Recensione di
Attilio Selvini, professore associato del Politecnico di Milano
pubblicata sul Bollettino n.4, ottobre-dicembre 1995,
della Società Italiana di Topografia e Fotogrammetria
sul volume "La cartografia digitale in architettura e urbanistica
- Levante Editori, Bari"
Il professor Daddabbo è un entusiasta della fotografia, e non da
oggi. Ho detto della fotografia, non della fotogrammetria, che non sembra
sia il suo forte, cosi come non pare sia proprio un esperto di cartografia:
questa è almeno l'impressione che si ha leggendo il volumetto dal
titolo sopra indicato. E ciò benché insegni nelle due facoltà
del Politecnico di Bari "Fotogrammetria applicata" agli studenti
di ingegneria, "Cartografia tematica" a quelli di architettura.
A parte le tredici pagine scarse dedicate a cartografia analogica, cartografia
analitica e cartografia digitale (ma le distinzioni correnti sono, universalmente
accettate, quelle di cartografia al tratto, cioè vettoriale, prodotta
con sistemi topografici o con sistemi fotogrammetrici da restituzione analogica
od analitica; cartografia numerica stereorestituita, ed infine cartografia
ortofotogrammetrica) tutto il resto del volume è dedicato alla descrizione
del programma di restituzione architettonica StereoFot, del linguaggio HyperCard
di Apple, e di altre applicazioni su Macintosh.
E del resto quelle poche pagine iniziali nulla hanno del rigore che si richiede
ad una lezione universitaria; e ben poco hanno anche di divulgativo, cosi
come si concede ad una conferenza.
Non mi pare il caso di controbattere, periodo per periodo, certe affermazioni
non propriamente corrette dell'autore, forse più incline all'invenzione
poetica che alla razionalità di chi deve insegnare della geometria
e della matematica applicate. Solo, mi sembra molto arduo il paragone fra
le bi- e monocamere, in punto di base per le prese, e gli occhi d'uno strano
umanoide: "la fotogrammetria simula il sistema visivo di un essere,
dalle proporzioni umane, capace di prendere fra le mani l'oggetto stesso...
la distanza tra questi (i punti di vista, dice l'autore: ma forse sarebbe
meglio dire i punti di presa) corrisponde alla distanza interpupillare dello
strano essere... tornando alla simulazione, quindi, il nostro ipotetico
umanoide avrà la statura di un bambino. se si tratta di un reperto
archeologico, o di un gigante, se si tratta di una intera città".
Senza commento, soprattutto pensando alle "proporzioni umane"
di un gigante! Invano si cercherebbero nel libretto cenni, anche sommari,
sulle equazioni di collinearità, sulla geometria epipolare, sulla
correlazione delle immagini, sulla estrazione automatica di elementi morfologici
dal modello fotogrammetrico; ovvero su tutto quello che oggi costituisce
oggetto della ricerca avanzata in fotogrammetria (non in fotografia; benché
anche i progressi di questa tecnica siano ingenti: basta pensare alle camere
digitali, qui come tante altre cose del tutto ignorate).
Nulla vi si trova nemmeno di cartografia, cioè di quella disciplina
consolidata che tratta dello sviluppo sul piano di porzioni della Terra,
di altri pianeti ed in senso traslato, per rifarsi alle architetture, delle
superfici a doppia curvatura.
Parole ve ne sono molte, forse troppe; ed anche sogni: ma coi sogni non
si progredisce nelle scienze applicate. Le immagini oniriche non sono quelle
che il fotogrammetra ed il cartografo sanno e debbono manipolare"
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