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Chiesa cattolica > Il sacerdozio nel medioevo > Imparare il mestiere di prete

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2 La carriera ecclesiastica.

2.1 Il rito di passaggio.
2.2 L'esame finale per la consacrazione sacerdotale.
2.3 L'apprendistato del prete e il problema della sua formazione.

Bibliografia

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2.1 Il rito di passaggio. Non tutti i «professionisti della preghiera», rinunciando alla vita mondana, diventavano automaticamente chierici. Bisognava invece intraprendere un percorso preciso che iniziava con la cerimonia pubblica della tonsura.
A partire dal secolo XI il disciplinamento di questo itinerario fu oggetto importante della legislazione conciliare, che mirò ad una sempre più netta separazione della figura dell'ecclesiastico da quella del laico. Il quadro normativo che si costituì è rimasto sostanzialmente invariato fino al concilio di Trento.
La tonsura consisteva nella rasatura circolare di una parte dei capelli, indicazione di diversità e di rinuncia al mondo. Tale segno visivo e immediato dello stato di non-laico non tracciava però un vero e proprio confine, ma solo uno stato intermedio: per essere inseriti appieno nell'ordine ecclesiastico era necessario essere promossi a più alti gradi, i cosiddetti ordini minori e maggiori.
Le norme del diritto canonico e la tradizione stabilivano luoghi e tempi precisi per le ordinazioni. Se la tonsura poteva aver luogo in qualsiasi giorno, per gli ordini minori si preferivano i giorni festivi e per quelli maggiori i sabato delle tempora stagionali - i quattro periodi di digiuno e preghiera all'inizio di ogni stagione dell'anno fin dall'antichità -, e i due sabato antecedenti la domenica di Passione e la Pasqua. Si trattava di cerimonie collettive, di solito celebrate in cattedrale, ma per le ordinazioni singole o per quelle ai gradi più bassi si ammettevano anche altri luoghi.
Le tappe dell'ordinazione

Chi intendeva avviarsi sulla strada del chiericato, dopo la tonsura, doveva essere investito degli ordini minori. Questi, spesso conferiti tutti assieme, erano:

  1. ostiario (incaricato dell'accoglienza dei fedeli; teneva le chiavi della chiesa e ne curava le suppellettili);
  2. lettore (addetto alle letture bibliche durante le celebrazioni liturgiche);
  3. esorcista (colui che prestava aiuto agli ammalati e li difendeva dagli influssi demoniaci);
  4. accolito (colui che accompagnava la celebrazione eucaristica portando ampolle e candele).

Il passaggio agli ordini maggiori prevedeva in successione le figure di:

  1. suddiacono (colui che assisteva alle celebrazioni e svolgeva servizio all'altare);
  2. diacono (colui che aveva facoltà di predicare e di somministrare battesimo e comunione);
  3. sacerdote o presbitero (ministro ordinario di quasi tutti i sacramenti; celebrava la messa e gli altri riti).

Il termine prete deriva da presbiter, anziano. Nella Chiesa primitiva, infatti, erano proprio gli anziani (per età e per autorità) ad essere guida della ecclesia, ovvero comunità, chiesa. Con l'aumento del numero dei fedeli, l'ampliarsi dei bisogni e il complicarsi delle funzioni, si resero poi necessari degli aiutanti. Si delineò quindi l'iter della carriera ecclesiastica.

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2.2 L'esame finale per la consacrazione sacerdotale. Stando alle norme, il candidato chierico doveva dimostrare di possedere requisiti precisi, che erano:

  1. l'età canonica;
  2. l'idoneità di persona e di carattere;
  3. l'assenza di impedimenti legali (quali l'essere figlio illegittimo e l'aver contratto matrimonio);
  4. un livello di istruzione adeguato;
  5. sufficienti risorse economiche.
In teoria, chi fosse stato ordinato in forma irregolare, oltre che vedersi annullata la consacrazione, avrebbe potuto essere punito con il carcere.
In pratica, la mancanza dei requisiti richiesti veniva spesso sanata attraverso una dispensa accordata dal vescovo.

I ministri dell'ordinazione

Ministro del sacramento dell'ordinazione era di norma il vescovo, in genere il titolare della diocesi in cui avveniva il rito.
Molto spesso, però, egli demandava l'incarico a un suo sostituto, il vicario, insignito della dignità episcopale.

Solo in via subordinata la facoltà di ordinazione poteva essere accordata a non vescovi, di solito a regolari ritenuti adeguati, quali gli abati dei prestigiosi e potenti monasteri benedettini.

Le sanatorie più documentate sono quelle riguardanti la nascita illegittima e l'età.
Reticenze nelle indicazioni dei cognomi non sono certo casuali, bensì finalizzate a coprire situazioni che potevano gettare discredito su importanti istituzioni ecclesiastiche.
Al contrario la segnalazione di rapporti di parentela o amicizia con potenti signori laici o ecclesiastici era utile ad ottenere l'esenzione dai pagamenti connessi alle certificazioni.
Dai verbali delle vite pastorali si evince che il requisito dell'età era assai poco rispettato per l'accesso agli ordini maggiori, spesso conferiti ad adolescenti.
Dopo il controllo di tipo burocratico dei requisiti esterni, all'atto della tonsura - conferibile legalmente già a 7 anni -, la verifica del bagaglio teologico e delle competenze dell'aspirante sacerdote avveniva invece mediante un vero e proprio esame, al termine di un periodo di formazione.

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2.3 L'apprendistato del prete e il problema della sua formazione. Era prassi diffusa per i parroci tenere con sé, come giovanissimi chierici, solo i propri bastardi, facendo fare loro una specie di apprendistato per l'avviamento alla professione di prete.
Del resto, il problema della formazione del clero, pur avvertito, fu affrontato con interventi saltuari. E le testimonianze di parroci che non sono in grado né di leggere né di scrivere, che non sanno usare il breviario e il messale, che non conoscono la formula di consacrazione del calice, che non ricordano nemmeno le preghiere più elementari, disegnano un'immagine di diffusa trascuratezza nella preparazione e di scarsa attenzione nei controlli.
È verosimile che la formazione iniziale si differenziasse a seconda della provenienza familiare e dell'ambiente sociale, urbano o rurale, in cui il chierico era cresciuto. Ad ogni modo si trattava di conoscere e comprendere i testi necessari alla celebrazione della Messa e degli altri uffici.
Poi, come accadeva per tutte le professioni, anche chi voleva imparare il mestiere di prete doveva svolgere un preciso apprendistato. E così come l'aspirante artigiano andava a fare tirocinio in bottega, anche il chierico andava a vivere nella casa di un prete-maestro, con il quale stipulava un vero e proprio contratto, di solito orale, ma qualche volta anche scritto.
Se il sacerdote più anziano provvedeva loro, i chierici lo coadiuvavano, apprendendo i fondamenti della professione, e soprattutto i gesti solenni delle azioni liturgiche. Oltre che una preparazione all'esame di ordinazione, questo periodo di apprendistato rappresentava una quotidiana verifica della scelta fatta, vero banco di prova della vocazione dell'aspirante sacerdote, prima che il percorso che conduceva all'ordinazione fosse concluso.
E difatti solo una minoranza dei molti tonsurati proseguiva fino al presbiterato. Ragioni strumentali probabilmente spingevano molti giovani - o meglio tante famiglie, vista la precoce età di conferimento della tonsura - verso l'ingresso nel mondo clericale.
Ai vantaggi di tipo spirituale (ben superiori a quelli che oggi immaginiamo), si sommavano numerosi privilegi sociali (le libertà del medioevo), compresa l'acquisizione di una condizione giuridica tutelata nell'ambito dei più indulgenti tribunali ecclesiastici. Tutto ciò a fronte di pochi doveri, il più gravoso dei quali - l'obbligo del celibato - diventava tale solo con il suddiaconato, cioè con il primo degli ordini maggiori. Eclatante perciò resta il comportamento di quasi tutti i preposti del capitolo della cattedrale di Vicenza che, nella prima metà del Trecento rifiutarono di ricevere gli ordini maggiori.


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Ultimo aggiornamento:
2 Aprile 2001