LA GOLIARDIA…. QUESTA SCONOSCIUTA
Oggi, per uno studente universitario, l’unico obiettivo è il titolo di studio e la ricetta è semplice: basta isolarsi dal mondo, seguire tutte le lezioni, capire come la pensa il professore e, in sede d’esame, dare le risposte che lui vuole, anche a costo di affermare che “l’asino vola”.
Il risultato è facilmente immaginabile, un cervello colmo di nozioni, ma del tutto impreparato ad affrontare le realtà sociale.
In passato, gli studenti avevano un efficace antidoto: la goliardia, “il tradizionale spirito che anima le comunità di studenti, in cui alla necessità dello studio si accompagnano il gusto della trasgressione, la ricerca dell'ironia, il piacere della compagnia e dell’avventura”.
Tanto per cominciare, all’epoca, ogni studente aveva un tesserino di riconoscimento, sul quale ogni anno, al momento dell’iscrizione, veniva impresso un bollo, il cui numero stabiliva una gerarchia: la “matricola”, con un bollo, e il “fagiolo”, due bolli, erano i più tartassati.
Nel rispetto della tradizione, la matricola doveva essere “battezzata” con un processo di iniziazione, certificato dal “papiro”. Qualcuno riusciva a “salvarsi” falsificando il tesserino o per altre vie, ma erano in pochi.
La matricola “pescata” senza papiro doveva offrire una consumazione al bar. Quando i “cacciatori” di matricole fallivano il tiro, al bar pagava chi aveva meno bolli, che puntualmente erano i “fagioli”, di qui il termine di “fagiolata”.
Ogni anno, poi, si organizzava la festa della matricola, della durata di tre giorni, con varie manifestazioni, tra cui una sfilata di carri allegorici.
I costi venivano coperti da una questua effettuata dagli studenti stessi, casa per casa e negozio per negozio. Se si considera che in quei giorni gli universitari avevano anche libero accesso nei cinema e sui mezzi urbani, si può facilmente immaginare che la preparazione di una simile manifestazione richiedeva una certa abilità diplomatica.
Di certo la “goliardia” era la prima causa per l’aumento degli studenti fuori corso, ma, a laurea conseguita, sicuramente i neo-professionisti non erano degli “imbranati".