Schema di d.m. recante
Definizione delle classi delle lauree universitarie

Trasmesso in data 15 dicembre 1999 al CUN per il prescritto parere




APPUNTO DI LAVORO PER LA LETTURA DELLO SCHEMA DI DECRETO RECANTE
DETERMINAZIONE DELLE CLASSI DELLE LAUREE UNIVERSITARIE

 

Il presente decreto (vedi articolo 1), in attuazione dell’art. 10, c. 1 del regolamento sull’autonomia didattica (D.M. 3 novembre 1999), determina gli obiettivi formativi qualificanti dei corsi di laurea (di primo livello) e le attività formative indispensabili per conseguirli, indicando altresì il numero minimo di crediti che devono essere riservati negli ordinamenti didattici degli atenei ad ogni tipologia di attività formativa e ad ogni ambito disciplinare. Sono rinviati ad appositi successivi decreti i corsi di laurea per i quali è prevista l’acquisizione del parere di altri ministeri (ad esempio, quelli di ambito sanitario o militare o relativi alla formazione degli insegnanti) e tutti i corsi di laurea specialistica e di specializzazione.

LE CLASSI

Stante l’autonomia delle università nel denominare i corsi di laurea che esse istituiscono e nel definirne gli ordinamenti didattici, gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili non sono indicati per singolo corso di laurea, bensì per classi di appartenenza, cioè per raggruppamenti di corsi di laurea. Tutti i corsi di laurea che gli atenei istituiranno in una determinata classe condivideranno dunque necessariamente gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili indicati nel presente decreto, ma si differenzieranno tra loro (in regime di autonomia didattica) per la denominazione, per gli obiettivi formativi specifici e, soprattutto, per la scelta dettagliata delle attività formative che saranno richieste agli studenti per conseguire la singola laurea e del relativo carico di lavoro espresso in crediti, rispettando naturalmente i valori minimi fissati dal decreto.

L’individuazione delle classi costituisce, in un certo senso, una classificazione dei saperi che sono o potranno essere insegnati nelle università. Come tale è una scelta culturale molto difficile e sempre opinabile, peraltro mai definitiva perché deve seguire l’evoluzione delle conoscenze e dell’organizzazione sociale; per lo stesso motivo rappresenta una sfida intellettualmente interessante e un’opportuna occasione di riflessione sul panorama dell’alta formazione del nostro Paese. E’ inoltre, tecnicamente, una scelta necessaria in ogni sistema nazionale di istruzione universitaria, per flessibili che ne siano, in nome di una spiccata autonomia delle università, le regole generali di funzionamento.

Le classi fissate in questo decreto sono 41 e sono elencate negli allegati al decreto. Non è un numero talmente basso da costringere a fissare obiettivi formativi qualificanti troppo generici, ma si tratta comunque di un numero abbastanza limitato rispetto alla varietà dei corsi di laurea tradizionali già istituiti e alle elaborazioni fornite dagli appositi gruppi di lavoro istituiti dal Ministro per ogni area disciplinare, di cui peraltro sono state rispettate le indicazioni sui contenuti culturali. Pertanto alcune delle lauree attuali e molte delle future, pur continuando a mantenere la loro specificità, verranno a far parte della medesima classe. Tenuto conto che coloro che possiedono una laurea facente parte di una determinata classe non possono essere discriminati, nell’accesso ai pubblici concorsi o alle professioni, rispetto agli altri laureati della medesima classe (qualunque sia la denominazione del titolo conseguito) e tenuto anche conto della sempre maggiore flessibilità del mondo del lavoro, si è evitato di moltiplicare le classi in base a contenuti molto settoriali cui corrisponderebbero ridotte opportunità di occupazione.

Nulla impedisce peraltro agli atenei di offrire agli studenti più corsi di laurea (e curricula di questi) della medesima classe, che diano una preparazione fortemente orientata alla professionalità (come nell'esperienza degli attuali diplomi universitari), oppure fortemente orientata ad una solida formazione di base aperta a successivi affinamenti (anche, eventualmente, con finalità di formazione di eccellenza), oppure con una qualunque formula intermedia tra queste, tenendo presente che, in ogni caso, deve essere garantita al laureato sia un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali che l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali.

Vale anche la pena precisare che l’equivalenza del valore legale delle lauree della medesima classe non significa che l’ammissione ai concorsi pubblici e le condizioni di accesso alle professioni regolamentate non possano prevedere, in qualche caso, il possesso di specifiche competenze oltre al titolo di studio di una certa classe, come del resto succede già oggi con la prescrizione del superamento di determinati esami. E’ certo comunque che, come del resto prevedono le leggi n. 4/1999 e n. 370/1999, è urgente una rivisitazione organica di tutto il tema degli accessi al pubblico impiego e agli ordini professionali, in connessione con la nuova architettura degli studi universitari italiani.

Le classi insomma, insieme ai crediti, sono il fondamento stesso dell’ampia flessibilità cui vuole essere improntato l’intero nuovo sistema. Una flessibilità dell’offerta formativa che permetta alle università di differenziarsi tra loro e, all’interno di ciascuna, di differenziare i vari corsi di laurea e i diversi curricula di ogni corso di laurea, per rispondere meglio e più prontamente alle mutevoli esigenze che provengono dalla cultura e dalla ricerca universitaria, dal mondo del lavoro, dalla domanda stessa di formazione da parte degli studenti.

Una volta chiarita la natura e il significato delle classi, può ora essere analizzata la forma con cui gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili di ogni classe sono stati determinati negli allegati al decreto. Per maggior chiarezza, si premette però una breve introduzione della problematica tecnica dei crediti formativi universitari.

I CREDITI FORMATIVI UNIVERSITARI

I crediti formativi universitari rappresentano l’unità di misura del lavoro richiesto ad uno studente per ogni attività formativa svolta per conseguire un titolo di studio universitario. Il lavoro di un anno corrisponde convenzionalmente a 60 crediti. Per l’attività formativa tipica che è il corso di insegnamento, cui segue un esame che valuta la qualità e quantità dell’apprendimento del singolo studente, il lavoro formativo svolto dallo studente consiste naturalmente nelle ore di lezione, di esercitazione, di laboratorio, di seminario, etc. richieste dal corso di insegnamento, cui vanno anche aggiunte le ore di studio personale, o comunque di impegno individuale non formalizzato, per completare la formazione richiesta per il superamento dell’esame. Per le altre attività formative (tesi, progetti, tirocini, conoscenza della lingua straniera, avviamento all’uso degli strumenti informatici di produttività personale, addestramento alle abilità comunicative o relazionali e al lavoro di gruppo, etc.) la misura dei crediti viene effettuata in modo simile, calcolando le ore di lavoro a carico dello studente.

Il presente decreto fissa solo i valori minimi dei crediti da attribuirsi ad ogni tipologia di attività formativa e, in qualche caso, a ciascun ambito disciplinare della tipologia, per un totale che non può superare 120 crediti, cioè i due terzi dell’intero percorso formativo del corso di laurea. E’ responsabilità degli ordinamenti didattici dei corsi di laurea - che a loro volta si articolano a cascata nei regolamenti didattici di ateneo per gli aspetti generali e nei regolamenti didattici dei corsi di laurea per gli aspetti organizzativi e specifici - fissare in modo via via più preciso i dettagli dei curricula di ogni corso di laurea, elencando tutte le attività formative richieste per il conseguimento del titolo e il relativo numero di crediti fino al totale di 180, con l’unico limite del rispetto dei valori minimi indicati dal decreto per ciascuna tipologia di attività formativa e, eventualmente, per ciascun ambito disciplinare, nonché del raggiungimento degli obiettivi formativi qualificanti della classe.

Il regolamento sull’autonomia didattica associa ad ogni credito un valore in ore di lavoro pari a 25 ore e quindi a 1500 ore di lavoro annue. E’ ammessa la scelta di un valore diverso, purché motivata e comunque muovendosi entro una fascia massima di oscillazione del 20% (quindi tra 20 e 30 ore per credito, ovvero tra 1200 e 1800 ore annue). I gruppi di lavoro per area disciplinare hanno suggerito, oltre al valore 25, anche i valori 27 o 30, ma senza alcuna precisa motivazione. Tenuto conto che il valore 25 corrisponde ad un impegno notevole di lavoro settimanale per uno studente pari a 31,25 ore per 48 settimane (tutto l’anno meno un mese di vacanza dallo studio), l’articolo 3 del decreto assegna, in prima applicazione, il valore di 25 ore ad ogni credito per ogni classe.

L’impegno settimanale indicato mostra che questa scelta è tutt’altro che lassista. Offre inoltre il vantaggio di rendere possibile di dedicare ulteriori ore all’attività formativa sia agli studenti che vogliano impegnarsi di più rispetto alla media (per abbreviare il corso degli studi, per anticipare crediti formativi utili nel prosieguo della carriera, per migliorare la qualità del proprio apprendimento, etc.), sia agli studenti che abbiano bisogno di qualche sforzo aggiuntivo di recupero perché in ritardo rispetto ai tempi medi di apprendimento, in modo da facilitare l’obiettivo strategico generale di rendere la durata reale degli studi corrispondente alla durata legale per la generalità degli studenti che si impegnano adeguatamente.

E’ utile tener presente che il regolamento sull’autonomia didattica prevede che almeno la metà dell’impegno di lavoro complessivo di uno studente sia riservata allo studio personale e alle altre attività individuali. Perciò, nei casi in cui le università riservino precisamente il 50% del tempo di lavoro dello studente alle ore di studio personale, ogni studente sarà impegnato in attività di lezione o comunque organizzate dalle università per 750 ore l’anno, il che corrisponde a ben 28,85 ore settimanali per 26 settimane l’anno. Il valore di 26 settimane annue di lezione è quasi insuperabile, tenendo conto dei periodi di esame e delle vacanze natalizie ed estive. Dunque il valore prescelto di 25 ore per credito risponde anche alla necessità di non sovraccaricare lo studente durante le settimane di lezione.

 

I PROSPETTI DELLE CLASSI

Tornando all’illustrazione degli allegati al decreto, si deve notare che ad ogni classe corrisponde un prospetto, intestato con la denominazione della classe (che, lo si ripete, non vincola in alcun modo le denominazioni che i corsi di laurea della classe assumeranno nelle singole università) e articolato in due parti: la prima contiene in forma descrittiva gli obiettivi formativi qualificanti della classe; la seconda contiene lo schema delle attività formative fissate come indispensabili per il conseguimento di quegli obiettivi formativi.

Gli obiettivi formativi indicano le competenze e le abilità che caratterizzano il profilo culturale e professionale del laureato. Quindi gli obiettivi formativi qualificanti di una classe sono destinati a cogliere in modo sintetico le figure culturali e professionali che i corsi di laurea della classe devono formare, garantendo comunque l’obiettivo di assicurare al laureato sia un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, sia l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali. Come già si è rilevato, nella scelta delle università relativa ai propri corsi di laurea, il dosaggio tra questi due obiettivi potrà variare entro un ampio ventaglio di opzioni.

Più complessa è l’analisi tecnica dei prospetti delle attività formative. Secondo quanto prescritto dal regolamento sull’autonomia didattica, le attività formative indispensabili di ogni classe sono raggruppate in sei tipologie:

  1. attività formative di base;
  2. attività formative caratterizzanti;
  3. attività formative affini o integrative;
  4. attività formative a scelta dello studente;
  5. attività formative per la prova finale e per la lingua straniera;
  6. attività formative per le ulteriori competenze linguistiche, per le abilità informatiche e relazionali, per i tirocini, etc.

Per quanto riguarda i primi tre tipi (di base, caratterizzanti, affini o integrative), le corrispondenti attività formative sono individuate mediante l’elencazione di uno o più ambiti disciplinari e, per ciascuno di questi, del numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici di ateneo devono riservare alle attività formative di quell’ambito disciplinare. Un ambito disciplinare è un insieme di settori scientifico-disciplinari culturalmente e professionalmente affini ed è dunque individuato, nei prospetti, da un titolo e da un elenco di (almeno due) settori scientifico-disciplinari.

Ad esempio, l’attività formativa caratterizzante indispensabile per i corsi di laurea di una data classe può essere rappresentata da un minimo di N crediti in un ambito A e di M crediti in un ambito B, essendo ciascuno dei due ambiti individuato da un certo numero di settori scientifico-disciplinari affini. In questo caso tutti gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea della classe presso i vari atenei dovranno prevedere che lo studente debba superare le prove di verifica del profitto per N crediti in discipline facenti capo ai settori corrispondenti all’ambito A e per M crediti in discipline facenti capo ai settori corrispondenti all’ambito B.

Il numero (minimo) di crediti fissato in ogni allegato per ciascuna delle tre tipologie delle attività formative di base, caratterizzanti e affini o integrative non può essere minore di 18 ma la somma dei tre valori non può superare 90, il che in particolare implica che gli allegati non vincolano più di metà del curriculum di studi disciplinari di ogni studente.

In molti allegati non viene indicato il numero dei crediti minimo per ogni ambito, ma solo il numero minimo di crediti per ogni tipologia di attività formativa. In questo caso viene concessa agli atenei un’autonomia ancora maggiore perché deve intendersi (come specificato nell’articolo 2 del decreto) che ogni ordinamento didattico dovrà prevedere qualche attività formativa (a rigore, anche solo 1 credito) in ciascun ambito indicato nel prospetto, rispettando comunque l’obbligo che la somma dei crediti destinati ai vari ambiti superi il valore minimo indicato nel prospetto per la tipologia relativa.

Per le altre tre tipologie di attività formative (a scelta dello studente; per la prova finale e per la lingua straniera; attività formative per le ulteriori competenze linguistiche, per le abilità informatiche e relazionali, per i tirocini, etc.) i prospetti sono assai più semplici, limitandosi nella maggior parte dei casi ad indicare il numero di crediti minimi per ciascuna tipologia, che non può comunque essere inferiore a 9 e la cui somma non può superare 36. In qualche caso, in particolare quando la conoscenza di una lingua straniera non fa già parte delle attività formative caratterizzanti della classe, sono stati specificati valori minimi di crediti separati per la prova finale e per la lingua straniera.

Se l’indicazione contenuta nei prospetti delle tipologie, degli ambiti e dei relativi crediti è puramente elencatoria e aritmetica, quindi non permette distinzioni all’interno dell’elenco dei settori di ogni ambito né tantomeno all’interno delle discipline di ogni settore, qualche condizione più stringente appare negli obiettivi formativi qualificanti. Ad esempio, nelle classi che richiedono una attività sperimentale, il vincolo perché la formazione non sia solo teorica ma abbia un’adeguata parte sperimentale non riesce ad apparire nei prospetti delle attività formative (poiché i corsi di laboratorio fanno parte dello stesso settore dei corsi teorici) ma viene imposto dall’adeguata formulazione degli obiettivi formativi qualificanti della classe.

A questo proposito e a conclusione di questa relazione può essere utile sottolineare che la coerenza degli ordinamenti didattici dei corsi di laurea con i requisiti delle corrispondenti classi come specificati dal presente decreto sarà accertata dal MURST, sentito il CUN, al momento dell’approvazione del regolamento didattico di ateneo, che contiene al suo interno tutti gli ordinamenti dei corsi di laurea istituiti dall’ateneo. Rimane invece completamente affidata all’autonomia degli atenei ogni decisione riguardante gli aspetti organizzativi di un corso di laurea (che possono variare con frequenza) e, in particolare, ogni decisione riguardante gli insegnamenti da attivare nell’ambito dei settori scientifico-disciplinari indicati dall’ordinamento didattico, fatta salva naturalmente, come prescritto anche dall’articolo 4 del decreto, la funzionalità agli obiettivi formativi specifici indicati dall’ordinamento didattico del corso di laurea. Tale prescrizione circa la funzionalità costituisce un elemento fondamentale nella configurazione della nuova architettura didattica e dei relativi ordinamenti, che devono essere focalizzati più sullo studente che sulle discipline.

Note
(1) Regolamento sull'autonomia didattica (RAU), adottato con D.M. 3 novembre 1999, art. 4, c. 1; art. 11, c. 3, lett. a)
(2) RAU, art. 11, c. 1
(3) RAU, art. 4, c. 1
(4) RAU, art. 11, c. 3, lett. a) e c)
(5) RAU, art. 4, c. 3
(6) RAU, art. 1, c. 1, lett. p)
(7) RAU, art. 11, c. 6
(7) RAU, art. 3, c. 4
(9) RAU, art. 5, c. 1
(10) RAU, art. 5, c. 2
(11) RAU, art. 10, c. 2
(12) RAU, art. 10, c. 2, lett. a)
(13) RAU, art. 11, c. 1
(13) RAU, art. 12, c. 1-2
(15) RAU, art. 7, c. 1
(16) RAU, art. 1, c. 2
(17) RAU, art. 5, c. 1
(18) RAU, art. 5, c. 1
(19) RAU, art. 5, c. 3
(20) RAU, art. 1, c. 1, lett. m)
(21) RAU, art. 3, c. 4
(22) RAU, art. 10, c. 1
(23) RAU, art. 10, c. 1-2
(24) RAU, art. 1, c. 1, lett. i)
(25) RAU, art. 10, c. 2, lett. c)
(26) RAU, art. 10, c. 2, lett. b)
(27) RAU, art. 10, c. 2, lett. c)
(28) RAU, art. 10, c. 2, lett. b)
(29) Si segnala a riguardo che nel caso della matematica, fisica o chimica di base i prospetti indicano tutti i settori, rispettivamente MAT/01-09, FIS/01-08, CHIM/02-03-06-07, le cui declaratorie o i cui campi paradigmatici contengono l'affermazione che tutti i professori di quel settore sono in grado di impartire insegnamenti di base nella loro area disciplinare. L'indicazione del settore, in questi casi, non costituisce dunque un riferimento allo specifico campo disciplinare cui il settore è intitolato.
(30) RAU, art. 11, c. 1
(31) RAU, art. 11, c. 3, lett. c)