Il 28 maggio 1826 l'architetto direttore del borgo di Bari, Giuseppe Gimma, approva la domanda di censuazione di un suolo della IV isola su (l'attuale) corso Vittorio Emanuele (angolo via Sparano), presentata il 19 novembre 1825 dall'avvocato barese Alessandro Maggi. In realtà:
"[...] sebbene Maggi avesse chiesto un pezzo di suolo nella quinta isola sulla strada principale di questo borgo per coprirlo di fabbriche, di lunghezza palmi 72 con l'aspetto in essa strada principale e di fondo nel corpo dell'isola stessa palmi 64, oltre del suolo scoverto che gli compete, si è determinato servirsi della quarta isola sul corso."
Archivio di Stato di Bari, Atti notarili, notaio Raffaele Calvani, 1827
Le ragioni dello scambio sono ignote, anche perché Gimma ha già scelto la IV isola sul corso come sede del nuovo teatro comunale, e del resto IV e V isola godono entrambe, con il loro lato più lungo, dell'affaccio sulla piazza del borgo, destinata ad accogliere un'architettura pubblica di grande prestigio.
Il canone annuo è comunque stabilito in ducati 24 e grana 52. L'architetto Gimma indica la disposizione del fabbricato rispetto ai confini del lotto e la superficie da lasciare libera ad uso di giardino interno (lo scoverto), osservando anche che:
"[...] deve restare tenuto lo stesso censuario signor Maggi di edificare la sua fabbrica secondo il disegno che gli sarà dato dal sottoscritto architetto direttore del borgo, cifrato dall'ingegnere di Ponti e Strade signor Prade e dalla deputazione di esso borgo."
Archivio di Stato di Bari, Atti notarili, notaio Raffaele Calvani, 1827
I lavori possono così iniziare, avendo cura di osservare le usuali indicazioni sulle mostre dei vani che affacciano sulla strada, sui muri divisori e consuetudinari, sul lastrico a cielo, sulle cisterne dell'acqua piovana nel giardino, sul parapetto delle logge, sulle finestre e i balconi.
Verso la fine dell'anno (con piena osservanza dei tempi indicati negli statuti) il palazzo Maggi è costruito fino al livello del piano matto. Ma ecco scoppiare il conflitto fra proprietario e deputazione del borgo.
Per l'architetto direttore Gimma e per l'ingegnere provinciale Prade il disegno della facciata, opera dell'architetto molfettese Vincenzo Mastropasqua, presenta numerosi difetti. Ciò induce Prade ad appellarsi all'intendente per chiedere la sospensione dei lavori. Nella lettera del 20 ottobre 1826 si sostiene che "il primo scopo di un architetto nelle facce delle case si è di non sbagliare nelle convenienze" e "quindi ha il dovere di non confondere la fisionomia di un edificio pubblico con quella di un edificio privato". Perciò la facciata del palazzo Maggi ha "nel disegno fisionomia non propria per un edificio privato massimamente in città, discordanza di parti ed ineguaglianza dappertutto".
La replica dell'avvocato non si fa attendere. Il 10 dicembre Maggi scrive al presidente della deputazione del borgo, informandolo sullo stato dei lavori: "il così detto piano matto non è ancora al suo termine. Debbono coprirsi altre due camere col proseguimento della scala. Ho dovuto solo fare alzare la cinta di un muro per carico, tanto richiedendo il bisogno di solidità in quel punto". Ma il suo attacco è rivolto ai troppo ampi poteri discrezionali dati a Gimma e Prade.
"Mia idea è stata di costruirmi una casa di genio, la quale poi non offendesse nella parte in cui il pubblico ha diritto a giudicare le leggi e l'ordine di architettura. Ho scelto un disegno che serba la decenza e il bello; la deputazione lo ha benemente accolto e la generale approvazione lo ha circondato di suffragio e di gradimento. Fatalmente quel disegno non piace ai signori Prade e Gimma, ma è facile disciorre il nodo. Non piace per la mano che lo ha disegnato, non si vuole Mastropasqua nel borgo, non piace ancora perché colle sue eleganti nuove forme rompe, per non dir altro, quella disaggradevole monotonia che si osserva nel resto delle isole [...]. Sia solo giudice l'occhio. Gl'ingegneri Prade e Gimma hanno mal misurato il loro potere. Essi non valgono ad altro che a guardare l'uniforme ricorrenza nelle isole, nei piani, balconi, mostre, ecc.. Tranne questa influenza non possono ingerirsi in altro. Hanno forse il diritto di mettervi un cartoccio dove il proprietario non lo vuole? [...] È difetto ancora per il signor Prade che il mio disegno ha un carattere grandioso, ch'è appunto il colonnato. Io non so da qual codice di arte o di buon gusto desuma egli questa teorica. Lo stile agli edifici è dato dai mezzi che s'impiegano a farli belli. Il brutto solo è vizioso ed il brutto devesi impedire".
Infine, Maggi cerca di svincolarsi dal parere tecnico, rimettendosi, per sbloccare la situazione di stallo, al parere dell'intendente, massima espressione del potere politico.
"Io non temo di alcun torto all'ombra di quella giustizia che distingue il nostro signor intendente; nel suo governo la legge si rispetta ed io mi trovo sotto la potente garanzia del capo e padre insieme della provincia. I proprietari debbono proteggersi onde prosperare il borgo, ogni menomo ostacolo è fatale paralisi che percuote ed agghiaccia il suo avanzamento".
La vertenza si risolve con un compromesso. Il 1° febbraio 1827 la deputazione approva un nuovo progetto per la casa Maggi, scegliendolo fra quattro progetti presentati. Il prospetto del palazzo perde il colonnato del piano nobile, le cui finestre sono invece sottolineate con timpani triangolari, e conserva il piano ammezzato e il bugnato del basamento. In definitiva acquista il volto tipico dell'edilizia murattiana ottocentesca.
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