Rilevare un oggetto significa raccogliere le informazioni necessarie e sufficienti alla ricostruzione dell'oggetto stesso.
Per qualsiasi operazione di rilievo devono essere scontate tre cose:
1) la conoscenza sommaria dell'oggetto del rilievo. Si pensi al rilievo del motore di un'automobile: non è possibile pensare che si possa effettuare il rilievo senza conoscerne la struttura ed il funzionamento. Qualsiasi meccanico, prima di effettuare un intervento sul motore, sia pure mentalmente, ne effettua il rilievo, immaginando come è costruito e come funziona;
2) la possibile non coincidenza tra ciò che il rilevatore pensa di trovare e ciò che trova realmente. Rimanendo nell'esempio del motore, è molto probabile che il meccanico riscontri elementi sconosciuti, sia per una non perfetta conoscenza del motore su cui deve effettuare l'intervento, sia perché il motore stesso può essere stato trasformato a causa di precedenti interventi;
3) la riprogettazione dell'oggetto. Sempre nel caso del motore, prima di effettuare qualsiasi trasformazione, il meccanico si accerta che, grazie al proprio intervento, il motore torni a funzionare perfettamente.
Il rilievo dell'architettura non differisce dal rilievo di una struttura meccanica. Si può pensare che non sia possibile paragonare il motore dell'automobile ad una capriata essenzialmente perché il primo viene considerato una struttura dinamica mentre la capriata fa pensare ad una struttura statica, ma si provi ad analizzare la capriata così come dovrebbe fare un rilevatore prima di effettuarne il rilievo.
La struttura più semplice e più conosciuta di una capriata ha la forma di un triangolo isoscele, di cui si suol dire che:
- i lati inclinati sono soggetti a compressione (puntoni);
- il lato orizzontale è soggetto a trazione (catena);
Perché ciò avvenga, devono essere verificate due condizioni:
- il carico applicato deve essere verticale e concentrato in corrispondenza del vertice superiore;
- l'intera struttura deve comportarsi come una trave isostatica, cioè appoggiata da un lato su una cerniera fissa e dall'altro su una cerniera mobile.
Nel caso in cui sui lati inclinati poggia un carico verticale uniformemente distribuito, essi sono soggetti a pressoflessione e, in caso di luci elevate, sono dotati di un appoggio intermedio. Questo, non potendo poggiare sulla catena (che per definizione è soggetta a pura trazione), scarica su di un elemento verticale (monaco), il quale, a sua volta, è collegato al vertice superiore e sostiene, con una staffa, anche la catena.
L'intera struttura è soggetta a carichi costanti (peso proprio ecc.) e carichi variabili (neve, vento... terremoti), per cui possiamo tranquillamente affermare che essa "vive bene" se è stato previsto il suo comportamento in relazione alle possibili sollecitazioni.
Tralasciando, per il momento, i particolari costruttivi della capriata, il tipo di legno utilizzato ed il calcolo delle sollecitazioni, si passi alle operazioni di rilievo. Si prenda in esame la capriata facente parte della copertura della Chiesa Madre di Pescopagano, distrutta dal terremoto del 1980.
In questo caso particolare, il rilevatore si trova di fronte ad un tipo di capriata in cui la catena risulta rigidamente collegata, con tavole chiodate, al monaco e, quindi si pone il dilemma se rappresentare la capriata così come l'ha trovata oppure secondo i criteri classici. In sostanza c'è da chiedersi: in provincia di Potenza si utilizzava una "palladiana modificata" o a Pescopagano, in particolare, è stato effettuato un intervento non "a regola d'arte"?
Passando alla Chiesa Madre di Tito si direbbe che in Basilicata la "palladiana" era nota e realizzata a regola d'arte (basti osservare la fattura del "monaco").
Se si osservano, invece, i restauri di Acerenza e di Trivigno si dovrebbe giungere a differenti conclusioni!