GRUPPO DI LAVORO

Autonomia didattica e innovazione dei corsi di studio di livello universitario e post-universitario

RAPPORTO FINALE
(Testo rivisto nella riunione del 3 ottobre 1997, ultima stesura a cura di Guido Martinotti)

1. La filosofia di intervento

      I mali dell’università italiana sono sufficientemente noti e la loro identificazione si può ormai fare con un grado elevato di consenso, anche se non sempre il quadro sul quale concordano gli esperti corrisponde all'immagine diffusa presso l'opinione pubblica. Una immagine che spesso presenta in forma caricaturale problemi reali, ma piu' tipici delle situazioni estreme che non della generalità dei casi. In buona sostanza è accaduto che l’Università italiana non abbia seguito l'evoluzione generale dei sistemi di istruzione superiore dagli anni sessanta in poi, se non con aggiustamenti legali parziali e tardivi, e molti adattamenti spontanei, migliorativi per questa o per quella componente, ma generalmente peggiorativi per il sistema. Si è trattato della trasformazione da un sistema tradizionale di piccole dimensioni basato sulla comunità dei docenti e su un corpo studentesco molto omogeneo in termini di classe sociale, a un sistema ampio e socialmente diversificato, anche se molto lontano dall'idea di accesso universale, che e' stato investito dei problemi della mobilità sociale e della preparazione di una classe dirigente, ma senza aver acquisito gli strumenti istituzionali per risolverli.

      Perciò non è esatto dire che nel sistema accademico italiano non sia mutato nulla. I cambiamenti ci sono stati e sono stati profondi. Tra la metà degli anni sessanta e la metà degli anni novanta il corpo studentesco è più che raddoppiato con un costante aumento delle studentesse, mentre il corpo docente è passato da poche migliaia a varie decine di migliaia, senza che vi si siano sostanzialmente mutati i rapporti quantitativi di genere. Contemporaneamente sono stati creati molti nuovi atenei, istituite nuove facoltà, ammessi nuovi corsi di laurea. Ma a questi mutamenti quantitativi non ha tenuto dietro una adeguata trasformazione della struttura organizzativa dell’università, rimasta in molti suoi aspetti quella adatta a un sistema universitario piccolo e tradizionale, se si escludo alcune innovazioni anche di rilevo, ma parziali, come l'introduzione del Dottorato, l'istituzione del Dipartimento e l'avvio del Diploma. Come in altri settori della società italiana, in mancanza di un quadro evolutivo istituzionale, si sono creati adattamenti perversi, che hanno distrutto molte delle componenti di comunità autoregolantesi necessarie in ogni sistema universitario, trasformandolo in un grande e complesso aggregato poco capace di innovarsi. Solo di recente, con il complesso di leggi messe in cantiere a partire dalla prima metà degli anni '90, si è cominciato a intaccare il contesto che ha portato a questo stato di cose, avviando un processo di autonomia teso a liberare le risorse ingabbiate, ma ancora ben lontano dall'aver prodotto effetti significativi.

      L'inadeguatezza istituzionale ha favorito una serie di adattamenti spontanei alla eccessiva rigidità organizzativa, tradottisi via via anche in diffuse illegalità tollerate, sulle quali si sono creati equilibri e accordi, perlopiù latenti, tra i più diversi interessi costituiti, che abbassano il livello di efficienza e ostacolano seriamente ogni azione di miglioramento del sistema. Il sistema accademico ha finito per adottare in larghissima misura un principio organizzatore che potremmo definire di "particolarismo universalistico". Cioè della utilizzazione di norme rigorosamente e astrattamente generali per il perseguimento di fini particolaristici. Ne troviamo tracce nel meccanismo concorsuale, in superficie capace di garantire una eguaglianza di giudizi su base nazionale, ma spesso sottoposto a interessi locali o di scuola o nella applicazione inordinata del principio della libertà degli accessi che ha portato a squilibri macroscopici tra le dimensioni degli atenei anche nella medesima città. E nel crescente divario tra curricolo tabellare e realtà del percorso di studi di grandi masse di studenti con la formazione di una figura anomala come è il "fuori corso".

      Gli esempi potrebbero continuare, ma riteniamo che il punto sia stato sufficientemente illustrato. È pertanto necessario rovesciare questo processo di proliferazione di particolarismi protetti introducendo le necessarie innovazioni, ma anche prendendo atto che alcuni adattamenti spontanei verificatisi in questi ultimi decenni sono la risposta a esigenze legittime che vanno riconosciute e regolamentate piuttosto che contrastate. In generale, il Gruppo di lavoro rifiuta una immagine catastrofistica del sistema universitario italiano, in larga misura costruita dai mezzi di comunicazione di massa su alcuni eventi senza dubbio significativi, ma non universalmente rappresentativi (megatenei, esiti perversi dei concorsi, conflitti sul numero chiuso ecc.). Piuttosto, l'immagine dell’università italiana che appare più plausibile è di un sistema molto diversificato, con non poche forze innovative che trovano difficoltà a tradurre in pratiche istituzionali accettate le esperienze locali. Il ritardo istituzionale va colmato tenendo ben presente che in tutti i sistemi europei di istruzione superiore si stanno trovando difficili e complessi adattamenti innovativi e rifuggendo da impostazioni che proiettano sull'azione di riforma l'inclinazione a suggerire modelli astrattamente universalistici, ma incapaci di collegarsi con le molte forze innovative presenti nel mondo universitario. Ma anche tenendo presenti alcuni aspetti esterni quali la riforma dei cicli scolastici, la costituzione di una "seconda rete di formazione a livello terziario", di cui si sta discutendo ora in numerosi documenti ufficiali, le carenze formative della popolazione adulta e la diffusione di una cultura di genere nella società.

      Al Gruppo di lavoro è stato chiesto di avanzare proposte per avviare un processo di miglioramento per quanto riguarda “l'Autonomia didattica e l'innovazione dei corsi di studio a livello universitario e post-universitario". Pertanto il GdL si è tenuto all'interno di questi confini e, pur avendoli ben presenti, non ha discusso diversi temi fondamentali, collegati con i problemi didattici, ai quali abbiamo già accennato nella Presentazione.

      Nelle condizioni caratteristiche del sistema accademico italiano, cioè di un sistema complesso molto diversificato che ha trovato suoi equilibri interni che corrispondono a interessi costituiti celati dietro principi obsoleti, non si può proporre un ridisegno complessivo o "riforma" del sistema in senso tradizionale. In primo luogo perché è il grado di complessità raggiunto del sistema accademico a rendere improponibile una azione di questo tipo. In secondo luogo perché proprio per l’abbrivo del sistema, gli interessi costituiti del presente sono in grado di opporre efficaci resistenze a qualsiasi modello innovativo imposto o proposto dal centro. Ogni innovazione viene subito ripresentata come un abbassamento della qualità, e poco vale la constatazione che la qualità si è abbassata soprattutto a causa di decenni di assenza di innovazioni normative. In terzo luogo perché l'avvio del processo di autonomia ha già ridotto considerevolmente la gamma degli strumenti di intervento a disposizione del governo centrale del sistema.

      Per questo non si è adottata la prospettiva di una "riforma organica" o ordinamentale dell'intero sistema universitario. Si è invece scelta la strada di una pluralità di interventi/strumenti parziali, da attivare contestualmente, in funzione di obiettivi determinati, comunque riconducibili a un disegno generale di riforma (conseguentemente: confronto politico-culturale e parlamentare non per modelli, ma su obiettivi e sull'adeguatezza degli strumenti adottati in funzione degli obiettivi perseguiti). Ciò comporta una "strategia a mosaico", che punta ad accrescere ulteriormente l'autonomia con l'obiettivo di ampliare le possibilità di azione delle forze innovative. Va da sè che con questa impostazione vanno minimizzati due rischi contrapposti.

      Da un lato va riaffermato il principio, ribadito nell' articolo 17 della legge 127 del 1997, che finchè il sistema universitario italiano rimane pubblico ed è finanziato con risorse nazionali, deve possedere alcuni requisiti comuni. Però, stabiliti questi "requisiti minimi", è lo spirito stesso del modello dell'autonomia ormai da tempo inserito nella filosofia e nella pratica legislativa del MURST, a suggerire il cambiamento da un approccio "dall'alto" a uno maggiormente basato sulle inziative "dal basso". Peraltro l'autonomia non è un fine in sè, ma un mezzo per ottenere degli obiettivi di migliore funzionamento del sistema. In altre parole lo scopo ultimo dell'azione innovatrice del Ministero non è di assegnare ai singoli atenei maggiore autonomia, ma quello di assicurarsi che la maggiore autonomia significhi soprattutto rimozione di ostacoli sulla via di una maggiore funzionalità di un sistema che oggi appare bloccato o avviato verso una involuzione. Non si deve neppure identificare l'autonomia con la pura e semplice "deregulation". Sarebbe un errore pensare che basti eliminare alcune regole per mettere in moto un processo automatico di aggiustamento del sistema. Oltre a operare per rimuovere gli ostacoli a un completa autonomia l'iniziativa del MURST dovrà perseguire innanzitutto l'obiettivo della creazione di una "cultura dell'autonomia", stimolando le forze vive dell’università.

      In coerenza con l'insieme di queste premesse, il gruppo di lavoro si è trovato concorde, sin dall'inizio, sul principio di cercare soluzioni che non aggiungano, ma riducano i gradi di complessità del sistema a tutti i livelli, e in particolare delle procedure per l'innovazione. Inoltre di favorire soluzioni che accrescano la responsabilità dei soggetti e le capacità di integrazione tra le diverse componenti locali e nazionali. E infine concordano sull'importante principio che tutte le innovazioni proposte abbiano una attuazione graduale, con sperimentazioni da valutare attentamente, ma da stimolare e incentivare, anche con risorse aggiuntive. Il Gruppo di Lavoro segnala inoltre che le proposte sembrano essere perfettamente in linea con gli orientamenti generali a livello europeo quali emergono dalla documentazione riportata in appendice.


INDICE
  1. La filosofia dell'intervento
  2. Principi organizzativi generali
  3. Le principali linee di intervento. La proposta del Gruppo di lavoro
    A) I crediti didattici nel sistema universitario
    B) Struttura dell'ordinamento didattico
    C) La valutazione
    D) L’orientamento
    E) Coordinamento territoriale e differenziazione competitiva
    F) I collegamenti con gli altri i sistemi europei
    G) Conoscenze per il governo del sistema