L’inizio del terzo
millenio ha tragicamente dimostrato che, dal punto di vista politico, la
globalizzazione si presenta come un processo controversato. Le culture arabe,
ad esempio, si rapportano d’una maniera estremamente violenta al modello della
democrazia euro-americana, il quale, attraverso la filosofia politica dei
diritti umani, il potere del suo mercato, delle comunicazioni, del turismo,
degli scambi culturali, si è auto-proposto come modello universale.
Lo stesso processo di globalizzazione è riuscito a imporre anche un sistema mondiale dei beni culturali, già registrati o che stanno per entrare a far parte del fondo patrimoniale riconosciuto dall’UNESCO, sistema che ha un valore simbolico, estetico o spirituale. Nell’ambito delle politiche post-moderne, questo patrimonio constituito può essere, in fin dei conti, uno dei nessi più forti per la società mondiale, grazie al suo discorso non aggressivo, interrogativo-positivo, a funzione rimmemoratrice.
Inoltre, la
globalizzazione ha portato alla generalizzazione din un processo di
visualizzazione dei messaggi istituzionali, delle fonti di valori o delle immagini di
questi valori; tale visibilità costituisce un tentativo di cancellare, una
volta per sempre, i confini ciechi tra i quali sono rinchiusi i patrimoni regionali
o nazionali. Paradossalmente, la globalizzazione del patrimonio mondiale e l’accesso
a questo non riescono a vincere i discorsi campanilisti, attaccati d’una maniera fondamentalista,
politica allo “specifico” e all’”identità” del gruppo.
In realtà, se diventa
possibile riconoscere una valorizzazione globalizzante del patrimonio,
riconosciamo implicitamente anche il suo valore comunicativo, di sostegno per
il dialogo interculturale. La politica patrimoniale, in quanto insieme delle strategie
istituzionali conosciute, impegnate e strutturate dagli attori sociali,
costituisce la modalità attraverso la quale l’identità di una collettività
s’iscrive visibilmente, nel tempo e nella storia in genere, tra le forme
culturali,.
Inoltre, essa traduce anche il rispetto del “contratto sociale” nell’estetica
delle forme e della geografia dei posti. La conoscenza del patrimonio rende
possibile anche l’introduzione di valori simbolici nelle strategie comunicative
delle istituzioni con diritto di rappresentanza dell’identità collettiva.
Il riconoscimento del
valore del patrimonio sottolinea come questo adempie una funzione estetica per chi lo percepisce e una funzione
di integrazione identitaria, di assunzione dell’appartenenza da parte di chi utilizza la sua capacità di
rappresentazione simbolica. In riferimento all’identità, il patrimonio
assume il ruolo di mediazione estetica dell’appartenenza culturale tra quelli che l’assumono e la
dimensione collettiva della loro appartenenza.
L’informazione depositata nei beni patrimoniali locali parla parzialmente da se (quando questi sono molto visibili – beni patrimoniali museali o monumentali – e presentano una funzione emotiva); essa potrebbe stimolata a dirne di più, con l’impiego di alcune strategie e campagnie di relazioni pubbliche culturali (attarverso gli avvenimenti o il discorso supplimentare). I percorsi museali, le rotte del turismo culturale, le presentazioni on-line costituiscono, nel loro insieme, la base delle possibili stategie per l’inserimento del viaggiatore, del pubblico straniero nell’universo specifico del patrimonio locale.
Questo viaggiatore,
il pellegrino postmoderno, secolarizzato, in viaggio nei circuiti culturali, conosce direttamente un patrimonio
materiale, che ri-conosce ulteriormente nelle sue manifestazioni mediatiche o
artistiche ed inserisce nella
propria visione del patrimonio mondiale. La scoperta dell’Altro, nello spirito
del postmoderno, nei circuiti del significato patrimoniale, non si ha più in termini di
violenza imagologica, ma di apertura, di dialogo e di interesse nei confronti
dell’alterità.
Parliamo, dunque, dal punto di vista del nostro interesse per l’Altro, interesse manifestato strettamente da una prospettiva culturale e identitaria e d’una maniera non mediata; un Altro tradotto attraverso i beni culturali che riconosce come rappresentanza patrimoniale, canonica, costituito però con rispetto critico del passato, attarverso lo spirito del presente.
Un’altra forma di
circolazione e un altro tipo di pellegrinaggio sono apparsi nel mondo
postmoderno: quelli mediatici –documentari e la navigazione su
internet, sui siti di presentazione del patrimonio culturale mondiale. La televisione e l’internet, a
sfavore della radio o del libro stampato, sostituiscono il viaggio fisico,
consumando soltanto il determinato tempo di utilizzo, in presenza però delle immagini
filmiche, ciò
che riesce a creare l’illusione della co-partecipazione al tragitto. Nel caso
della visualizzazione mediata dei beni culturali non si può parlare più din un
viaggio immaginativo, visto che il “qui” si identifica con il “là”, attraverso
un semplice sforzo di concetrazione visiva.
L’immagine disponibile
su internet mantiene però l’utente o il consumatore in rete, indipendentemente
dalla sua collocazione. Non vale lo stesso per il soggetto che si trova dietro
la macchina fotografica o dietro la cinepresa. La fotografia suggella una
presenza fattuale, è la testimonianza “oculare”, la testimonianza dell’occhio
reale, il segno
della presenza del soggetto in quel tragitto. La fotografia in presenza del
monumento costituisce l’accreditamento dell’incontro diretto con le
rappresentazioni patrimoniali dell’Altro.
Mentre la fotografia significa una presenza, l’internet significa un’assenza. Nel caso della fotografia, l’individuo
opera lui stesso una scelta, una selezione condizionata; nel caso dell’internet,
gli viene imposta / raccommandata una selezione fatta dagli specialisti. La fotografia
media un re-incontro nel futuro con una traccia, con
una presenza assente; un incontro tra il mio passato e un momento futuro in qui
rivedo questo passato; costituisce, paradossalmente, la garanzia contro l’oblio
e l’oblio simultaneamente, in quanto si pone come protesi che attesta la
perdita di qualcosa, di tutto ciò che non si trova in questa foto. L’internet inter-media
un incontro nel
presente, tra un’istanza selettiva e un’istanza ricettiva. Ciò che l’utente del
sito e il consumatore del film vedono è soltanto ciò che possono vedere e, allo
stesso tempo, tutto ciò che possono vedere, il frammento ad autorità metonimica, senza conoscere il
referente reale nella sua totalità o nel suo ambito naturale.
Nel caso dei beni
culturali accessibili on-line possiamo parlare, credo, di un’altra politica
patrimoniale dell’imagine. Il taglio, la selezione orientata sono molto di più accreditate che la
selezione del turista, non perito, distratto dal particolare o poco interessato
da esso. La nuova immagine, ottenuta attraverso l’internet, è una lezione, ma,
allo stesso tempo, rappresenta anche una nuova identità patrimoniale. La politica dell’immagine, condizionata
dal punto di vista comunicativo, deve mostrare sempre, però d’una maniera
diversa in rapporto al tragitto reale, il rispetto per il valore del ristauro,
il complesso architettonico, la superficie del sito, la preservazione dello
specifico locale (a volte cosmetizzato fino alla distruzione completa dello
specifico stesso). La visita in comitiva viene “igienicamente” sostituita dalla
rete, la presenza dall’assenza, il percettibile non-mediato dalla guida
elettronica, attraverso l’indicatore atemporale e trans-topico del mouse. Il
percorso museale e la sua realtà viene infatti sostituito dall’accesso
programmato, dal museo virtuale dell’identità dell’Altro. Invece di una politica
patrimoniale della realtà dei beni culturali, c’è una politica patrimoniale dell’effetto
della sua presenza, un’immagine della politica dell’immagine del patrimonio, un sistema secondario di
riproduzione di un’identità e di un passato multi-mediato.
Ciò porta alla
costitutzione di un tipo diverso di semantismo del patrimonio, con classi
tipologiche diverse (condizionate dalla modalità di accesso). La non-presenza
nell’ambito del monumento può provocare anche una neutralizzazione emotiva,
dovuta al mezzo di comunicazione e all’eccesso di sistemazione dei programmi
informatici.
Combattendo contro
l’oblio, l’internet sacrifica il momento inaugurale del incontro diretto con i
beni patrimoniali dell’Altro, creando in compenso delle identità patrimoniali
virtuali molto più facilmente accessibili, le quali però sono diverse da quelle
percepibili senza mediazione. Per i vari pubblici di utenti, ciò può significare una
provocazione che viene a completare una parte dell’informazione per una ricerca
interculturale con bibliografie di specialità, un supporto visivo compensatorio
nei confronti delle frustrazioni causate dall’impossibilità di percorrere gli
spazi. L’incontro mediato, anche se non è in grado di sostituire il travaglio
personale della scoperta dei sensi, può convertire la frustrazione in un
tentativo di completare le informazioni, e poi, l’informazione in ricerca.
Oppure, al contrario,
potrebbe rimandare alla superficie della ricezione, potrebbe provocare il
fallimento dell’incontro con l’Altro, non irrimediabilmente, però
compromettendolo abbastanza. Ciò anche perché il patrimonio, in quanto
artefatto construito per combattere l’oblio, per la commemorazione, agisce
tanto sulla memoria, quanto su chi lo percepisce nel proprio presente. A tale
ricevente, attraverso l’internet, gli viene offerta una mediazione del presente
del suo incontro con i beni patrimoniali, ciò che potrebbe ridurre il grado di
alterità nella sua rappresentazione. Il presente diventa artificiale,
facilmente rivivibile, rifaccibile e, dunque, completamente relativizzante e
non-partecipativamente emotivo.
Nella mediologia
postmoderna, i discorsi (facendo uso della parola o dell’immagine) proliferano
più che attraverso l’internet. L’internet o la presentazione on-line diventa un
discorso per se, che riesce a destrutturare l’atmosfera in cui vengono inseriti
i beni patrimoniali, per strutturarne un significato diverso. Tolti dai loro
contesti, i beni patrimoniali non sono più il segno di un’identità localizzata,
ma diventano il segnale dell’identità di un altro artefatto rappresentativo. Si
tratta di un secondo artefatto, oltre a quello offerto nell’ambito naturale. Come
un tipo di protesi della memoria cognitiva, l’internet, diversamente dalla
camera video o dalla macchina fotografica, neutralizza la memoria affettiva. Il
valore utilitario, a suo turno, viene sostituito da un valore-attribuito, attraverso
il pacchetto di informazioni disponibili in rete o attraverso le informazioni
che si vogliono completare. Questo doppio visivo - l’immagine intermedia -
garantisce l’esistenza dei beni patrimoniali, il cui valore viene trasmesso
diversamente. La realtà costruita arriva a non coincidere più con le sue
rappresentazioni mediatiche, dato che l’utilizzo on-line del patrimonio stoccato
permette la sistemazione a catena dell’immagine di beni con locazioni
completamente diverse, ciò che modifica a me, in quanto utente, il rapporto con
lo spazio e il tempo, però modifica anche il rapporto tra questi, in tempo e
spazio.
Di più, io, in quanto
soggetto-utente, ho la possibilità di interferire con questi, li posso
sovraporre, ibridare, scomporre o ricomporre d’una maniera creativa o
distruttiva. Tali capacità demiurgiche dell’utente impongono la necessità di
creare una cultura etica dell’utilizzo, determinando però anche il pericolo di una
completa relativizzazione del valore di rappresentazione identitaria del
monumento.
La condizione etica della
risemantizzazione non pervade soltanto la politica dell’immagine, ma anche
quella del discorso esplicativo e scientifico.
L’interdisciplinarità,
così come viene impostata dal Centro di Eccellenza per lo Studio dell’Immagine
dell’Università di Bucarest, è quella che riesce ad assicurare la molteplice comprensione,
che offre spiegazioni complesse, complete e dialogali: un dialogo tra le discipline
che devono essere tradotte d’una maniera interpretativa in vista del loro
incontro; un dialogo delle prospettive sullo stesso regime oggettuale e /o
simbolico. Finalmente, l’interdisciplinarità suppone un regime democratico
della scienza, nei
termini din una comprensione comune dell’immagine culturale, artistica ecc.; tutto
ciò seguito dal travaglio di traduzione del risultato della ricerca
interdisciplinare in un linguaggio inteligibile all’utente non-perito.
L’etica della visualizzazione
on-line dei beni culturali coinvolge, alla fine, nuovi comportamenti
patrimoniali: del responsabile per il restauro, dello stratega dell’immagine,
del perito in comunicazioni pubbliche ed intellettuali. Gli autori di discorso vi
sono ugualmente coinvolti, attraverso la necessità di convertire la ricerca e
l’insegnamento che riguardano il campo dei beni culturali in un discorso
pubblico sul valore patrimoniale e la rappresentazione identitaria. Si tratta,
infatti, di rispetto per il prossimo e del rispetto per noi stessi.
Il ruolo svolto
dall’insegnamento superiore e dalla ricerca accademica internazionale si è fatto
sentire sempre più forte nel corso degli ultimi anni, in cui l’internet stesso si
mostra un mezzo della comunicazione provocatoria, non controllabile. Il patrimonio
on-line deve presentarsi, attraverso l’interfaccia del discorso specializzato e
del discorso interdisciplinario, più responsabile e oggettivo nei confronti
della problematica incendiaria dell’identità, della politica patrimoniale,
della relazione tesa tra il soggetto-utente e la “realtà” dello spazio virtuale.
Il patrimonio on-line
può costituire la base di un nuovo dialogo globale sull’ identità, collaborazione
e valori culturali, locali o generali, collettivi o individuali.