazione della Città.
Osservando lo stesso paesaggio al tramonto, sembra che abbiano tenuto conto persino degli effetti di luce.
Anche qui l'uomo moderno ha effettuato i suoi presuntuosi interventi. All'interno del centro storico di Gerusalemme è possibile osservare edifici in cemento goffamente mimetizzati da assurdi rivestimenti in pietra.
Perché esiste questo contrasto tra l'antico ed il moderno? Perché gli edifici antichi risultano così ben "amalgamati " con l'ambiente, mentre non si può dire altrettanto di quelli costruiti oggi? A chi
dare la colpa? Ai moderni mezzi che hanno consentito di realizzare "case di montagna" al mare e viceversa? Alla vasta gamma di materiali a disposizione che hanno portato alla "falsificazione architettonica"? Alla scarsa sensibilità dei progettisti?
Personalmente ritengo che la causa fondamentale sia da ricercarsi nel mancato adeguamento, in architettura ed urbanistica, delle tecniche di progettazione alle tecniche di costruzione.
Come si progetta oggi in architettura ed urbanistica?
Nella totalità dei casi, oggi, il progettista opera "in studio":
si presuppone quindi che debba disporre "in studio" di un rilievo, preciso
e completo, della zona d'intervento. In urbanistica, nella migliore delle ipotesi, dispone di una restituzione planimetrica del rilievo fotogrammetrico: una rappresentazione come quella in diapositiva sarebbe già auspicabile!
In architettura esistono precise regole per il rilievo: le diapositive che vediamo sono state ricavate da un testo di disegno edile e da una rivista tecnica. Esaminiamole rapidamente:
È evidente che un simile tipo di rilievo può essere applicato solo a particolari architettonici e non ad interi edifici.
Le misure indicate si riferiscono ad elementi non giacenti nello stesso piano e quindi non potranno essere che approssimative. Trattandosi di rilievo discontinuo, la rappresentazione delle parti non misurate avviene secondo la logica del disegnatore e ciò toglie al rilievo il carattere di oggettività. Resta un mistero il rilievo di alcuni elementi tridimensionali (per es. i capitelli) e la loro rappresentazione nel piano.
II rilievo precedente può essere completato con la rappresentazione delle ombre, la cui teoria spero sia a tutti familiare..... resta da chiarire solo se le ombre fanno parte del rilievo.
In questa diapositiva è riportato il rilievo di un intero prospetto. E' evidente che non tutto ciò che vi è rappresentato è stato misurato: perché, dunque, creare confusione tra rilievo ed esercitazione di disegno?
E' interessante leggere la didascalia che accompagna questo "schizzo ". Si parla di "impossibilità di riportare correttamente la composizione volumetrica di questo spazio urbanistico tramite una documentazione fotografica,
ecc. ".
La tecnica di rilievo sintetizzata da queste diapositive viene ancora oggi insegnata nelle nostre scuole e di essa si servono persino gli studenti di architettura.
Indubbiamente è una tecnica alla portata di tutti, visto che richiede semplicemente l'uso di una fettuccia metrica e di qualche palloncino per.... misurare parti inaccessibili: ma se ragioniamo in questa maniera possiamo affermare che anche la costruzione di una casa è alla portata di tutti, basta eseguire le tecniche preistoriche. ...
Non dimentichiamo che, oggi, la scuola non è l'unica fonte d'nformazione.
Proprio ieri sera, nella rubrica televisiva "i pensieri dell'occhio ", si è parlato dell'olografia e noi oggi ci accingiamo a parlare della fotogrammetria come di una tecnica del futuro: quale interesse potremo destare nei giovani?
Non è necessario un elevato grado di cultura per capire, ad esempio, che risulterebbe inutile un qualsiasi rilievo del "muro del pianto " che vediamo in diapositiva. Cosa ne resterebbe se dovessimo spogliarlo dell'ambiente in cui "vive "?
Nella quasi totalità dei casi, il rilievo tradizionale viene integrato da una documentazione fotografica.
A prima vista la tecnica fotografica, cosi come oggi viene impiegata, sembra compensare le deficienze del disegno-rilievo. La fotografia è in grado di immagazzinare una tale quantità di dati da scoraggiare qualsiasi abile disegnatore. La vasta gamma di ottiche intercambiabili, dagli obiettivi supergrandangolarl a quelli a lunghissima focale, consente di fare miracoli nella lettura di un monumento, eppure basta una fotografia, come quella proiettata ora sullo schermo, per far cadere in disgrazia questa tecnica. In questi casi si parla di ottiche deformanti: ma, se osserviamo, con un solo occhio, un viso, ponendoci a non più di 5 cm dal naso, la visione è diversa? E se facciamo un ritratto con lo stesso obiettivo, utilizzando solo la parte centrale del fotogramma e ponendoci a qualche metro di distanza, il risultato è diverso da quello ottenuto con un teleobiettivo? E allora vogliamo accusare la macchina di aver superato le nostre possibilità visive?
Prima di concludere l'argomento "rilievo ", desidero porre un altro interrogativo: è giusto che il rilievo debba fornire una visione non reale ? Cosa resta di questa immagine se la priviamo del colore? Che senso ha disegnare i prospetti di edifici come quelli riportati in diapositiva? E nel caso di particolari? E nel caso degli scavi archeologici? Credo che la soluzione più semplice sia di ricavare le misure che interessano dalla stessa fotografia!
Comunque diamo per scontata l'utilizzazione, da parte del progettista, di un quasiasi rilievo della zona dl intervento e vediamo come viene "comunicato" il progetto di un nuovo edificio. Facciamo riferimento, ancora una volta, a ciò che viene insegnato nelle nostre scuole. In diapositiva sono rappresentati gli elaborati di progetto di una "casa di campagna": si tratta di piante, prospetti, sezioni e, per fortuna, uno spaccato assonometrico.
In pratica, nella quasi totalità dei casi, per l'approvazione di un progetto, sono richiesti solo gli elaborati relativi alle piante, prospetti ed almeno una sezione.
E' evidente che fino a quando si tratta di forme semplici, è possibile la rappresentazione nel piano, ma nel caso di forme complesse? Come faremo a distinguere la rappresentazione di una sfera da un cerchio? E per quanto riguarda la rappresentazione nello spazio? I testi fanno riferimento sempre a particolari o a forme semplici, ma se si tratta di edifici come quelli rappresentati ora sullo schermo? A parte le difficoltà di rappresentazione grafica, che si potrebbero superare con l'ausilio di un elaboratore elettronico, fino a che punto può essere utile una rappresentazione bidimensionale? Secondo la rappresentazione classica, il prospetto di un comune edificio multipiani differirebbe da quello di una casa a terrazzo?
Nella fase di studio, il progettista fa ricorso alIa realizzazione di plastici: in diapositiva ne vediamo un esempio. I plastici, però, non sostituiscono gli elaborati di progetto, anzi non sono quasi mai accettati né dagli uffici tecnici né dalle commissioni di concorsi: in effetti, oltre ad essere ingombranti, non sono duplicabili.
Al progettista, quindi, non resta che allegare agli elaborati grafici le fotografie del plastico: ma è giusto che una commissione giudicatrice di un progetto, "chiuda un occhio"? Può sembrare un gioco di parole, ma non dimentichiamo che le fotografie che stiamo osservando corrispondono ad una visione monoculare alla quale non tutti siamo abituati: nel caso di questo plastico, per esempio, i due costoloni centrali della copertura in realta sono paralleli mentre in fotografia appaiono convergenti.
Ora questa convergenza ci sembra "normale " nella fotografia del prospetto anteriore, ma ci disorienta quando la osserviamo nella fotografia del prospetto posteriore.
Il nostro cervello riesce a leggere certe informazioni sulle comuni fotografie solo grazie ad altre informazioni precedentemente acquisite.
Su questa diapositiva ritiene di poter valutare le dimensioni della porta solo perché può far riferimento ad altri dati precedentemente acquisiti: presuppone che la porta debba consentire il passaggio dell'uomo,
di cui conosce l'altezza, fa riferimento alle dimensioni dei gradini, dei conci murari di altre costruzioni, ma non appena sullo schermo appare un'altra inquadratura, con un elemento di riferimento più sicuro, qual'è una figura umana, si rende conto che la vautazione precedente era del tutto errata.
Proviamo ora a togliere a togliere dalla fotografia qualsiasi elemento di riferimento.
In questa diapositiva vediamo due personaggi abbastanza noti ai bambini: Pippo e Topolino.
Senza variare la posizione relativa dei due personaggi, sono state
scattate tre diverse fotografie: nella prima appare più grandeTopolino, nella seconda le dimensioni dei due personagggi sono uguali, nella terza Topolino appare più piccolo.
E' evidente che solo una delle tre corrisponde alla realtà, ma il nostro cervello non ha elementi sufficienti per indlviduarla. Osservando la quarta diapositiva scopriamo il "trucco": in realtà Topolino, di dimensioni notevolmente superiori a quelle di Pippo, era semplicemente più lontano e le tre fotografie differiscono semplicemente per la distanza tra personaggi e macchina fotografica.
Molto probabilmente, in questa esperienza, la conoscenza dei personaggi aveva consentito a qualcuno di azzardare una scelta, ma se ripetiamo l'esperimento con tre piccole sfere ci renderemo conto della impossibilita di decidere.
Facciamo ora un altro esperimento. Scattiamo una fotografia quando la macchina fotografica si trova ad una tale distanza per cui le tre sfere appaiono uguali, poi, spostandoci lateralmente di una diecina di centimetri, ne scattiamo un'altra.
Sappiamo tutti che abbiamo ottenuto una fotografia stereoscopica: osservando contemporaneamente la fotografia di destra con 1'occhio destro e quella di sinistra con l'occhio sinistro, potremo renderci conto che la sfera centrale è la più vicina alIa macchina fotografica e quella superiore
la più lontana.
Facendo ricorso alIa proiezione stereoscopica, anche ora tutti si potrebbero rendere conto della effettiva disposizione spaziale delle tre sfere.
A mio avviso, il fatto più importante e che noi possiamo "toccare" il modello ottico ottenuto.
Se provo a sistemare dei cartoncini, nei punti in cui le immagini corrispondenti delle tre sfere coincidono, posso ricostruirne la posizione nello spazio.
Variando la posizione relativa dei due proiettori, potrò ingrandire questo modello ottico a mio piacimento, variare la scala in una direzione, persino invertire la posizione reciproca delle immagini delle tre sfere.
L'esperimento che abbiamo visto è stato realizzato con dei comuni proiettori per diapositive, ma sappiamo benissimo che esistono delle apparecchiature in grado di fornirci la precisione che tutti desideriamo.
Lo scopo, per cui ho ritenuto opportuno realizzarlo, è stato di richiamare l'attenzione sulle tecniche di visualizzazione tridimensionale.
Sicuramente qualcuno dei presenti sarà tentato di tirar fuori il solito discorso: "un bravo progettista deve saper studiare opere tridimensionali in uno spazio bidimensionale ".
Io dico che sono pochi i "bravi progettisti" e, caso strano, operano in studi particolarmente attrezzati: la grande maggioranza è costituita da quelli "non bravi" che, nella migliore delle ipotesi, dispongono di un tavolo da disegno e di qualche apprendista-disegnatore.
Vogliamo imporre a questi di non progettare? E perché? Hanno conseguito un titolo di studio imparando a progettare con il solo ausilio di qualche "squadretta". Per progettare una casa è sufficiente "tirar su" quattro mura con qualche apertura (cioè disegnare qualche rettangolo)!
Quali possono essere le difficoltà?
- L'ambiente? Vogliarrio tirar fuori la filosofia anche in architettura?
- L'industrializzazione? Vogliamo correre il rischio di fare una casa
uguale per tutti?
- I centri storici? Quattro case vecchie e malsane da distruggere?
- Il restauro? Perché è un tipo d'intervento difficile ?
E' evidente che non è possibile affrontare i problemi dell'architettura con le parole e qualche disegno! Ogni progetto, che si rispetti, va rigorosamente verificato e, in architettura, non solo questo non avviene, ma s'inizia
la costruzione prima che il progetto esecutivo sia completato: e osiamo lamentarci dell'elevato costo delle costruzioni?
Per una mentalità, acquisita nella scuola, il progettista edile s'illude di progettare con il solo ausilio della matita e di un pezzo di carta: forse ciò era possibile una volta, quando la casa si costruiva mattone su mattone, ma oggi? L'uomo dispone di materiali che non condizionano più la forma dell'edificio.
Finalmente la forma può essere adattata alIa funzione: ma come è possibile ottenere ciò se il progettista è condizionato
nella estrinsecazione della propria idea?
Diamo ad un qualsiasi studente delle nostre scuole non un foglio bianco, ma un modello stereometrico della zona d'intervento e consentiamogli di riportare su di esso il proprio progetto: nella peggiore delle ipotesi "copierà" gli edifici esistenti e, forse inconsciamente, avrà ambientato il proprio progetto! Se poi, dovesse progettare il classico
"pugno nell'occhio" crediamo proprio che si ostinerebbe a realizzarlo?
Io credo che certe "opere" non siano dovute a "scarsa sensibilità ", ma solo ad una "scarsa preparazione" e questa, dobbiamo ammetterlo, non può che essere dovuta alla classe docente che, chiudendosi nella ormai pericolante "torre d'avorio" rifiuta di "mettersi al passo" con il progresso tecnologico!
|