a cura di Sorin Alexandrescu
Professore emerito a l’Universitá di Amsterdam
Professore associato a l’Universitá di Bucarest
Direttore del Centro di eccelenza per lo studio dell’immagine,
(Universitá di Bucarest).

Come comprendere l’immagine?
Un’immagine si può ovviamente misurare e anche analisare in sé ma la sua vera significazione appare soltanto grazie a numerose relazioni che essa trattiene con altre immagini dentro un certo sistema. Quanto rigoroso sia il sistema dipende dai vari criteri culturali e storichi. Se al inizio della semiotica visuale si credeva che le immagini sono codificate, o codificabili, nella (piu o meno) stessa manièra che le parole, oggi abbiamo compreso che la loro funzionalità é diversa. Se le parole sono dei segni nel senso che tutti gli soci di una communità che le conoscono possono utilisarle per produrre messaggi comprensibili, le immagini non possono essere prodotte e comprese nella comunità della stessa manièra. “L’immagine fa pensare con mezzi che non sono riconducibili a una combinatoria di segni” (Régis Debray: Vie et mort de l’image, Gallimard, 1992; Vita e morte dell’immagine, Milano, Il Castoro, 1999, p.42) perche noi non possiamo ”tagliare” (fr. découper) l’immagine nei pezzi componenti nel stesso preciso modo che “tagliamo” un testo in proposizioni, le proposizioni in parole e anche queste in (un piccolo numero di) tratti semantici o lettere del alfabeto. Dire che l’immagine è segno di qualcosa vuol dire piuttosto che l’immagine ci “fa segno” su qualcosa: “essa può e deve essere interpretata ma non può essere letta” (Debray, idem, p.50). Il francese introduce dunque una differenza radicale tra immagine e parola (testo).
Questa differenza può essere vista tuttavia come una gradazione, una sfumatura. Se l’immagine è figurativa e se essa rappresenta qualcosa di ricognoscibile - un paesaggio, per esempio – noi leggiamo l’immagine piu o meno come una descrizione testuale del paesaggio. Mi sembra possibile di parlare allora di una lettura sul livello denotativo, o referenziale, benche noi, mentre la facciamo, non la riconduciamo “a una combinatoria di segni”.
D’altra parte, bisogna di interpretare anche un testo, non soltanto un’immagine, perche ogni testo vuol dire piu di quello che lo dice letteralmente. Il livello conotativo del testo è dunque così complesso per il testo che per l’immagine.
Mi sembra che il problema si trova infatti altrove: l’immagine, come il testo, può essere visto, nella sua totalità, come un segno ma l’immagine, altrimenti dal testo, non può essere scomposto nei segni e nelle relazione sintatiche fra loro. Direi allora, con Nelson Goodman, che la spessore (density) del’immagine è maggiore della spessore del testo: “Nonlinguistic systems differ from languages, depiction from description, the representational from the verbal, paintings from poems, primarily through lack of differentiation, indeed through density and consequent total absence of articulation” (Languages of Art, Cambridge, Hackkett Publishing Company, 1976, p.226). Anche l’articulazione interna del’immagine è tuttavia relativa: una total absence è insolita. Nostra abitudine di leggere l’immagine occorre in conformità con la sua spessore: questa lettura rimane sempre piu globale che la lettura del testo. Il nostro approccio può essere piu attento ai detagli, alle relazioni fra loro, però esso non potra mai avvicinarsi à l’esattezza de l’analisi sintattica, semantica e pragmatica del testo.
Dato il fatto ovvio che sebbene nei alcuni linguaggi sia impossibile di individuare una relazione univoca fra il segno (visibile) e il suo siginificato (intelligibile), gli uomini riescono a communicare fra lor, alcuni semiotici concludono che nella communicazione funziona una “semiotica (piu) debbole”. Umberto Eco parla di una hipocodificazione che collega un frammento di testo con una “nebulosità” del senso (A Theory of Semiotics, Indiana University Press, 1976, p.184; vedi anche l’edizione italiana, capitoli 2.14.4 e 3.4.9). Questa relazione benchè sia vaga è utile nelle situazioni in quali il codice per la communicazione non esiste ancora, o non è ancora messo in funzione, come occorre in conversazioni con sconosciuti in paesi stranieri, o in interpretazioni e valutazioni estetiche; i participanti alla comunicazione cercano allora di trovare una manièra di intendersi senza codici comuni esatti. Una soluzione abbastanza simile è stata proposta da A.J.Greimas e i suoi allievi - Jean-Marie Floch, per esempio, quando interpreta appunto la fotografia - sulla forma di un “sistema semi-simbolica” che, altrimenti del sistema dei segni (relazioni univoci) e del sistema simbolico (un termine ha una diversità quasi infinita di significazioni), instaura una relazione di “conformità’ fra categorie dell’espressione e categorie del contenuto (Jean-Marie Floch: Les formes de l’empreinte, Pierre Fanlac, 1986, p.27).
Dato che il senso del’immagine, vale a dire la fotografia, è veramento piu sfuggente che il senso del testo, credo che proprio queste “semiotiche debole” siano molto utile nella sua interpretazione. Gli argomenti sono i seguenti: esse non rinunciano al valore di rappresentazione ma precisano peró che la significazione non si può ridurre à l’identificazione del referente; il senso non è conosciuto prima del’emèrgere del’immagine; questo senso non è stabile ma galleggia invece secondo gli interessi e l’universo mentale e culturale degli interpreti diversi. D’altra parte, questi approcci non renunciano a un certo carattero metodologico del’interpretazione benchè rimangano scettici col riguardo alla loro verità ultima.

Cosa è l’immagine? - Retorica della fotografia - La dimensione culturale