Prot. n. 422
ALL’ON.MINISTRO
SEDE
Spedito il 13.05.99
Parere generale n. 29
OGGETTO: Parere sullo schema
di regolamento in materia di autonomia didattica degli Atenei (art.
17 comma 95 l. 15.5.97 n. 127 e succ. Modificazioni e integrazioni).
Adunanza del 6.5.99
IL CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE
Vista la lettera ministeriale (Ufficio Legislativo) n. 545 del 19.3.99
con la quale è stato chiesto il parere sullo schema di regolamento
in materia di autonomia didattica degli atenei;
Vista la legge 15/5/97, n. 127;
Vista la legge 14 gennaio 1999, n. 4;
Esaminato lo schema di Regolamento suddetto;
Sentiti i Relatori;
ESPRIME AL SIGNOR MINISTRO IL PARERE SEGUENTE.
Il CUN giudica positivamente il procedere del disegno riformatore avviato
con l’intesa della Sorbona e l'attuarsi, sia pure graduale, dell'obiettivo
della armonizzazione dei percorsi universitari europei. Sottolinea l’opportunità
che i prossimi appuntamenti internazionali segnino più rilevanti
progressi e più puntuali accordi e che le scelte dei Paesi aderenti
vengano compiute in un quadro di reciproca compatibilità.
Il CUN assume come criterio fondamentale di valutazione del decreto la
sua capacità di dare concretezza ed efficacia all’autonomia, principio
fondante del nuovo processo riformatore in atto, inserito in una logica
di sistema universitario nazionale in grado di garantire razionalità
e qualità dell’attività scientifica e didattica.
Il CUN sottolinea innanzitutto l’anomalia che le bozze dei decreti d’area
siano in una fase avanzata di elaborazione senza che siano stati ancora
acquisiti i pareri di legge sul decreto che ne contiene i principi ispiratori
e i regolamenti unificanti, con il rischio che i decreti d’area di fatto
precostituiscano le condizioni alla redazione del decreto base. Pertanto
ritiene assolutamente indispensabile che i decreti d’area siano riconsiderati
in uno stretto intreccio con la redazione definitiva del decreto quadro.
Il CUN, comunque, si impegna ad esprimere una valutazione attenta e puntuale
su ciascun decreto in modo da verificare e garantire la necessaria coerenza
di fondo tra gli stessi e la loro corrispondenza con lo schema di regolamento
generale.
Il CUN, nella propria azione e nell'espressione dei pareri di legge e non,
ha assunto alcuni criteri ispiratori per la valutazione dell’iter riformatore:
1 – ridurre l’età media dell’ingresso nel mondo del lavoro da parte
dei giovani in possesso dei titoli universitari;
2 – fornire titoli corrispondenti alle tipologie di formazione richieste
dal mondo del lavoro, e in particolare formare professionalità che
richiedono competenze meno complesse di quelle attualmente previste dalle
lauree di durata quadriennale o quinquennale;
3 – istituire un sistema di formazione periodica e ricorrente di livello
superiore che corrisponda agli avanzamenti dei saperi e delle competenze;
4 – dare vita a un sistema di crediti riconosciuti a livello europeo e
garantiti da criteri omogenei di certificazione.
L’articolazione delle diverse attività formative previste dall’articolo
10 appare troppo rigidamente definita. Il CUN ritiene che l’obiettivo prioritario
dei decreti d’area debba essere quello di determinare con sicurezza i contenuti
minimi in grado di definire il conseguimento degli obiettivi formativi
caratterizzanti e distintivi della classe e la loro valenza nazionale.
Per questi motivi reputa che la separazione fra le differenti voci e l’attribuzione
di percentuali rigidamente definite ai punti a, b, c dell’articolo 10 si
configurano come uno strumento eccessivamente obbligante e perciò
artificioso e ambiguo. E' pertanto opportuno che le tre voci, sia pure
distintamente elencate e con indicazioni di massima relativamente alle
percentuali, vengano considerate unitariamente, in modo da lasciare ai
decreti d’area o all’autonomia delle sedi la responsabilità dell'articolazione
dei percorsi formativi, individuando e calibrando i contenuti che meglio
rispondono alle esigenze di fondo espresse dai tre obiettivi della formazione
di base e propedeutica, della formazione caratterizzante e della formazione
complementare o affine.
I medesimi rilievi devo essere avanzati anche nei confronti dei punti d,
e, f: anche qui infatti vengono delineati in maniera rigida qualificazioni
di carattere formativo-professionale che risultano indistinte e poco significative.
Queste finalità possono essere più opportunamente articolate
dalle autonomie didattiche delle sedi in modo da rispondere più
puntualmente all'esigenza del territorio e del mercato del lavoro. Si propone
pertanto il loro accorpamento, pur conservando la loro distinzione e una
indicazione di massima delle percentuali.
Il CUN ritiene necessario che nel decreto vengano fornite ulteriori precisazioni
riguardo alla struttura didattica innovativa definita "classe di appartenenza".
Tale definizione, infatti, assume significativo rilievo in ordine all’individuazione
dei percorsi formativi e in relazione alla articolazione didattica e organizzativa
degli atenei (vedi corsi di studio e facoltà). Con classe di appartenenza
sembra infatti potersi intendere un insieme di futuri corsi di studio,
dei quali autonomia e omogeneità, anche ai soli fini legali, non
sembrano sufficientemente garantite. Potrebbe perciò accadere che
corsi appartenenti a classi diverse risultino più simili tra di
loro rispetto a quelli delle medesime classi.
E' indispensabile inoltre introdurre nel decreto opportune precisazioni
sui rapporti che dovranno intercorrere tra classe e strutture didattiche
(facoltà e corsi di studio); in questo modo sarà possibile
evitare interpretazioni contraddittorie o sovrapposizioni di compiti.
Inoltre la variazione possibile dei nomi dei corsi di studio prevista dall'articolo
4 e attribuita alle sedi, potrebbe avere qualche effetto di confusione,
giacché è presumibile che si farà ricorso nell’uso
comune a questi ultimi piuttosto che alle classi di appartenenza individuate
dai decreti d’area.
In conformità con il primo dei criteri sopra menzionati, il primo
livello di laurea, fatti salvi i percorsi didattici regolati da diverse
disposizioni previste da specifiche norme di legge o da direttive dell’Unione
Europea, deve rispondere alla necessità di consentire ai giovani
di accedere al mercato del lavoro prima di quanto avvenga attualmente.
Tuttavia questo sarà possibile solo se la laurea di I livello avrà
effettivamente una configurazione professionale appropriata. Una inadeguata
configurazione del titolo triennale imporrà il conseguimento del
titolo di II livello come strumento obbligato per acquisire una spendibilità
reale nel mondo del lavoro. La conseguenza grave è che contrariamente
ai fini previsti, in tali casi si giungerebbe al paradosso di un allungamento
del periodo di studio.
Si deve ancora osservare che, affinché i titoli di I livello abbiano
concretamente valore, è necessario che siano tempestivamente definite
le procedure di accreditamento a scala nazionale ed europea e che siano
sviluppati i necessari raccordi col mondo del lavoro e delle attività
produttive.
Ulteriore condizione per conseguire una sensibile riduzione dell’età
media dei giovani laureati che entrano nelle attività produttive
è una consistente contrazione, se non annullamento, dell’attuale
divario esistente tra durata legale e durata effettiva degli studi. Oltre
ad un consistente impegno delle Università sul piano del tutorato,
dei corsi di recupero, della carta dei servizi, la realizzazione di questo
primario obiettivo comporta l'attivazione di adeguate procedure di orientamento
ed un urgente riordino dei cicli e un intervento di riforma che coinvolga
la scuola primaria e secondaria. Tali indispensabili interventi, che avrebbero
dovuto precedere - o almeno procedere di pari passo - con la riforma dell’istruzione
universitaria, dovranno costituire l'effettiva garanzia contro il pericolo
che il I livello universitario venga ad essere di fatto un prolungamento
della formazione scolastica. In tale modo infatti verrebbero meno le caratteristiche
di formazione scientifica superiore conseguenti alla compresenza di attività
didattica e di ricerca propria della formazione universitaria. Questa esigenza
è particolarmente preoccupante e avvertita in talune aree, per le
quali gli sbocchi professionali previsti dalla laurea di I livello risultano
al momento più problematici.
In questa prospettiva, nel decreto risultano scarsamente definiti i nessi
che intercorrono tra formazione universitaria e formazione ricorrente e
assenti i raccordi con il sistema della formazione a livello post-secondario
(FIS). Occorre insieme definire con maggiore chiarezza le caratteristiche
dei corsi successivi al titolo di II livello (scuole di specializzazione
e soprattutto dottorato di ricerca). In particolare deve essere più
puntualmente definita la normativa sulle scuole di specializzazione, chiarendo
in maniera non equivoca il loro ruolo, in quali contesti possano essere
conservate o istituite, e prevedendo per tutte – eccezion fatta per quelle
normate a livello europeo – uguali requisiti, modalità di accesso
e uguale durata.
E’ opportuno inoltre utilizzare il canale del dottorato di ricerca in modo
che esso risponda effettivamente anche alle esigenze di una formazione
professionalizzante di alto livello, oltre che alla finalità tradizionale
di formazione alla ricerca scientifica. Per questo motivo è indispensabile
svincolare il dottorato di ricerca dalle attuali prescrizioni del numero
chiuso e dal finanziamento di percentuali precostituite di borse di studio.
Il CUN ritiene infine di segnalare l’opportunità che venga ripreso
il tema, già sviluppato dal documento Martinotti, del rapporto "contrattuale"
tra studenti e atenei, in modo da tenere conto della realtà effettiva
delle diverse tipologie di studenti (frequentanti, non frequentanti, a
tempo parziale). Nel contempo deve essere ribadito l’impegno di ciascun
ateneo di fornire la propria carta dell’offerta formativa e dei servizi
complessivi in stretto raccordo con tutti gli enti a cui competono responsabilità
istituzionali in materia.
Il CUN ha già sottolineato in precedenti pareri la necessità
che una riforma così radicale e impegnativa del sistema di formazione
universitaria trovi adeguato supporto in una puntuale volontà politica,
impegnata a ridurre fino ad una totale eliminazione, il divario esistente
tra le risorse destinate al sistema ricerca/formazione superiore nel nostro
paese e quelle degli altri paesi avanzati. Solo un rapido adeguamento delle
risorse strutturali e infrastrutturali delle Università Italiane
potrà, infatti, consentire una svolta effettiva nella gestione e
organizzazione degli studi universitari.
Passando più specificatamente all'esame di merito dei singoli articoli,
il CUN propone le seguenti modifiche:
Art. 1 comma 1d: aggiungere dopo la parola "specializzazione"
le parole "di dottorato di ricerca".
Art. 1 comma 1e: aggiungere dopo la parola "specializzazione"
le parole "di dottorato di ricerca".
Art. 3 commi 1 e 2: per evitare pericolose confusioni tra dottorato e dottorato
di ricerca si ritiene necessario utilizzare definizioni quali "laurea
di I livello" e "laurea di II livello", che non comportano
ambiguità.
Art.3 comma 3: anziché "specialista", chi sia in possesso
del titolo di specializzazione va meglio definito come "specializzato",
dal momento che nell’uso corrente il termina "specialista" è
utilizzato in maniera esclusiva in area medica.
Art. 3 comma 5: sostituire le parole "commi 4 e 5" con le parole
"comma 5".
Art. 5 comma 4: sostituire la parola "alla metà" con la
frase "ai due terzi".
Art. 5: comma 5: al testo attuale va aggiunto un riferimemto ad una tabella
di conversione della valutazione del profitto in un sistema di accreditamento
accettato a livello europeo, tabella che e’ necessario venga predisposta.
Art. 5: comma 7: l’obbligo di verifica dei crediti acquisiti, discendendo
dal rischio della obsolescenza dei contenuti professionali e culturali,
comporterebbe anche la necessità di verifica periodica dei titoli:
dal momento che questa ipotesi sembra difficilmente proponibile, si segnala
l’inopportunità di introdurre in maniera surrettizia una norma per
la riduzione degli studenti fuori corso, che, se ritenuta utile o necessaria,
va introdotto in maniera esplicita e coerentemente motivata.
Art. 5: comma 8: si parla del riconoscimento di crediti formativi conseguiti
" in attività formative di livello post secondario alla cui
progettazione e realizzazione l’Università abbia concorso".
Questo comma mette in luce le ambiguità sottese alla costituzione
e soprattutto alla organizzazione e gestione del FIS e sostanzialmente
rischia di vanificare ogni valenza formativa parallela rispetto a quella
universitaria, spingendo gli utenti del FIS a privilegiare i corsi nei
quali l’Università abbia concorso alla loro formulazione e proposta.
Occorre pertanto o riaffermare il carattere parallelo di tali corsi senza
riconoscimento di crediti, oppure ammettere francamente l’accreditamento
indipendentemente dal concorso dell’Università.
Art. 6: comma 7: la normativa, pur ispirata dalla buona intenzione di evitare
il fuori corso, mette in crisi la didattica del I anno del II livello,
aggravando la situazione negli anni successivi. Nel caso permanga l'articolo
nell'attuale stesura, dopo la frase "diploma di laurea" andrebbe
aggiunta la frase "diploma di dottorato (laurea di II livello)".
Art. 7: aggiungere un comma 4 con la frase:"I regolamenti d’ateneo
determinano il numero di crediti che lo studente deve avere acquisito per
conseguire il diploma di dottore di ricerca".
Art. 8: aggiungere un comma 3 del seguente tenore: "La durata standard
dei corsi di dottorato di ricerca è di tre anni".
Art. 9: aggiungere un comma 5 del seguente tenore: "all’atto dell’istituzione
di un corso di studio, l’Università dovrà provvedere, attraverso
i Nuclei interni di valutazione, all’accertamento dell’esistenza di risorse
scientifiche, di personale docente e tecnico-amministrativo, di attrezzature
(laboratori, biblioteche, strutture informatiche) e di risorse finanziarie
in grado di sostenerne con serietà e dignità l'attività
didattica e di ricerca".
Art. 10: si vedano le osservazioni formulate nella parte generale del documento
in merito alla opportunità di considerare unitariamente le voci
a, b, c e d, e, f .
Manca chiarezza in ordine al concetto di "ambito disciplinare"
adottato in riferimento ai punti a, b, c. Si tratta di concetto non ancora
utilizzato nel decreto e non è chiaro a che cosa faccia riferimento
e in che cosa si differenzia rispetto al "settore scientifico-disciplinare".
Art. 11 comma 9: chiarire a quale soggetto compete la certificazione del
profilo formativo rispondente alle esigenze del mondo del lavoro.
Art. 12 comma 1: aggiungere dopo le parole "nel rispetto della libertà
di insegnamento" le parole "e dei diritti e doveri dei docenti
e degli studenti".
Art. 12 comma 3: dal momento che, per comune esperienza, è possibile
non disporre della maggioranza degli studenti eletti negli organismi, per
la scarsa presenza alle riunioni dei consigli, si potrebbe prevedere che
le deliberazioni vadano assunte "con il parere favorevole degli studenti
presenti ovvero con quello di altri organismi di rappresentanza studentesca
previsti dagli statuti".
Art. 13: comma 3: è opportuno eliminare questo comma, perché
contraddice la normativa generale prevista dall’art. 5 comma 6, in cui
opportunamente si dichiara che il corso che accoglie stabilisce quali sono
i crediti da riconoscere.
IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE