a cura di Sorin Alexandrescu
Professore emerito a l’Universitá di Amsterdam
Professore associato a l’Universitá di Bucarest
Direttore del Centro di eccelenza per lo studio dell’immagine,
(Universitá di Bucarest).

Cosa è l’immagine?
“Possiamo chiamare convenzionalmente immagine una rappresentazione concreta, sensibile (a titolo di riproduzione o copia) di un oggetto (modello referente), materiale (una sedia) o concettuale (un numero astratto), presente o assente dal punto di vista percettivo, e che intrattiene un tale legame col suo referente da poterlo rappresentare a tutti gli effetti e consentirne così il riconoscimento e l’identificazione tramite il pensiero.” (J.J.Wunenburger, Philosophie des images, PUF, 1997; Filosofia dell’immagine, Einaudi, 1999, p.5).

Questa definizione viene da un filosofo e, piu specialmente, da un filosofo della scuola di Bachelard e Gilbert Durand, per cui il problema il piu importante è quello del’imaginario umano, o di quello specifico a una certa cultura, che si nasconde e tuttavia si fa noto in un’immagine; questa immagine è per lui, in primo luogo, un simbolo o un mito. Come io sono un filosofo chi s’interessa nel’analisi di un immagine, prima di tutto, ai suoi valori plastici e cerca soltanto in secondo tempo i suoi possibili valori simbolichi, documentari e estetici, la mia indagine combina l’analisi formale anzi semiotica del’immagine con un’analisi simbolica. La definizione di Wunenburger mi sembra tuttavia abbastanza completa e credo che io potrò utilisarla per avviare il mio discorso e, spero, anche la nostra discussione, eccetto che Wunenburger non parla di immagini non-figurative, vale a dire le immagini che non rappresentano nulla, neppure delle immagini pluridimensionali nel senso della fotogrammetria.
Vorrei comunque proporre nel seguito alcuni punti di vista di un filosofo i quali, lo spero sempre, potrebbero essere interessanti per esperti in fotogrammetria. Questi punti potrebbero e dovrebbero essere allargati nella nostra discussione on-line.

L’immagine è dunque una rappresentazione sensibile - diversa da una descrizione testuale o da una formula matematica – sia di un oggetto concreto (una pittura del genero natura morta, per esempio) sia di un concetto (un’allegoria) e che rappresenta il suo referente sia nella sua presenza - si tratta allora di una percezione – sia nella sua assenza: nel ultimo caso noi lo ricognosciamo – il referente è allora intelligibile - e siamo in età di tenire un discorso su esso come esso fosse presente. Il termine “rappresentare” ha, la seconda volta, un senso (al inizio) giuridico che è utilizato anche nella semiotica: il rappresentante (presente, visibile) rappresenta davanti il giùdice (il lettore, il spetattore) – chi riconosce il protocollo di rappresentazione - il rappresentato (assente, invisibile) con almeno la stessa forza (giuridica, cognitiva, estetica, politica) che lo potrebbe fare il rappresentatto stesso. Dico “almeno” perche il rappresentante è, da un punto di vista, il sostituto del rappresentato e ha lo stesso potere di prendere una decisione come lui, ma il rappresentante è, da un altro punto di vista, anche un oggetto, o sogetto autonomo, dotato de la sua propria materialità e/o conoscenza e chi, nel secondo caso, può difendere il rappresentato certamento meglio che lo farebbe lui stesso. La discussione sul’immagine (figurativa) ha luogo dunque nel quadro di una teoria piu generale dalla rappresentazione.
Nello stesso quadro funziona anche la semiotica. Saussure, che ha avuto una grande influenza nei tutti paesi europei, definisce il segno come una relazione fra il significante, o l’espressione, e il significato, o il contenuto. La semiotica di Peirce utilizza nei Stati-Uniti per il segno una definizione molto simile benché astratta e senza specificare che il segno sia sensibile: "A sign, or representamen, is something which stands to somebody for something in some respect or capacity”. Quello che io designo “punto di vista”, Peirce designa “(some) respect”, “capacity” o “ground”. Se il punto di vista cambia, anche la fonzione rappresentativa del’immagine, o del segno, può dunque cambiare, o provarsi inconcludente anzi sbagliata. In questo caso io dovrebbo, in un processo, per esempio, rivolgermi verso un altro avvocato, o in una discussione, trovare altri argomenti, o, per ricordarmi un paessaggio, prendere altre fotografie, cambiare, letteralemente, il primo punto di vista.
L’immagine ha dunque una doppia realtà, essa è, concomitante, essa stessa e qualcosa di diverso. Gadamer sottolinea cosí, in Wahrheid und Methode, la differenza fra Abbild, una copia (piu o meno esatta) del referente, e Bild, l’immagine in sé, che noi riguardiamo per i suoi meriti (documentari, cognitivi, estetici) senza compararla con il referente o la sua immagine originaria (Urbild). Se il Bild è un documento, esso sarà valutato come Abbild e dovrebbe dunque essere esatto (secondo un criterio determinato); se il Bild e contemplato invece come oggetto d’arte questo valore diminuisce e può anzi essere ignorato, ma se, finalmento, il Bild è visto come una fonte di informazioni storiche, il valore di esatezza mischia con quello artistico e anche con un valore funzionale: noi dovremmo allora domandarci perche un certo detaglio archittettonico si trova, o si trovava, in un certo punto della facciata; la sua restaurazione dovrebbe tenere conto di tre scopi e migliorare, se possibile, un vecchio Urbild.

Come comprendere l’immagine? - Retorica della fotografia - La dimensione culturale