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Ildebrando, toscano di nobile famiglia, nato intorno al 1015-20, fece tutta la sua carriera nella curia romana e fu uno dei primi artefici della riforma della Chiesa intrapresa dai papi Leone IX (1048-1054) e Niccolò II (1058-1061, autore della riforma per l'elezione pontificale, ormai riservata ai cardinali) di cui fu il collaboratore.
Eletto papa nel 1073, riunì in 27 proposizioni, Dictatus Papae (1075), i princìpi che dovevano assicurare la supremazia del papato, necessaria, secondo lui, per condurre in porto la riforma della Chiesa: soltanto il pontefice romano è universale, lui solo può deporre e assolvere i vescovi, può deporre gli imperatori, tutti i giudizi sono sottoposti alla sua correzione, egli non può essere giudicato da nessuno, la Chiesa romana non si è mai sbagliata e non si sbaglierà mai secondo la testimonianza delle Sacre Scritture.
La pretesa di Gregorio VII di porre il sacerdotium al di sopra dell'imperium lo condusse a un conflitto con l'imperatore Enrico IV. Sembrò dapprima trionfare, ma fu ingannato dalla spettacolare ma finta umiliazione dell'imperatore a Canossa (1077). Nel 1084 Enrico IV si impadronì di Roma e, solo grazie all'appoggio dei Normanni di Roberto il Guiscardo, Gregorio potè fuggire a Salerno dove morì nel 1085.
Aveva dato un decisivo impulso a un movimento di liberazione della Chiesa dalla soggezione ai principi e ai signori laici. La lotta contro la simonia, contro il matrimonio dei preti, non doveva essere meno importante per l'indipendenza dell'ordine clericale. I suoi successori continueranno l'opera chiamata giustamente «riforma gregoriana». Infine, nella sua lotta contro i signori laici, gli sfuggirono affermazioni che ebbero una profonda risonanza antifeudale, in particolare questa: «Il signore non ha detto: Il mio nome è Consuetudine».
Jacques Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale
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Ultimo aggiornamento: 16 Luglio 2001 |