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Pasquale BATTISTA

Sotto la Chiesa di San Francesco.
Un cimitero ipogeo "bellissimo" e "capientissimo".

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Trascrizione, impaginazione e link: M. Mastrorilli, 2001 -

Grazie all'intraprendenza di Padre Bernardino, parroco della chiesa di S. Francesco, sembra che si stia avviando, finalmente, l'operazione, difficilissima, volta al recupero del patrimonio storico-artistico dell'interessante complesso della chiesa dei Cappuccini da secoli ingiustamente dimenticato e trascurato. Trattasi di un'opera coraggiosa che sarebbe riduttivo limitare alla parrocchia di S. Francesco riguardando l'intero paese se si considera che il patrimonio di cui sopra altro non è che una tangibile testimonianza della civiltà, e quindi della storia, dell'intero paese. È auspicabile, pertanto, che Triggiano nella sua interezza, sostenga l'iniziativa con l'entusiasmo che merita. Non si tratta, infatti, di procedere soltanto al necessario ed oneroso restauro degli affreschi del primo settecento eseguiti dall'«affrescator di conventi», Fra Tommaso da Triggiano, e di altre tele secentesche di indiscutibile valore, ma di recuperare i sotterranei della chiesa che ancora nascondono, sicuramente, notevoli reperti storici ed artistici.

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Recentemente è ritornato alla luce sotto il catino absidale della chiesa solo una parte di un più vasto ipogeo. È stato ritenuto, anche se in tono dubitativo, (v. Gazzetta del Mezzogiorno dell'8 marzo 1993) che il vano riscoperto altro non sia che una «chiesetta rupestre» preesistente alla costruzione dell'attuale chiesa di S. Francesco. In sostanza questa chiesa sarebbe stata edificata su un preesistente luogo di culto nel basso medioevo (1400-1500).
Non sembra, a chi scrive, che lo stesso possa essere datato anteriormente alla costruzione dell'attuale chiesa. L'ipogeo tornato alla luce, di forma rettangolare, porta le tracce di un piccolo altare sormontato da una nicchia, e sulle pareti laterali, scavate nella roccia in disposizione perfettamente simmetrica, altre dodici «nicchie» nelle quali, molto probabilmente, era stato affrescato un ciclo di soggetto religioso.

L'ipotesi di un luogo di culto o «chiesetta rupestre» anteriore alla costruzione dell'esistente chiesa di S. Francesco non sembra, allo stato delle attuali conoscenze, fondato. Intanto, va rilevato che il vano ipogeo riscoperto è solo una parte di un più vasto complesso ipogeo ancora interrato, e non può essere letto in chiave storico-critica disgiuntamente dalla parte restante della quale è parte integrante. Ma, a prescindere da altre considerazioni, è lecito a proposito del vano ipogeo rinvenuto parlare di «chiesetta rupestre»? Sembra proprio di no, solo se si considera che nel sito interessato non esistono né sono mai esistite rupi, né gravine, né fossati, né, che si sappia, «vicinanze», intendendo con quest'ultimo termine, quei grossi fossi scavati dall'uomo per ricavare nei loro fianchi chiese, frantoi, laboratori, abitazioni, ecc..
D'altra parte, se col termine «chiesetta rupestre» si vuole indicare una piccola chiesa interamente scavata nel tufo non sembra che l'ipotesi sia sostenibile. Basti rilevare che l'ambiente sub-absidale di cui si sta parlando non ha nulla che possa farlo assomigliare, nemmeno alla lontana, ad una grotta. Infatti, al contrario delle grotte medievali (delle quali a Triggiano esiste, miracolosamente intatto, qualche esemplare) ha la parte originaria della volta elegantemente tessuta con conci di tufo ben squadrati; al contrario delle grotte ha una forma geometrica netta e ben definita; al contrario delle grotte nella parte sottesa alla volta (cioè in quella scavata) non si notano tecniche arcaiche di scavo ma tecniche di gran lunga più evolute.

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Ma ammettiamo per un attimo, per amore di discorso, che la c.d. «chiesetta rupestre» sia stata edificata (rectius: scavat) uno o due secoli prima dell'attuale chiesa di S. Francesco. È necessario allora stabilire al culto di quale santo essa sarebbe stata dedicata. È noto, al riguardo, la grandissima importanza che per tutto il medioevo ed oltre veniva attribuita all'atto della «dedicatio». Di tanto nel vano ipogeo, che pure è in buono stato di conservazione, non si rinviene alcuna traccia lapidea, nessuna «inscriptio». Ammettiamo anche, sempre per amore di discorso, che qualsiasi tipo di documentazione sia andato distrutto o smarrito. Se così fosse stato, avrebbe dovuto restare qualche traccia, anche se tenue, negli atti notarili cinquecenteschi. Questi ultimi accennano abbondantemente a tutte le chiese in quel periodo esistenti a Triggiano: da quella di S. Martino a quella di S. Lorenzo, a quella (originaria) del Crocicchio. Di quella, invece, non è rimasto nemmeno il nome diversamente da quanto è accaduto per chiesette poco lontane che, pur essendo scomparse, hanno legato la testimonianza della loro esistenza al nome dei siti nei quali erano sorte: Santo Stefano, Santa Teresa, ecc..

A proposito, sembra opportuno non dimenticare che prima della costruzione del Convento dei Cappuccini la strada extraurbana sulla quale quest'ultimo fu ubicato si chiamava «via delle piscine» (e non via di Santo X o Y), mentre la strada su cui era sorta la chiesetta di S. Lorenzo (questa sì del '500), si chiamava appunto di S. Lorenzo; quella sulla quale era sorta la chiesetta ipogea di S. Croce si chiamava di S. Croce, quella su cui era sorta la chiesa plebana di S. Martino si chiamava via di S. Martino. Che la «chiesa rupestre» non sia sorta prima della costruzione dell'attuale Chiesa di S. Francesco è dimostrato, qualora ce ne fosse ulteriore bisogno, dal resoconto della visita pastorale compiuta a Triggiano nel 1607 dall'Arcivescovo di Bari Mons. Decio Caracciolo. È noto che durante le «sacre visite» i presuli visitavano e descrivevano con burocratica meticolosità tutte le chiese di ogni singola parrocchia, nessuna esclusa; anche le più piccole, anche quelle rurali, anche quelle aperte al culto solo qualche giorno all'anno. Ebbene, nel 1607, anno in cui la chiesa di S. Francesco non esiste ancora ma esisterebbe invece quella «rupestre», Mons. Caracciolo si guarda bene dal visitare o, comunque, dal citare quest'ultima. E infatti non lo poteva, essendo impossibile visitare ciò che non ancora esiste.

Da una ipotesi priva di ragionevole fondamento, quale è quella sopra esposta relativa ad una «chiesetta rupestre» aperta al culto prima ancora che nel 1614 venisse edificata la chiesa di S. Francesco, è scaturita per partenogenesi un'altra ipotesi antistorica. Secondo la «notizia» raccolta dalla Gazzetta «ulteriori ipogei nei sotterranei del Convento aprono il campo (sic!) all'ipotesi di un secondo polo abitativo nel territorio di Triggiano rispetto a quello più antico del centro storico». Una ulteriore ipotesi che non sta né in cielo né in terra. Sembrerebbe che quest'onirico «polo» (ma che sarà mai? Un nuovo quartiere satellite, una circoscrizione ante litteram, un complesso di seconde grotte per la villeggiatura?) sarebbe sorto intorno alla «chiesetta rupestre», senza peraltro lasciarne traccia alcuna, nel 1400-1500. Al riguardo il solo ipotizzare che nel '400, quando Triggiano conta solo 28 «fuochi» o famiglie che vivono miseramente nelle grotte del fossato antico, si sia potuto formare fuori di detto fossato un nuovo «polo» è un assurdo così assoluto da non richiedere ulteriori commenti.

Se invece il «polo» fosse sorto nel '500 le cose cambierebbero anche se per un diverso ordine di ragioni. Infatti, se è vero, come è vero, che durante quest'ultimo secolo si ha un grandissimo e non fisiologico aumento della popolazione che dà vita a quel fenomeno che ho chiamato «rifondazione di Triggiano»; se è vero, altresì, che in questo periodo si verifica una notevole espansione urbana; è altrettanto vero che tale espansione non va oltre l'attuale imbocco di Via del Ponte (attuali Madonnelle). Alla fine del '500 TUTTO l'abitato verrà chiuso da mura e fossato. Triggiano resterà totalmente racchiusa entro queste mura sino alla fine del '700. Il primo borgo extra-moenia (Mammaladra) sorgerà solo all'inizio dell'800. Il secondo borgo (o borgo nuovo: attuale villa comunale) sorgerà solo all'inizio di questo secolo. Prima dell'800 non esiste alcun insediamento urbano al di fuori di quello racchiuso nelle mura.
Se così è, nessun «polo» è mai sorto nel '500. Durante il XVI secolo i triggianesi tendono a chiudere l'abitato (come faranno) con mura bastionate per difendersi non solo dal sempre incombente pericolo turco (in questo periodo nasce a Triggiano un nuovo mestiere: quello degli «spiaturchi») ma anche da comitive di malintenzionati spagnoli e francesi, e da avventurieri d'ogni risma. La costruzione delle mura, iniziata nella seconda metà del '500 ed ultimata nell'anno 1600 è una ulteriore tangibile testimonianza dello stato di insicurezza (ampiamente documentata) in cui viveva il nostro popolo, che aveva ben altro da fare che costruire «poli» in aperta campagna e distanti dall'abitato.

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Tirando le somme: il riscoperto vano ipogeo altro non è che una cappella, facente parte di un più ampio complesso ipogeo, costruito contestualmente alla chiesa sovrastante. Trattasi, a mio sommesso avviso, della cappella del monumentale cimitero sotterraneo destinato originariamente alle sepolture dei frati cappuccini. È l'unica parte del complesso ipogeo non interrata e come tale di recente riscoperta. Infatti, ci informano le fonti, un primo interramento di una parte dell'ampio sotterraneo avvenne, ad opera dei Cappuccini, nel 1828, come si evince in modo inequivocabile dal documento che pubblico qui a fianco.
Il documento fa riferimento ad un «bellissimo vaso di Terrasanta» otturato al fine di ricavare altre sepolture. Vedremo quando e se i lavori di sterro avranno luogo che cosa intendeva il procuratore del Capitolo don Francesco Mastrolonardo per «bellissimo vaso». Molto probabilmente si riferiva ad una parte del cimitero sotterraneo (per fortuna «otturata» e non distrutta) particolarmente bella per motivi architettonici e decorativi. Sappiamo già, quindi, che una parte, quella, appunto, interrata nel 1828 era «bellissima». Ma con riferimento all'intero complesso ipogeo cimiteriale sappiamo anche che lo stesso era «capacissimo», tale, comunque, da poter essere destinato non solo alla sepoltura dei Cappuccini ma a quella di tutta la popolazione di Triggiano.

Nel 1839 il Comune che non aveva adempiuto, per mancanza di fondi, ad ottemperare alla legge che imponeva la chiusura dei sepolcreti di S. Maria Veterana e la costruzione di un camposanto lontano dall'abitato, tentò di adibire a cimitero del paese il sepolcreto sottostante la chiesa di S. Francesco, perché lontano dall'abitato. Al riguardo il 9 luglio 1839 il Sindaco di Triggiano, Vincenzo Carbonara, così scrive all'Intendente della Provincia, Marchese di Montrone:
«Il Comune non può occorrere (al completamento del nuovo cimitero, n.d.r.) per le circostanze infelici in cui si trova, tante e tante volte a Lei fatte conoscere. Avvi un'altra chiesa che anche dista dall'abitato, quale è quella del Convento dei Padri Capuccini, dove vi è un sepolcreto capacissimo e che ha servito anche per l'uso in circostanze fatali. Questo fu proposto per l'inumazione dei cadaveri; ed ella deve benignamente convenire fino al compimento del nuovo camposanto...».
Perché l'Intendente della Provincia fece orecchie da mercante il sindaco, il 9 agosto dello stesso anno, ritorna all'attacco con una seconda lettera più chiara ed esplicita della prima:
«Questo Comune tiene un Convento di Padri Cappuccini anche distante dall'abitato. Questo tiene un sepolcro ampio e proprio, tanto che nella malattia del colera fu ivi ordinata l'inumazione dei cadaveri».
Da quanto si ricava dagli atti, dai quali abbiamo estratto i brani essenziali, il sepolcreto sottostante la chiesa dei cappuccini era «bellissimo» e «capacissimo». Tutto il vasto sepolcreto, ad esclusione del vano di recente venuto alla luce, fu fatto interrare dal Comune di Triggiano nell'agosto del 1841. Il costo sostenuto dal Comune per la colmatura del complesso ipogeo fu di ducati 73, come si evince da quest'altra lettera del Sindaco:
«Triggiano 20 settembre 1841.
Signor Intendente, con mio ufficio del 29 agosto n.419 mi feci il bene di dimandarle l'autorizzazione per l'esito sostenuto in Dc.73 per la colmatura dei sepolcri della chiesa di Reverendi Padri Cappuccini».
Da allora del cimitero sotterraneo s'è perso il ricordo, anche se si sapeva da parte di P. Daniele e dello scrivente, della sua esistenza.

Questa è, in breve, la storia vera e documentata del vasto complesso ipogeo esistente sotto la chiesa di S. Francesco sul quale ritorneremo, se sarà il caso, più diffusamente. Probabilmente in un ambiente del complesso interrato troveremo un vano destinato, sin dall'epoca della costruzione del cimitero, alla famiglia dei marchesi Pappacosa, feudatari di Triggiano e Capurso, e da questa utilizzato fino al 1670 quando verrà costruita in Capurso la chiesa dei frati di S. Francesco di Paola, annessa all'omonimo convento, nella quale quei signori preferiranno essere seppelliti.
In conclusione sembra a chi scrive che la cappella rinvenuta alla luce sotto la chiesa di S. Francesco di Triggiano lungi dall'essere una «chiesetta rupestre» esistente anteriormente alla costruzione della chiesa del convento, è una cappella cimiteriale coeva alla costruzione della chiesa stessa (1614).

L'IPOGEO SOTTO LA CHIESA
STORIOGRAFIA E BOUTADE
IL CIMITERO DEI CAPPUCCINI
IL DOCUMENTO
  1. Quel «bellissimo vaso di Terrasanta»

"Triggiano, 22 Luglio 1828.
"L'attual Procuratore Generale V. Francesco Mastrolonardo fa sentire come, avanti ieri 19 dell'andante Luglio, i Padri Cappuccini abusando della legge del nostro Sovrano (D.G.) e del costume di questo nostro Paese innalzarono la Croce, ed entrarono Processionalmente nell'Abitato alle ore ventitré, e presero insieme coll'Arciprete (il famigerato De Toma, n.d.r.) la defunta figlia di Giuseppe Carbonara, e la condussero nel loro Convento dove di fatto le diedero sepoltura, volendo così ledere i diritti di questo Reverendo Insignito Capitolo ed all'uopo, si vede, detti Padri Cappuccini hanno otturato quel bellissimo vaso che avevano della Terra Santa, e ne hanno formato una sepoltura, ad intendimento di seppellire morti, e come si sente dalla gente, a minor prezzo, volendo certamente offendere i diritti che da' tempi antichi sempre mantiene a tutt'ora osserva questo prelodato Rev.do Insignito Capitolo.".