prof. Antonio Daddabbo
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on. Silvio Berlusconi - Presidente del Consiglio dei Ministri
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on. Mariastella Gelmini - Ministro Istruzione Università e Ricerca
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oggetto: lezioni universitarie in piazza.

Desidero esprimere il mio apprezzamento per la linea ferma adottata nella Scuola.
Sono un docente del Politecnico di Bari in pensione dal 1° novembre 2008 e, quindi, ritengo di poter esprimere un giudizio dall’esterno e al di sopra delle parti.
La “radiografia” della mia attività didattica è possibile con la consultazione del sito Web, all’indirizzo http://rilievo.stereofot.it e, dal curriculum vitae, è possibile conoscere anche la mia attività di rappresentante degli studenti ( http://rilievo.stereofot.it/responsabile/formazione/).

In mezzo secolo di vita universitaria, ho imparato ad assimilare gli studenti ad un torrente, particolarmente in piena nel periodo autunnale, che i docenti hanno il dovere di “incanalare” nella direzione giusta, per raggiungere una scopo utile. Avere la presunzione di creare uno sbarramento (o deviarne il corso a piacimento) significa essere irresponsabili e causare danni gravissimi.
Credo che il quadro dell’università italiana venga perfettamente evidenziato da quei docenti che hanno svolto le lezioni in piazza: avere la pretesa di fare una lezione di fisica con “gesso e lavagna” spiega perfettamente perché la nostra Università figura agli ultimi posti!

A mio avviso, i problemi dell’Università si sarebbero risolti semplicemente con l’applicazione “rigida” del sistema dei crediti, introdotti dalla legge n.341/90. L’errore commesso è stato di consentirne un’applicazione graduale, poi male interpretata e persa nel tempo.

Il credito formativo ( http://rilievo.stereofot.it/crediti/) prevede un lavoro e da questo non può che derivare un “prodotto”, che si presuppone debba servire da verifica delle capacità dello studente di entrare nel mondo della professione.
La pubblicazione di questo prodotto (indispensabile per il rapporto osmotico con il territorio) avrebbe creato “automaticamente” una selezione severa sia tra i docenti che tra gli stessi studenti. Si sarebbe ritornati, in pratica, alla didattica della Scuola-bottega, in cui il Maestro insegnava con l’esempio, lavorando con i discepoli per garantire quella “sopravvivenza” (sia della scuola che della bottega), affidata alla qualità del prodotto ed alle leggi del mercato. Tra i ricordi più belli, conservo la frase di un tesista: “professore, io trovo la forza di procedere nella ricerca, perché quando vengo in laboratorio vedo che mi ha preceduto”. Ogni studente va trattato alla stregua di un aquilone, occorre tenere il filo sufficientemente teso, per non farlo cadere, ma sufficientemente lento per farlo volare sempre più in alto.

In tutta la mia carriera sono stato coinvolto una sola volta in commissione di concorso (al Politecnico di Milano) e, a conferma di quanto sopra scritto, ho avuto modo di constatare che, a causa di una semplice prova pratica sul computer, su dieci candidati solo tre si sono presentati!

Mi permetto di far riferimento alla mia didattica, impostata sul modello della scuola bottega, che è basata su pochi punti essenziali:

A fine corso, per un confronto con la realtà esterna, il “vero” esame era una mostra o una convegno (nazionale o internazionale) in cui venivano presentati i lavori ed i cui atti sono consultabili sul sito del laboratorio ( http://rilievo.stereofot.it/convegni/).
Con l’arrivo di Internet, la produzione studentesca è stata messa in rete dagli stessi studenti e, a partire dal 1996, è possibile trovare sul sito (dotato anche di motore di ricerca locale) tutti i lavori svolti, con i relativi curriculum vitae: di fatto abbiamo anticipato l’anagrafe studentesca e creato, contemporaneamente, un catalogo on-line dei Beni Culturali (http://rilievo.stereofot.it/studenti/)

Credo che “il cavallo vincente” della didattica moderna sia proprio Internet, infatti:

Dulcis in fundo, la ricerca.
In primo luogo bisognerebbe ricordare a tutti che la “ricerca universitaria” è ben diversa dalla “Ricerca Scientifica e Tecnologica” del Ministero.
La Ricerca Universitaria è finalizzata all’aggiornamento della didattica e i risultati non solo vanno pubblicati, ma devono essere la base di partenza delle lezioni. Personalmente ho sempre coinvolto gli studenti nella mia attività di ricerca, anche se negli anni ‘70 mi era vietato scriverlo sul modulo di richiesta.

Nel 1998, per la prima e unica volta, sono stato coinvolto in una “Ricerca di interesse nazionale” (http://rilievo.stereofot.it/ricerca/rilievo/) ed ho proposto (perché era il minimo indispensabile per il coordinamento della stessa) la messa in rete, work in progress, dei risultati raggiunti da parte di ogni Unità. La mia richiesta è apparsa quasi una bestemmia, perché tutto si è ridotto ad una spartizione di fondi, senza che sia stato possibile conoscere i risultati. Considerato che l’intera somma stanziata era di L.847.000.000 e con la somma di L.3.876.150 utilizzata per la mia ricerca (http://serracapriola.net/ricerca/consuntivo.html), è stato avviato il G.I.S. del Comune di Serracapriola (http//serracapriola.net), l’intera ricerca avrebbe dovuto risolvere almeno il problema del censimento dei Beni Architettonici in Italia.

Mi permetto di segnalare il sito di Serracapriola, non tanto per l’impostazione o per i contenuti, ma perché rappresenta un esempio di coinvolgimento della popolazione nella lettura del territorio (il fine che dovrebbe avere l’Università della Terza Età).
Nel 1996, quando il mio entusiasmo per Internet era alle stelle, la mia proposta di avviare un sito per l’intera Facoltà (http://rilievo.stereofot.it/tutorato/) fu definita fantascientifica e, comunque un’iniziativa “personale”. Recentemente solo per tre corsi di laurea sono stati spesi trentamila euro per una “scatola vuota”, affidando l’incarico a ditte esterne e questo è un esempio che spiega perché i finanziamenti alle Università sono sempre insufficienti.

Per concludere, l’Università dovrebbe prendere atto che sono finiti i tempi delle “parole”. Una volta un professore poteva tranquillamente affermare che “l’asino vola”, poi tutti gli studenti ripetevano l’affermazione all’esame e si laureavano: situazione, a dir poco, più che comoda per i docenti e, purtroppo, per i discenti.
Oggi Internet non solo è in grado di smentire l’affermazione e mostrare, in tempo reale, le foto di tutte le specie di asini esistenti, ma può trasmettere quanto detto in tutto il mondo.
Per condividere questa tesi occorrerebbe saper “leggere e scrivere” nei nuovi linguaggi, ma i professori universitari non intendono rientrare nella schiera degli analfabeti moderni. Essi parlano tranquillamente di linguaggio HML piuttosto che HTML (HyperText Markup Language) e non si rendono conto che la mancanza della “T” non solo dimostra la loro ignoranza, ma non consente il funzionamento della pagina Web.
Indubbiamente questa nuova situazione toglie il sonno a chi pretende di estendere il concetto di “privacy” all’ambiente “pubblico” di lavoro e qui ci sarebbe da dire “scagli la prima pietra chi riesce a fare sonni tranquilli”.
Occorrerebbe, con estrema umiltà, prendere esempio dalle formiche, ma oggi nessuno conosce la favola “la cicala e la formica”.

Bari, 29 ottobre 2008