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Chiesa cattolica > La Chiesa medievale tra crisi e rinnovamento > I concili ecumenici

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2 I concili ecumenici.

2.1 Inerzie vecchie e nuove.
2.2 Il fallimento della Chiesa nei confronti dei movimenti eretici.
2.3 Le paure della Chiesa nei confronti dei movimenti di laici religiosi.

Bibliografia

Tutti i brani posti "fra virgolette" sono tratti da: Jacques Le Goff, Francesco d'Assisi tra il rinnovamento e le inerzie del mondo feudale, 1981. Trascrizione, impaginazione e link: M. Mastrorilli, 2001 -

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2.1 Inerzie vecchie e nuove.
"Risultato di questa grande mutazione della Chiesa, dopo secoli senza concili generali, è il ritorno in occidente dei concili «ecumenici»: Laterano I (1123), Laterano II (1139), Laterano III (1179), Laterano IV (1215). Essi rappresentano allo stesso tempo la conclusione della riforma gregoriana e lo sforzo di aggiornamento della Chiesa di fronte a un secolo di grandi cambiamenti. Ma il loro significato è ambiguo, come il trionfo del potere pontificio di cui sono espressione. Assieme all'adattamento al nuovo, organizzano anche il controllo e l'irregimentazione - se non la chiusura - della nuova società. Ma in effetti, nonostante tale sforzo di aggiornamento, la Chiesa all'inizio del XIII secolo resta prigioniera di inerzie vecchie e nuove: è particolarmente in ritardo rispetto all'evoluzione economica e al mondo urbano e resta invischiata nella feudalità rurale.

Piuttosto rapidamente, la Chiesa evolve verso nuove strutture paralizzanti: lo slittamento dei nuovi ordini - i Cistercensi in particolare - verso l'arricchimento, lo sfruttamento dei conversi, il ristagno rurale, l'arido formalismo giuridico di un diritto canonico invadente, gli inizi della degenerazione burocratica e autocratica del papato e della curia di Roma.

La Chiesa conosce, inoltre, degli scacchi indicativi: quello della crociata, impotente contro i musulmani, sviata dai suoi scopi, come dimostra la deviazione della quarta crociata verso Costantinopoli nel 1204, incapace di suscitare l'entusiasmo di un tempo; e, soprattutto, lo scacco della lotta dell'eresia nel seno stesso della cristianità.

Infine, la Chiesa si rivela maldestra, se non incapace, nell'incanalare o addomesticare le sfide della storia: l'aggressione del denaro, le nuove forme di violenza; la contraddittoria aspirazione dei cristiani a un maggior godimento dei beni terreni, da un lato, e, dall'altro, a una resistenza più forte all'accresciuta brama di ricchezza, potenza, possesso.

Se la scolastica e il diritto canonico nascenti forniscono alla Chiesa gli strumenti per teorizzare le nuove situazioni nel quadro della società cristiana, se le opere divulgative - manuali di confessori, modelli di sermoni, raccolte di exempla - mettono a disposizione dei semplici preti i mezzi per rispondere parzialmente ai nuovi bisogni dei fedeli, tali costruzioni dotte contribuiscono anche ad allargare il fossato culturale tra l'élite ecclesiastica e la massa dei laici, a soffocare, snaturare o recuperare la fioritura di cultura folclorica che si era manifestata nel XIII secolo.

La feudalità si era orientata verso la monarchia e la cultura dominante portava l'impronta delle classi laiche dominanti, aristocrazia e cavalleria, il cui sistema di valori cortesi si imponeva alla nuova società, finanche alla società urbana dei comuni italiani. Lo stesso Francesco d'Assisi subirà l'influenza di questa cultura cavalleresca e la sua devozione alla povertà assumerà degli atteggiamenti cortesi. Il suo sogno cavalleresco, incarnato nella visione della casa colma di armi, non scomparirà mai completamente dal suo spirito. Donna Povertà rappresenterà, certo, l'affermazione del rifiuto dei valori economici e sociali della società aristocratico-borghese, ma attraverso il modello cortese, feudale.

[...] Gabriel Le Bras, a proposito del rigoglio ecclesiastico del XII secolo, osserva giustamente: «Per un caso strano, la moltiplicazione della tipologia dei chierici non corrispondeva affatto alle necessità del secolo: corrispondeva a quelle di salvezza (o di fasto) dei ricchi e agli agi (talvolta eccessivi) di canonici e curati»."

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2.2 Il fallimento della Chiesa nei confronti dei movimenti eretici.
"Non vi è fallimento più significativo di quello della Chiesa di fine XII secolo nei confronti dei movimenti di laici dichiaratamente eretici o catalogati come tali dalla Chiesa. Il movimento più spettacolare e più drammatico è certamente quello cataro, vera religione diversa dal cristianesimo che sanciva una rigida opposizione tra bene e male, diffusa nella bassa Renania, in alcune regioni della Francia e dell'Impero, dalla Loira alle Alpi, e soprattutto nella Francia meridionale, in Provenza e nell'Italia settentrionale. È il fallimento del clero secolare locale e dei Cistercensi a cui il papato aveva affidato l'organizzazione della predicazione, quindi della crociata. Ne saranno conseguenze la guerra condotta dalla Chiesa nella cristianità, il durevole fossato tra la Francia meridionale e quella settentrionale, la messa in opera dell'Inquisizione - uno dei grandi crimini storici contro l'uomo."

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2.3 Le paure della Chiesa nei confronti dei movimenti di laici religiosi.
"Ma, forse, è ancora più significativa l'incomprensione, la paura della Chiesa nei confronti dei movimenti di laici religiosi che non professavano alcuna dottrina eretica. Già il canone 26 del Laterano II (1139) aveva vietato le forme di vita religiosa monastiche praticate da pie donne nelle loro abitazioni. I casi dei Valdesi e degli Umiliati sono più gravi. I primi sono dei «poveri» di Lione che, seguendo l'appello e l'incitamento del ricco mercante lionese Valdo, attorno al 1170 si impegnano a dedicare la loro vita alla pietà, anch'essi leggendo la Bibbia in volgare e predicando. Ben presto sciamarono nell'intera Lombardia. Papa Lucio III a Verona nel 1184 scomunicò, allo stesso tempo, Catari, Valdesi e Umiliati. Che cosa gli rimproverava la Chiesa? Essenzialmente di usurpare uno dei monopoli dei chierici, la predicazione. Gualtiero Map, dignitario ecclesiastico (arcidiacono di Oxford), è il primo a indignarsi: «Come le perle ai porci, la Parola sarà data a semplici che sappiamo essere incapaci di riceverla e, ancor più, di dare ciò che hanno ricevuto?». Usurpazione tanto più scandalosa ai suoi occhi in quanto era questione non solo di uomini laici, ma anche di donne.

Certo, Innocenzo III fece marcia indietro e dal 1196 recuperò una parte degli Umiliati, ma li trasformò in «ordini», dividendoli in tre ordini di cui i primi due raggruppavano veri e propri religiosi obbedienti a una regola, mentre il terzo costituiva ciò che è stato definito «una sorta di terzo ordine ante litteram» che svolgeva una attività artigianale per sovvenire ai propri bisogni e procurarsi di che aiutare i poveri. Allo stesso tempo, Innocenzo III distinse nelle Scritture gli aperta, episodi narrativi e insegnamenti morali accessibili a tutti, dai profonda, passaggi dogmatici la cui comprensione e spiegazione era riservata ai chierici.

Vediamo così quali fermenti, quali bisogni, quali rivendicazioni agitassero certi ambienti laici verso il 1200: l'accesso diretto alla Scrittura, senza l'ostacolo del latino e la mediazione del clero, il diritto al ministero della Parola, la pratica della vita evangelica nel secolo, nella famiglia, nel lavoro, nella condizione di laico. Bisogna aggiungervi l'aspirazione all'uguaglianza dei sessi che professavano, alla fine del XII secolo, gli Umiliati della Lombardia, i Penitenti rurali dell'Italia settentrionale, le Beghine e i Begardi dei confini settentrionali della Francia e dell'Impero. Alcuni, come l'abate calabrese Gioacchino da Fiore, vedono come unica speranza l'avvento in terra di una terza età, dopo quella del Padre e del Figlio, l'età dello Spirito che verrà realizzata da una comunità di «uomini spirituali» - i quali per questo dovranno forse ricorrere a «una opera attiva o anche rivoluzionaria»."


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21 Dicembre 2003